Uliàda, la storia di Anna Cadeddu imprenditrice al femminile

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Tra le date tonde della storia (quelle che finiscono in una perfetta coppia di zeri) ce n’è un’altra da ricordare: l’1 novembre del 1700. Sono il giorno e l’anno in cui muore Carlo II d’Asburgo, ultimo erede della dinastia spagnola. Il re stregato non lascia figli e con la sua morte cala il sipario su tre secoli di dominazione spagnola in Sardegna. Alle sue spalle ci sono anni infelici, fatti di carestie, isolamento e viceré. Sulla bella isola del mediterraneo, restano visibili ancora oggi i segni di quel passaggio: arte sacra, torri d’avvistamento e la tradizione degli uliveti.

Gli ulivi crescono in Sardegna da millenni, ma furono gli spagnoli a comprenderne l’importanza strategica per il territorio, capace di dare buoni frutti. All’inizio del XVI secolo inviarono sull’isola gli esperti migliori, per insegnare ai sardi l’innesto degli olivastri, imposero ai feudatari l’obbligo di costruire i mulini per estrarre l’olio ed emanarono le prime normative per la loro salvaguardia. “La produzione sarda non è conosciuta per l’olio d’oliva – mi spiega Anna Cadeddu al telefono – e questo perché in Sardegna non abbiamo una tradizione legata alla produzione e alla vendita. Ogni famiglia ha il proprio uliveto, si coltiva per il piacere di farlo, in un certo senso si omaggia la terra”.

Dietro l’olio extravergine d’oliva che Anna Cadeddu produce c‘è questa tradizione che si perde nel tempo. A Narbolia, piccolo comune nella provincia di Oristano, a metà strada tra il mare e le colline, dove il clima è sempre mite, c’è l’uliveto della sua famiglia, grazie al quale ha avviato il suo progetto: Uliàda. Racchiuso in un’elegante bottiglia di latta serigrafata, c’è un invito alla riscoperta lenta dell’olio EVO.

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Courtesy Photo ULIADA

Come nasce Uliàda?

Nasce da un bisogno, da viaggio di ritorno in Sardegna. Sono cresciuta in una realtà rurale, da piccola i miei nonni mi portavano a fare la raccolta delle olive, poi è stato mio papà a prendersi cura dell’oliveto, in un certo senso questi alberi hanno sempre fatto parte della mia vita. La scorsa Pasqua sono andata a trovare i miei genitori, e come da tradizione abbiamo fatto una passeggiata tra gli ulivi. L’idea di creare un progetto che potesse rendere omaggio a loro e alla mia terra è nata così: da un lato c’era il bisogno di riconnettersi con le radici, dall’altro quello di creare nuove connessioni (anche con i miei genitori). Li coinvolgo direttamente nel progetto, l’olio infatti lo spediscono loro dalla Sardegna.

Anche la scelta del nome ha un significato particolare

Sì, è una parola sarda che foneticamente si accosta sia a oliva che ulivo; ma in realtà è un verbo: significa rimestare, diffondere e raccontare. Mi piaceva l’idea legata al movimento, alla trasformazione, a un prodotto che potesse raccontare una Sardegna lontana dai cliché. Uliàda è nato da qualche mese e abbiamo strutturato un’immagine che fosse diversa da quella del classico olio di oliva; abbiamo dato vita a progetti, dove poter toccare con mano e vendere i prodotti della terra, dove conoscere le realtà che ruotano attorno a questi prodotti, e soprattutto abbiamo dato vita a spazi e incontri, un racconto condiviso che spazia tra food, arte e design, dove far nascere nuove connessioni.

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Courtesy Photo ULIADA

Uliàda è anche un invito a rallentare, perché secondo te è importante?

Dentro di me vivo una sorta di dualismo, tra la mia infanzia, fatta di rapporti umani profondi e rapporti veraci con la terra (perché i sardi hanno un legame speciale con la terra) e il mio presente, veloce, perché vivo a Milano e lavoro per un’agenzia di comunicazione. Milano è una città in continua trasformazione e in movimento, dove tutto deve essere pronto per ieri. Io per prima avevo bisogno di fare un viaggio interiore verso la riscoperta dei valori che ritengo importanti.

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Com’è cambiato il tuo rapporto con la stagionalità?

Al supermercato trovi qualsiasi cosa, invece è bello ricordarsi delle stagioni e della loro imprevedibilità; anche del rischio di non avere un raccolto. Bisogna essere aperti a un sentimento di arrendevolezza: aspettare che la natura faccia il proprio corso e vedere cosa ci permetterà di fare. La raccolta delle olive terminava sempre con una festa, ci si divideva i compiti e si cantava, e questo avveniva una sola volto all’anno, era un modo per festeggiare ciò che la natura aveva regalato, per i restanti mesi si cercava di curare l’uliveto e si aspettavano le piogge. Con Uliàda conservo questo rapporto, non usiamo pesticidi e sulle olive lasciamo anche i piccoli difetti che la natura porta.

Recentemente ho letto un articolo dedicato ai “Piani B”. Celebriamo i giovani imprenditori che decidono di mollare tutto per tornare alla terra, ma nella narrazione tralasciamo un pezzo importante: non è sempre oro quel che luccica.

È vero. Io stessa mi sono fermata a interrogarmi se Uliàda fosse il mio Piano B. Per il momento non voglio mollare tutto per tornare in Sardegna a dedicarmi agli ulivi, sto investendo tempo e risorse in questo progetto, ma non penso al futuro con ansia. È un piano B, se così vogliamo chiamarlo, che mi dà gioia: posso fare cose diverse senza che nessuno mi dica come; mi sento libera di esprimermi e di creare. Alcune narrazioni che leggiamo sono molto romanzate, tralasciano, ad esempio, il fatto che ci voglia una base economica importante per lasciare tutto e ricominciare. Se Uliàda dovesse trasformarsi in un piano A ben venga, altrimenti resta un modo diverso di raccontare un percorso e la Sardegna. Sono aperta a tutte le possibilità, senza categorie.

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Courtesy Photo ULIADA

Quali sono i progetti per il futuro?

Il prossimo grande appuntamento quando raccoglieremo le olive; una volta che l’olio verrà fatto riposare penseremo all’imbottigliamento e alla distribuzione. Non penso a una distribuzione di massa, vorrei che il prodotto restasse in mano a piccoli rivenditori. Poi penso alle collaborazioni, alle cene e agli incontri fatti finora, mi piacerebbe restassero una costante lungo tutto il progetto. Non credo nel prodotto fine a sé stesso, ma in uno storytelling che lo accompagni fino alla fine.

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