Semplificare le procedure per l’installazione di impianti che producano energia da fonti rinnovabili. È l’obiettivo dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri. Sono 15 articoli per un testo che ha il prossimo 30 dicembre come data per l’entrata in vigore e che si prefigge come obiettivo quello di definire “i regimi amministrativi per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, per gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale degli stessi impianti, nonché per le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti”, adeguando la normativa a quella europea.
Le Regioni avranno 180 giorni, circa sei mesi, per mettersi in pari, altrimenti varrà il decreto nell’applicazione.
Di seguito alcuni dei punti salienti del provvedimento.
Zone agricole
Il decreto prevede che gli interventi per l’installazione di impianti rinnovabili siano considerati di “pubblica utilità, indifferibili e urgenti” e possono essere collocati “anche in zone classificate agricole”, purché si tenga conto “delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale”. Sarà necessaria anche l’equa distribuzione sul territorio.
Inoltre, le opere per gli impianti sono considerate di “interesse pubblico prevalente”, salvo nei casi in cui ci sia “giudizio negativo di compatibilità ambientale o prove evidenti che tali progetti abbiano effetti negativi significativi sull’ambiente, sulla tutela della biodiversità, sul paesaggio, sul patrimonio culturale e sul settore agricolo”.
Regimi amministrativi
Viene adottata la denominazione di ‘Attività libera’ per intendere gli impianti la cui realizzazione “non è subordinata all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati e il soggetto proponente non è tenuto alla presentazione di alcuna comunicazione, certificazione, segnalazione o dichiarazione alle amministrazioni pubbliche”. Ma gli interventi “devono risultare compatibili con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e non contrastanti con gli strumenti urbanistici adottati”. Non si applica, invece, agli interventi “sui beni oggetto di tutela della parte seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Altro conto è la Pas (Procedura abilitativa semplificata), che risulta però preclusa “nel caso in cui lo stesso non abbia la disponibilità delle superfici per l’installazione dell’impianto o in assenza della compatibilità degli interventi con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti, nonché in caso di contrarietà agli strumenti urbanistici adottati”. Secondo quanto previsto dal PNIEC, “Regioni e Province autonome possono disciplinare l’effetto cumulo derivante dalla realizzazione di più impianti, della medesima tipologia e contesto territoriale”.
Per accedere alla Pas occorrerà presentare al Comune di competenza, mediante Piattaforma Suer, il progetto con le dichiarazioni sostitutive, la dichiarazione di legittima disponibilità, a qualunque titolo e per tutta la durata della vita utile dell’intervento, della superficie su cui realizzare l’impianto, il cronoprogramma dei lavori, una relazione relativa ai criteri progettuali utilizzati, la percentuale di area occupata rispetto all’unità fondiaria di cui dispone chi propone l’opera, l’impegno al ripristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto o di infrastrutture pubbliche o private interessate dalla costruzione dell’impianto. Per i casi di interventi che comportino il raggiungimento di una soglia di potenza superiore a 1 MW, poi, occorre presentare “copia della quietanza di avvenuto pagamento, in favore del comune, degli oneri istruttori, ove previsti” e un “programma di compensazioni territoriali al comune interessato non inferiore al 2% e non superiore al 3% dei proventi”.
Autorizzazione unica
Alcuni interventi sono soggetti ad autorizzazione unica di competenza delle Regioni, o della Provincia delegata dalla Regione. Tra questi ci sono gli impianti fotovoltaici di potenza pari o superiore a 1 MW e fino a 300 MW; gli impianti solari termodinamici di potenza fino a 300 MW; impianti eolici di potenza pari o superiore a 60 kW e fino a 300 MW, nonché quelli posti all’interno di aree protette o appartenenti a Rete Natura 2000; impianti idroelettrici di potenza pari o superiore a 100 kW e fino a 300 MW; impianti geotermoelettrici di potenza fino a 300 MW, esclusi gli impianti pilota; impianti a biometano di capacità produttiva superiore a 500 standard metri cubi/ora; impianti alimentati da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas operanti in assetto cogenerativo di potenza pari o superiore a 1 MW e fino a 300 MW; impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas non operanti in assetto cogenerativo aventi capacità di generazione: pari o superiore a 200 kW e fino a 300 MW, per impianti a biomassa; pari o superiore a 300 kW e fino a 300 MW, per gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas; e pompe di calore asservite a processi produttivi con potenza termica utile nominale superiore a 50 MW e fino a 300 MW.
Sanzioni
Sono previste multe da 1.000 a 150mila euro, “cui sono tenuti in solido il proprietario dell’impianto, l’esecutore delle opere e il direttore dei lavori”, fermo restando il caso del mancato ripristino dello stato dei luoghi, la costruzione e l’esercizio delle opere ed impianti in assenza dell’autorizzazione. L’entità della sanzione è determinata “con riferimento alla parte dell’impianto non autorizzata: da 40 a 240 euro per ogni chilowatt termico di potenza nominale, in caso di impianti termici di produzione di energia; da 60 a 360 euro per ogni chilowatt elettrico di potenza nominale, in caso di impianti non termici di produzione di energia”. Si va da 500 a 30mila euro “in assenza della procedura abilitativa semplificata o in difformità da quanto nella stessa dichiarato”. Queste sanzioni sono applicabili anche in regime di regime di Attività libera.
Zone di accelerazione
Entro il 21 maggio 2025, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi di energia da fonti Rinnovabili delineati dal PNIEC, il Gse pubblica una mappatura del territorio nazionale individuando il potenziale nazionale e le aree disponibili per l’installazione di impianti di produzione di energia da fonti Rinnovabili, delle relative infrastrutture e opere connesse e degli impianti di stoccaggio.
Entro il 21 febbraio 2026, sulla base di questa mappatura, Regioni e Province autonome adottano un Piano per l’individuazione delle zone di accelerazione terresti, includendo “prioritariamente le superfici artificiali ed edificate, le infrastrutture di trasporto e le zone immediatamente circostanti, i parcheggi, le aziende agricole, i siti di smaltimento dei rifiuti, i siti industriali e le aree industriali attrezzate, le miniere, i corpi idrici interni artificiali, i laghi o i bacini artificiali e, se del caso, i siti di trattamento delle acque reflue urbane, inclusi i terreni degradati non utilizzabili per attività agricole”, oltre alle aree dove “sono già presenti impianti a fonti rinnovabili e di stoccaggio dell’energia elettrica”. Entro lo stesso termine, poi, viene adottato anche il Piano per l’individuazione delle zone di accelerazione marine.
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