Su quello che la legge di bilancio fa sull’Irpef per il 2025 stiamo assistendo ad un dibattito surreale: l’opposizione politica (e sindacale) attacca il governo con argomenti falsi, e il governo non si difende. O se lo fa, lo fa con argomenti a sua volta falsi.
Andiamo quindi a vedere questa ennesima tragedia italiana: quella di un paese che non sa più neanche discutere, figuriamoci agire.
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Aiutata dal solito roboante titolo di Repubblica che, come sempre, dà il via alle principali iniziative politiche del Campo Largo, l’opposizione di centrosinistra ha iniziato una campagna contro la principale misura contenuta nella Legge di Bilancio 2025: la conferma delle riduzioni fiscali che valevano per il solo 2024.
Già qui, a voler essere pignoli, c’è qualcosa che non funziona: la messa a regime degli aiuti in busta paga era la principale richiesta che per più di un anno tutti noi di opposizione abbiamo fatto al governo.
Ai miei piccoli occhi mortali sfugge il motivo per cui, quindi, sia così necessario attaccare il governo per aver accolto la principale richiesta dell’opposizione.
Potrebbe darsi però che ci sia qualcosa di sbagliato nel MODO in cui questa “messa a regime” viene fatta, visto che le modalità di attuazione cambiano in maniera significativa rispetto all’anno scorso.
Allora andiamo a vedere più in dettaglio. Come fonte utilizzerò l’audizione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio , consultabile liberamente a questo link: https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2024/11/UPB_Audizione-DDL-bilancio-2025.pdf da pag. 70 in poi.
Il primo risultato è che il cambio di modalità dal 2024 al 2025 (dalla decontribuzione ad un mix tra erogazione monetaria e rimodulazione detrazioni fiscali) non è identico per tutti.
Per 5,7 milioni di lavoratori dipendenti (84% della platea) è più vantaggioso.
Per 0,8 milioni di lavoratori dipendenti (16% della platea) sarà leggermente meno vantaggioso.
Questo risultato è contenuto a pag 76 e 77 dell’audizione Upb.
La prima domanda quindi è: ma perché una mossa che migliora la situazione per l’84% della platea dovrebbe essere sbagliata?
Ma non sempre questo dato significa molto. Forse gli effetti distributivi sono indesiderabili.
Andiamoli a vedere.
Potrebbe essere, infatti, che i benefici per i redditi inferiori siano più bassi di quelli per i redditi superiori.
Per scoprilo andiamo invece a pag. 85 del report Upb, dove leggiamo testualmente: “i benefici … sono maggiori sui decili piu bassi, mantenendosi comunque elevati per i decili intermedi (dal quarto al settimo) per poi decrescere per le fasce più abbienti”.
E poche righe più in basso arriva anche il verdetto sull’altare della Dea pagana di sindacati e sinistra: la progressività.
Viene infatti certificato che la riforma “determina un significativo incremento della progressività e della redistribuzione”.
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Quindi riassumendo.
Finora abbiamo scoperto che la principale misura contenuta nella Legge di Bilancio 2025 (che occupa più della metà del totale):
1) accoglie la principale richiesta fatta dalle opposizioni negli ultimi 18 mesi
2) lo fa migliorando la situazione per l’86% dei lavoratori dipendenti
3) lo fa migliorando progressività e redistribuzione
La ragione per cui il centrodestra non ha mai risposto alle critiche dei sindacati e del centrosinistra tuttavia è forse persino più triste: con ogni probabilità, non hanno neanche mai ben compreso la legge i bilancio che loro stessi hanno scritto.
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Un’altra critica – lanciata proprio dal titolone roboante di Repubblica – era relativa alla presunta tassazione “del 56%” del ceto medio.
L’UPB in realtà scrive una cosa ben diversa, che troviamo nella figura a pag 87.
Non si parla dell’aliquota media effettiva ( = imposte pagate diviso reddito imponibile) ma dell’aliquota MARGINALE effettiva ( = quando il mio reddito aumenta di un’euro, quanto di quell’euro va in imposte?).
La figura che vi allego
dimostra che dopo la riforma le aliquote marginali effettive:
1) diminuiscono fino ai 30 mila euro di reddito
2) rimangono stabili dai 30 ai 32 mila euro e dopo i 40 mila euro
3) aumentano per una sola piccola porzione di reddito (8 mila euro ) compresa tra i 32 e i 40 mila euro.
Le prime due cose sono positive, la terza ovviamente no (quella su cui ha fatto il titolo Repubblica).
Ma va ricordato che su quelle porzioni di reddito le aliquote marginali effettive sono alte per il semplice decrescere naturali delle detrazioni, vale a dire per il Sacro (per la sinistra) principio di progressività.
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“Ma fammi capire”, starete pensando. “Stai dicendo che la riforma del governo è la migliore possibile?”.
Ma figuriamoci.
Ho scritto nel mio libro – La Missione Possibile – le due cose che ritengo più importanti sull’Irpef:
1) e’ indegno che rimanga un’aliquota del 43% sui redditi imponibili di 50.000 euro lordi annui ( = 2.450 euro al mese netti). Così si ammazza il ceto medio di questo paese.
2) l’Irpef è troppo complessa, e dopo questa riforma lo è ancora di più. Serve avere il coraggio di cancellare tutte le tax expenditures tranne quelle per spese sanitarie, introdurre un minimo esente vitale ( = una porzione di reddito su cui non si pagano imposte perché serve per vivere) e fare un sistema semplice la cui dichiarazione dei redditi stia in una pagina.
Il governo non fa nessuna delle due cose.
Ma il punto qui è ben altro.
Il punto è che sinistra e sindacati stanno protestando e scioperando per una manovra che non solo accoglie la loro principale richiesta, ma lo fa in ossequio ai principi di progressività la cui presunta mancanza sinistra e sindacati ogni giorno denunciano in ogni piazza, in ogni sciopero, in ogni intervista.
E la cosa ancora più divertente – tragicamente divertente – è che finora nessun esponente di centrodestra è riuscito a rispondere nel merito, preferendo continuare la gara degli slogan e di chi urla più forte.
Non lo hanno fatto o perché si vergognano a dire che hanno fatto una manovra “di sinistra” o perché non sanno esattamente cosa hanno fatto.
A voi la scelta su quale spiegazione sia più probabile.
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