Coldiretti accende l’atomo. E mezza Italia è d’accordo

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Il futuro è, di nuovo, nell’atomo: dal Forum Internazionale di Coldiretti, che si è chiuso ieri a Roma, il messaggio è chiaro: «Ci accusano spesso di essere oscurantisti», dice il presidente del sindacato agricolo Ettore Prandini, nella sua conclusione della due giorni di dibattiti organizzata in collaborazione con The European House – Ambrosetti e con Censis, «ma la verità è che siamo lungimiranti». Nessun «negazionismo» climatico, dunque: la crisi c’è, e «gli agricoltori sono i primi a pagarne gli effetti sulla propria pelle», con l’aumento drammatico degli eventi catastrofici e dei loro costi. «Sei miliardi nel 2022, sei e mezzo nel 2023, fino a otto miliardi e mezzo nel 2024», enumera. La Transizione Green quindi è urgente e necessaria. Ma in che modo e con quali tempi realizzarla? Secondo Coldiretti «si potrà realizzare solo puntando sull’energia nucleare pulita, quella a fusione, combinata con lo sviluppo delle rinnovabili, dal biogas all’agrivoltaico», per garantire un fabbisogno energetico crescente legato «alle esigenze del tessuto produttivo» attuale ma anche allo sviluppo delle innovazioni, intelligenza artificiale in testa, con il suo altissimo dispendio energetico.

E gli italiani iniziano a pensarla nello stesso modo, secondo un’indagine Ixe realizzata a settembre 2024, e presentata ieri al Forum: la percentuale di cittadini che considera l’atomo come fonte energetica prioritaria su cui puntare è quadruplicata nello spazio di soli cinque anni, passando dal 4,8% al 21,6%. A un nuovo eventuale referendum sulla reintroduzione di centrali nucleari voterebbe sì il 46,8%, contro un 47,9% contrario e un 5,3% che non esprime un’opinione.

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Il tentativo di «imporre un Green Deal totalmente ideologico e svincolato dalla realta ha ormai evidenziato tutti i suoi limiti», rileva Coldiretti, con il rischio che «la necessaria transizione ecologica rimanga lettera morta». Dall’altra parte, il costante aumento del costo dell’energia sta mettendo all’angolo «non solo le imprese agricole italiane ma l’intero settore manifatturiero europeo».

Un’apertura alle critiche al Green Deal arriva anche da sinistra: il presidente del Pd Stefano Bonaccini (oggi europarlamentare), invoca la «necessità di un riequilibrio» dei criteri della transizione: «Non si può contrapporre la necessaria salvaguardia dell’ambiente al lavoro, se no rischiamo che si perdano milioni di posti e migliaia di imprese, avviandoci verso una infausta ‘decrescita felice’». Per questo nella Pac (politica agricola comune) «va introdotto un nuovo pilastro, la gestione dei rischi».

Anche l’ad di Eni Claudio Descalzi, dal podio di Coldiretti, dice con chiarezza la sua sul tema energetico, a cominciare dalla questione atomo: «In Europa siamo indietro non solo sull’energia nucleare, siamo indietro su moltissime cose. E non parlo dell’Italia che, tutto sommato, ha un suo mix energetico come quasi tutti i paesi del Mediterraneo fatto da gas e rinnovabili». In Unione europea, ricorda, «solo la Francia ha una vera riserva di energia grazie a 50 e passa stazioni nucleari, riserva che poi vende anche a noi». E sottolinea: «Il nucleare è l’unica soluzione per abbassare i costi dell’energia», e «se iniziamo adesso a sviluppare centrali di terza generazione si può fare: ma bisogna essere rapidissimi, trovare i siti, farli accettare e sapere che costano, servirà molto capitale».

Sulla questione dazi interviene il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Bisognera parlare e parlare molto, spiegare a Donald Trump che mettere dazi anche ai prodotti italiani significa poi aiutare indirettamente la Cina. Questo dovrà essere molto chiaro». Ma il tycoon ora di nuovo presidente Usa, ricorda, «ha sempre avuto per l’Italia un occhio di riguardo». Prandini però avverte che l’approccio rischia di non funzionare: «Se giochiamo come singoli paesi, contando magari come Italia di essere un po’ meno danneggiati per i buoni rapporti tra il nostro governo e quello di Washington, ci accontentiamo. Invece è l’Unione europea che deve diventare protagonista e interlocutore del confronto con giganti come Usa, Cina o India».

É una «visione miope», aggiunge, quella che «si è vista anche nel voto dell’altro giorno sulla nuova Commissione, nella quale prevalgono egoismi nazionali: non fa bene a nessuno. L’Europa deve avere il coraggio di giocare da protagonista, se no rischia di restare una mera spettatrice delle dinamiche globali».



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