Cibo, carburante e bollette costano oltre metà reddito familiare: nell’Isola 935 euro

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Avvertenza: questo articolo non è adatto ad artigiani e commercianti impressionabili.

Ci sono infatti due notizie che non portano affatto conforto alle due categorie, e sono queste: non soltanto cibo, carburante e bollette si portano via oltre la metà della spesa mensile delle famiglie, con punte del 60 per cento al Sud. Si aggiunge il fatto che per i regali di Natale gli italiani spenderanno circa un miliardo di euro in meno rispetto alla festività del 2023 e che sul banco degli imputati – per questo ulteriore “bagno di sangue” in banconote – sono in due: la sfiducia nel futuro, visti i chiari di luna sull’economia del Paese, e pure il Black Friday, che anticipa una parte della corsa al regalo, ma con prezzi e quindi ricarichi più bassi.

A sostenerlo è l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, più nota come Cgia, che conduce ricerche nel campo dell’economia tenute in gran conto nel nostro Paese, perché si basano sempre su dati ufficiali. Sono quegli stessi dati secondo i quali la Sardegna sta meglio di tutti, perché per cibo, carburante e bollette spende mediamente 935 euro a famiglia, mentre il Trentino Alto Adige veleggia verso i 1.500.

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Le hanno chiamate «spese obbligatorie», d’altra parte non c’è modo di sfuggire all’acquisto di cibo, al consumo di benzina (molti, al lavoro, ci vanno in auto) e alle bollette senza le quali si dovrebbe rinunciare a elettricità, acqua corrente, gas e connessione a internet. Il problema è che oltre la metà del reddito familiare se ne va per finanziare queste voci irrinunciabili del bilancio domestico, e per i consumi poi resta assai poco. Il che, per il mondo produttivo, suona come l’ennesimo de profundis.

Queste spese obbligatorie (lo ripetiamo: cibo, carburante e bollette) “bruciano” mediamente 1.191 euro al mese, quindi la media italiana è pari al 56 per cento della spesa totale che ogni famiglia deve sostenere per solo per poter campare, fissata a 1.128 euro. Come si dice, è “tanta roba”. Eppure, paradossalmente, va meglio rispetto al 2022, quando queste voci basilari pretendevano il 57,1 per cento del reddito di ogni nucleo familiare (sempre in media, si capisce), ma il dato rilevante secondo la Cgia di Mestre è che si resta ben sopra le percentuali che si registravano nel Paese prima della pandemia da Covid, che aveva portato forti rincari per carburante ed energia, ma poi quelle tariffe si sono riallineate. Però è aumentato tutto il resto.

Così parlò il Centro studi dell’Associazione artigiani e piccole e medie imprese di Mestre, che sonda questi dati per stabilire le cause dell’aumento di quelle che definisce «spese obbligate». Sul trono dei motivi dei rincari c’è l’inflazione: con l’erosione del potere d’acquisto degli stipendi, molte famiglie hanno dovuto tagliare non solo il superfluo, ma anche il non strettamente necessario, come ad esempio le spese per raggiungere luoghi di lavoro e di studio e per tornare a casa.

Dov’è che finisce la parte più consistente delle entrate familiari? Nella più irrinunciabile delle voci, cioè il cibo e le bevande: drenano 526 euro dei 1.191 fissati in media per le spese obbligate. Altre 374 finanziano la manutenzione della casa, le bollette e le spese condominiali, mentre 291 coprono le uscite per i trasporti, cioè carburante e abbonamenti ai mezzi pubblici come bus, tram, metropolitana e treno.

Ci sono poi le spese che la Cgia definisce «complementari», che fa salire a 2.128 la spese obbligate e quasi obbligate delle famiglie italiane.

Quale parte d’Italia è la più povera? Il Sud, lo è storicamente, E quale mai sarà l’area in cui l’incidenza delle spese fisse sfiora il 60 per cento, contro il 56 per cento della media nazionale? Sempre il Sud, dunque martoriato due volte. Nel Nordovest la spesa complessiva mensile di ogni famiglia, nel 2023 è stata di 2.337 euro al mese. Nel Mezzogiorno la media è invece di 1.758 euro (meno 24,7 per cento). Fin qui, quel che esce dai conti familiari. Se invece ci concentriamo solo sulle spese inevitabili (sempre cibo, carburante e bollette), nel Nordovest e nel Nordest la quota di reddito consumata da queste voci è del 55 per cento. Assai meno rispetto al 59,4 che si registra nel Mezzogiorno, dove al cibo si dedicano molte risorse economiche.

Per quanto riguarda i prodotti alimentari, le bollette e il carburante, la Cgia mestrina fa notare che, detta in soldi e non in percentuale, la spesa più alta è nel Nord: 1.462 euro in Trentino Alto Adige, 1.334 in Lombardia e 1.312 in Friuli Venezia Giulia. Ma se invece di cifre assolute parliamo di percentuali del reddito familiare, si spende di più in Calabria (63,4), Campania (60,8) e Basilicata (60,2).

Perché, di mettere a confronto questi dati, si occupa l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre? Semplice, perché la grande quota di spese obbligate delle famiglie nuoce proprio ad artigiani e commercianti, che si contendono quel poco che resta al netto delle spese obbligate delle famiglie italiane, particolarmente nelle aree in cui questo tipo di imprese è più diffuso. La crisi di tantissime botteghe artigiane e negozi di vicinato è certamente riconducibile alle tasse troppo elevate, sostiene la Cgia, così i fatturati ne risentono molto, considerato che a mettere i bastoni tra le ruote ad artigiani e commercianti sono anche i costi elevati degli affitti, la concorrenza molto aggressiva della grande distribuzione e il commercio su internet, che continua a espandersi. Proprio mentre la capacità di spesa delle famiglie si riduce.

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Ma, come si dice quando si vuole sorridere malgrado un disastro, per il resto va tutto bene.

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