Emergenza idrica, Basilicata: la procura avvia l’inchiesta, acquisiti i documenti. Le mamme chiedono il ritiro dei bambini da scuola
L’emergenza idrica in Basilicata, che vi stiamo raccontando, purtroppo prosegue e continua ad evolversi, e potrebbe coinvolgere e richiamare l’attenzione su temi più ampi come la salute, l’ambiente e la fiducia nelle istituzioni.
La Procura di Potenza ha avviato un’inchiesta per verificare la gestione della crisi, in particolare sulla scelta di convogliare l’acqua del fiume Basento nella diga Camastra. I Carabinieri e il NAS stanno acquisendo documenti presso le sedi di Acquedotto Lucano, ARPAB e Autorità di Bacino, Arpa Basilicata e Acque del Sud, effettuando anche campionature per analisi chimico-fisiche. L’obiettivo è accertare la regolarità delle operazioni e garantire la sicurezza della popolazione servita da questa rete idrica. Nel frattempo un comitato di genitori si è mobilitato contro l’uso dell’acqua del Basento nelle mense scolastiche, esprimendo timori per la salute dei propri figli. Alcune famiglie, hanno deciso di ritirare i bambini da scuola.
Al centro del dibattito c’è la sostenibilità delle soluzioni proposte e l’impatto sociale di una crisi che potrebbe protrarsi, mentre cresce il richiamo alla necessità di trasparenza e interventi strutturali. La controversia sulla gestione pubblica o privatizzata delle risorse idriche riaccende il confronto su diritti fondamentali e strategie per il futuro. Su questi temi cruciali, e sulle possibili vie di uscita, abbiamo intervistato Mimmo Nardozza del Comitato Acqua Pubblica Peppino Di Bello, che analizza cause, eventuali responsabilità e proposte per affrontare una delle emergenze più delicate degli ultimi anni della regione.
Permettete due parole proprio su Peppino Di Bello, cittadino lucano da sempre impegnato attivamente per l’ambiente, la tutela del territorio, la salute dei cittadini. Fu il primo a pagare le conseguenze delle sue battaglie, venne licenziato, poi demansionato dal ruolo di tenente della Polizia Provinciale e dopo 9 anni di battaglie, è stato assolto dalle accuse di rivelazione di segreto d’ufficio e procurato allarme, sollevate per aver denunciato l’inquinamento del Pertusillo. Peppino di Bello ci ha lasciato il 23 novembre scorso a 61 anni, proprio il giorno in cui è stato autorizzato l’utilizzo dell’acqua del Basento e anniversario del terribile terremoto che 40 anni prima distrusse l’Irpinia e la Basilicata. A un giorno dalla sua scomparsa, Peppino di Bello ci ha lasciato la sua visione dell’attuale emergenza idrica lucana, tramite un vocale su Whatsapp, sintetizzata nelle seguenti righe:
“Mi rendo conto che non può essere solo il Presidente, ma tutto l’entourage e soprattutto le costole della Regione Basilicata che avrebbero dovuto avere la percezione ed avvisare di quello che stava succedendo il più alto livello possibile della Regione, quindi il Presidente della Giunta. Prevenzione zero rispetto all’aver fatto prosciugare le acque dell’invaso della Camastra.
Insisto sul fatto che a fronte di una produzione di acqua come Regione Basilicata che supera il 25% di tutto il sud Italia, a fronte del fatto che noi alimentiamo gli usi potabili di quasi 5 milioni di cittadini del Mezzogiorno d’Italia, a fronte del fatto che abbiamo venduto per pochi centesimi a Coca Cola e San Benedetto le sorgenti sia del Vulture-Melfese che del Parco Nazionale del Pollino, io mi chiedo, come diritto proprio di residenza e di cittadinanza: in questa Regione dove i servizi minimi e essenziali sono lumicini, noi non abbiamo più manco dei trasporti degni di questo nome, non esiste un aeroporto, stanno per chiudere tutte e due le reti ferroviarie, sia direzione Salerno che Foggia, un isolamento totale, adesso ci tocca bere l’acqua schifosa del Basento?
Questo senza nessuna assemblea pubblica. La Convenzione di Aarhus dice che quando c’è una modifica sulla vita quotidiana delle persone vi è l’obbligo di rendere noto quello che si va a fare preventivamente. Ti fanno piovere dall’alto questa soluzione che nessuno vuole, né la destra, né il centro, né la sinistra, nessuno. Anche quel 50% che è rimasto a casa e non è andato a votare. Questa è una questione di buon senso, la programmazione è stata fatta senza democrazia, questa è una cosa completamente sbagliata. Mi auguro nell’interesse di tutti, perché la salute è nell’interesse collettivo e pubblico così come l’acqua, l’acqua è, e deve rimanere pubblica, che si ritorni indietro nelle scelte, le acque del Basento non possono essere utilizzabili per gli usi potabili. Il Tora attraversa la zona industriale di Tito, che è sito di interesse nazionale da bonificare, la Daramic, le cui indagini si sono chiuse nel 2023, ha scaricato nei pozzi, trielina ed altre sostanze cancerogene che attraverso la falda sono finite al Tora e dal Tora al Basento. Poi c’è l’ex Liquichimica con le vasche di gessi che contengono radionuclidi, sostanze radioattive e poi quel tratto di fiume Basento attraverso la SiderPotenza, oggi ha il disoleatore e ha varie forme di protezione, ma prima non aveva niente e trattando rottami ferrosi e non minerale puro, tutti gli oli esausti, grassi, acidi, emulsioni finivano in parte sui terreni, sui suoli, sui margini del fiume Basento, in parte inquinavano l’acqua e in altra parte hanno impregnato i terreni. Subito dopo, a Vaglio scalo c’è il depuratore per i reflui fognari urbani e industriali.
Ditemi voi quale tranquillità possibile, perché hanno fatto delle analisi parziali e non complete che andavano a verificare tutti i cancerogeni, così come dice la legge, non Giuseppe Di Bello o questo comitato per l’acqua pubblica, e a difesa della qualità delle acque, lo dice la legge!”
Emergenza Idrica, Basilicata: l’intervista a Mimmo Nardozza, Comitato Acqua Pubblica Peppino Di Bello
Per capire meglio la questione abbiamo realizzato una lunga intervista con Mimmo Nardozza, che da anni si occupa di tematiche sociali, soprattutto in materia di petrolio nel documentario e nel progetto “Mal D’Agri”, per chiarire la questione e mettere in risalto quelle che è il punto di vista e le richieste dei cittadini.
La crisi idrica in Basilicata è al centro di un sistema complesso che coinvolge diversi attori: dalla gestione della diga Camastra al fiume Basento, da Acquedotto Lucano alle sorgenti locali, fino all’Arpab e alla gestione di Acque del Sud. Qual è il quadro generale della situazione e il ruolo specifico di ciascuno di questi soggetti nella gestione delle risorse idriche e nella risoluzione delle criticità? Tra l’altro, è appena stata data la notizia che è scattata l’indagine conoscitiva, a che punto siamo?
“Siamo al punto più basso nella storia del nostro rapporto con l’acqua, visto che, di acqua, ne abbiamo in abbondanza. Noi, come Comitato spontaneo Acqua Pubblica Peppino Di Bello, siamo mossi dalla preoccupazione e paura per la situazione della diga Camastra, che improvvisamente ha perso tutta l’acqua. Da anni, la Camastra soffre per il suo invasamento, un problema che risale agli anni ’90, con il progressivo abbassamento della quota della diga. Negli ultimi 20 anni, si è aggravato il problema dell’interrimento, ma si continua a parlare dei responsabili senza agire. Arpab è stata chiamata a fare delle analisi, ma ha sempre avuto la lacuna di non essere accreditata e di non essere vista come un soggetto di grande fiducia. Ovviamente, essendo Arpab un ente regionale, è facile che dica che va tutto bene. Il vero attore rilevante è Acqua del Sud, che gestisce dieci invasi lucani, mentre il 65% dell’acqua è nelle mani del Ministero. Il 30% andrà a gara per i privati, e solo il 5% sarà diviso tra le Regioni. È paradossale che le Regioni abbiano una quota così piccola in una Spa così importante. Nonostante questo, siamo stati etichettati come qualunquisti dal presidente di Acqua del Sud, l’avvocato Decollanz, già alla guida dell’EIPLI, poi fallita. Eppure, oggi, la notizia è che è scattata un’indagine della magistratura, con i Carabinieri che sono intervenuti in Arpab, Asp e Acquedotto Lucano. Personalmente, ho difeso Acquedotto Lucano in passato, non tanto per la gestione della rete idrica, ma perché, se non ha dove prendere l’acqua da distribuire, che responsabilità ha? Le colpe degli anni passati, forse, ma oggi Acquedotto Lucano si limita a distribuire, non a conservare l’acqua, e questo è un punto fondamentale”
L’idea di utilizzare l’acqua del fiume Basento come soluzione per contrastare la crisi idrica ha suscitato moltissime perplessità. Quali sono le principali controversie legate a questa scelta? Le analisi dell’acqua, condotte sia dagli enti ufficiali che ne hanno certificato la potabilità sia da organizzazioni come Cova Contro, sembrano aver prodotto risultati discordanti, soprattutto riguardo alla classificazione delle acque (A1, A2, A3). Ci fai chiarezza? Quali sono i dubbi e cosa si chiede?
“Magari potessi chiarire meglio questa questione. Dal 2011 mi occupo del problema petrolio e abbiamo sempre chiesto chiarimenti sull’utilizzo dell’acqua nel settore dell’estrazione fossile, abbiamo sempre chiesto conto sulla classificazione delle acque, senza mai avere risposte chiare. Sentire il governatore della Basilicata Bardi dire che l’acqua del Basento è migliore di quella del Pertusillo mi fa pensare che ci sia un decadimento della qualità, visto che il Pertusillo ha perso la sua classificazione A2 ed è sceso a una categoria inferiore. In un paese civile, l’acqua potabile dovrebbe essere A1, ma siamo arrivati all’A3. La magistratura ha confermato che nel torrente Tora è arrivata la trielina nelle falde, inquinando il Basento e le aree industriali di Tito e Potenza. Da lì arriva al Camastrino. Per fortuna, l’acqua non arriva nella diga della Camastra. Non ho fiducia nel sistema di trattamento dell’acqua, specialmente quando si utilizzano pompe a gasolio che inquinano e sono attive 24 ore su 24. L’emergenza diventa il sistema per bypassare le normative, c’è questa nuova moda, ma l’acqua del Basento sta creando problemi sociali, perché i problemi sanitari ancora non si vedono, ma secondo me l’intervento dell’indagine conoscitiva della magistratura va in quella direzione. Non siamo dei pazzi scatenati, ho fatto la doccia anche io, dobbiamo lavarci. Non sono qui a fare il bastian contrario, sto usando quell’acqua perché mi hanno detto che è buona, ma non la usiamo per cucinare. Però, per quanto tempo possiamo continuare così? Recentemente ho visto quattro cisterne per l’acqua nelle scuole, il che suggerisce che ci sia un piano a lungo termine per rifornire la popolazione, il che non può essere una soluzione temporanea.”
Durante le discussioni in Consiglio regionale, quali sono state le tempistiche previste per le azioni correttive? Sono emersi rischi significativi per la popolazione e il territorio? La Regione ha fornito rassicurazioni concrete o piani dettagliati per affrontare l’emergenza?
“Il presidente Bardi aveva rinunciato a intervenire in consiglio, ma il comitato, insieme all’opposizione, ha insistito affinché fosse presente e facesse una relazione. Successivamente, il Commissario Presidente Bardi è arrivato, presentandosi con una battuta: “sono arrivato perché mi mancavate”. Questo infastidisce, uno dei dogmi che ripetono è che, essendo uomini delle istituzioni, l’opposizione dovrebbe fidarsi ciecamente. Ma non funziona così. Se per anni ARPAB non ci ha dato garanzie, perché dovremmo iniziare a fidarci senza riserve? Inoltre, ARPAB è un ente in-house della regione, quindi è un’espressione politica. Fintanto che ARPAB non esprimerà una figura professionale adeguata tramite bando pubblico, a mio avviso, non sarà credibile.”
Parli di un tecnico?
“Assolutamente, ci deve essere un concorso pubblico per determinare chi è qualificato per ricoprire certi ruoli, persone che hanno curricula chiari nel campo delle analisi ambientali. ARPAB, inoltre, non ha l’accreditamento Accredia, l’ente italiano che certifica la validità delle analisi. Questo è un problema, perché se ARPAB non è accreditata, dobbiamo fare le analisi fuori regione. Le analisi fatte da ARPAB potrebbero non essere sufficientemente profonde, come quelle che richiedono l’analisi di centinaia di elementi inquinanti. Parliamo di enti pubblici importanti e della necessità di una vigilanza rigorosa, che deve darci tranquillità. Non siamo allarmisti, ma la vigilanza deve essere severa. Attualmente, ARPAB non è in grado di svolgere questo ruolo, e alla fine si finirà per fare scarica barili rimandando la responsabilità. Acquedotto Lucano, invece, ha un buon metodo di analisi sull’acqua, che praticano da anni, e per fortuna non ci sono mai stati problemi. C’è però una diffidenza generale, che può sfociare in psicosi, anche se non siamo tutti matti. Quando salgo da Potenza a Sasso di Castalda e vedo tutte quelle sorgenti d’acqua, mi chiedo perché non siano state messe in rete, visto che ci sono risorse idriche in Val d’Agri, Anzi e Rifreddo. E’ evidente che sono piccole sorgenti e devi metterle in rete, ma se ci sono le sorgenti, perché, invece, ci si è concentrati solo sul Basento?”
Secondo te, quali sono le alternative possibili alla soluzione del Basento? Ad esempio, un utilizzo diverso delle sorgenti (quali)? Bisogna concentrarsi solo su “nuove soluzioni”?
“Una soluzione potrebbe essere quella di affrontare la dispersione idrica, un problema certo: perdiamo il 63% dell’acqua. Parlando con dei tecnici dell’Acquedotto Lucano, persone perbene, che lavorano pancia a terra da quando questa crisi è in moto, mi viene da chiedere perché questa emergenza sia affidata a loro e non a Acque del Sud. Se ti fidi del tuo gestore, vuol dire che devi lavorare con loro, e infatti, tutto il sollevamento idrico dal centro della Camastra è stato fatto da Acquedotto Lucano. Altrimenti, da più di un mese, saremmo senza acqua.
I soggetti quindi ci sono, ma bisogna sistemare le condotte e fare progetti concreti. Purtroppo, però, il livello di progettazione è quasi zero, anche se sono stati stanziati fondi con il PNIISSI. Non è facile, lo so, ma bisogna provare a chiudere i buchi. Poi, si potrebbe cercare di captare l’acqua sorgentizia disponibile. Mi verrà detto: ‘ma pensi che così si mette in rete una sorgente che sta a Sasso di Castaldo, con una che sta a Brindisi Montagna, con una che sta a Anzi?’ Bene, io ti rispondo che non è un problema mio.
Io pago le tasse, come tutti. La Basilicata non è uno dei due posti dove si evade molto, per fortuna.
Qui c’è un grande rispetto per le istituzioni e non voglio essere considerato un qualunquista. Per questo respingo la definizione di Decollanz alla comunità critica e chiedo al Presidente Commissario di parlare con lui e rispettare di più la popolazione locale, perché l’acqua non è di nessuno, ma certo non è sua.”
Decollanz ha definito la gestione dell’EIPLI sull’invaso del Camastra “disastrosa”, citando rilascio d’acqua eccessivo e incapacità di prevenire crisi idriche. Dal 2019 l’invaso non garantisce più riserve adeguate: quali responsabilità attribuisce alla precedente gestione e cosa si sarebbe potuto fare diversamente? Le azioni attuali sono sufficienti per riportare l’invaso ai livelli pre-2019 e prevenire nuove emergenze?
L’EIPLI, ormai diventato Acque del sud SPA, non garantisce più riserve adeguate da anni, forse dal 2019, quando si è iniziato a dover abbassare i livelli. Il vero problema, però, è l’interrimento della diga. Questo è il nodo centrale. L’idrosuzione a gravità, che costa meno rispetto al dragaggio con la diga vuota, poteva essere adottata già dieci anni fa, e oggi non ci troveremmo in questa maledetta emergenza, come mi permetto di chiamarla. Ora invece dovremo usare gli escavatori, e chissà quanto tempo ci vorrà. La diga ha perso metà della sua capacità: da 20 milioni, oggi forse 8-9 milioni sono occupati dal terreno. Il fondo della diga Camasta contiene milioni di metri cubi, ma probabilmente 1-2 milioni sono ormai occupati da terreno, se non di più. Intervenire per tempo, magari 20, 10 o anche solo 6 anni fa, avrebbe fatto la differenza. Invece, i governatori attuali, che dovevano “rivoltare tutto come una scatoletta di tonno”, non hanno fatto nulla. Anzi, la diga è stata svuotata, non solo per la diminuzione delle piogge, ma anche per un prelievo esagerato: da 30.000 metri cubi al giorno, come riportato da Legambiente, si è arrivati a 55-60.000 metri cubi al giorno. Questo l’ha portata a svuotarsi rapidamente, aggravata anche dalla mancanza di piogge e neve e dalle dispersioni. Proprio su questo punto, sta circolando un video virale che mostra una perdita sotto Brindisi Montagna, Lì perdiamo circa 20 litri al secondo. Dal Basento al Camastrino, fino a Masseria Romaniello, trasportiamo 400 litri, ma già 20 si perdono a Brindisi Montagna, riducendoci a 380. Siamo in una situazione critica, ma basterebbe chiudere il tratto interessato per 96 ore, come suggerito da Acquedotto Lucano, organizzandoci con 5 ore d’acqua al giorno e utilizzando solo quella di sorgente per riparare la condotta, Qualunque cittadino, se dici: “Facciamo così, chiudiamo quel tratto, utilizziamo solo l’acqua di sorgente e nel frattempo aggiustiamo la condotta”, avrebbe accettato la soluzione. Poi si potrebbe riaprire con l’acqua della Camastra, del Camastrino e del Basento, ma almeno evitando sprechi.
Le prossime guerre saranno per l’acqua: è un bene strategico, e noi possediamo il 25-30% dell’acqua del Sud Italia. Perché dipendere dall’asta fluviale? Non mi interessa che Roma beva dal Tevere o Firenze dall’Arno. Regioni come quelle citate non hanno la nostra capacità idrica, ma parliamo di milioni di persone.
La progettualità è fondamentale, ma progetti come la traversa di Trivigno, per mettere in comunicazione i bacini, richiedono anni di lavoro. Al momento, vediamo solo parole: nella tabella del PNIISSI è scritto “nessun livello di progettazione”. Come possiamo realizzare questi 30 milioni di lavori su un sistema idrico complesso senza una progettazione? È una situazione terribile.”
La crisi idrica sta avendo un forte impatto sociale: dalle madri che decidono di togliere i figli da scuola, alla distribuzione di acqua minerale, fino alle difficoltà quotidiane affrontate dai cittadini. Come stanno reagendo le comunità locali? Quali sono/ con quali precise richieste secondo te bisogna portare avanti la protesta dei cittadini coinvolti?
“La Camastra è diventata idropotabile da circa 25-30 anni, forse anche di più. Inizialmente, il sistema agricolo si basava sugli invasi, che sono fondamentali. Mi arrabbio molto quando l’assessore Pepe e la maggioranza definiscono la diga della Camastra un “secchio”. È una metafora inaccettabile: le dighe sono monumenti dell’ingegno umano, con le dighe si sviluppa la vita. Si vive con l’acqua, l’acqua è essenziale, noi siamo acqua.
Non si possono fare battute di basso livello. La progettazione andava fatta per tempo: dragare il fondo non era un intervento da iniziare nel 2024, ma da affrontare molti anni fa. Inoltre, la tecnica dell’idrosuzione a gravità, che si sarebbe potuta realizzare con l’acqua ancora presente, è già stata applicata in altri contesti. Ora, invece, ci ritroviamo a operare in emergenza, con ditte che arrivano all’ultimo minuto. Ma quando sbloccheranno davvero i fondi? Ad oggi non esiste nessun livello di progettazione per questi lavori.
È preoccupante che i fondi del PNIIISSI, inizialmente previsti per opere sulla diga, siano scesi da 32,7 milioni a 30 milioni, e da 34,8 milioni a 31,8 milioni. Questo stato di emergenza, già prolungato di sei mesi, rischia di degenerare in una crisi sociosanitaria ancora più grave. La rimozione dei sedimenti, che richiede 30 milioni di euro, avrebbe potuto essere pianificata con lungimiranza, ma la mancanza di visione politica non è imputabile solo agli ultimi cinque-sei anni del governo Bardi, ma anche in tutte le precedenti giunte.
Durante il consiglio di lunedì, è stato suggerito al governatore di andare a Roma e chiedere alla premier una quota maggiore per l’operazione “Acqua del Sud”. È un tema cruciale, spesso sottovalutato, perché dietro questa situazione si intravede un tentativo di privatizzare l’acqua, proprio come è accaduto con il petrolio. Questo capitalismo onnivoro sta cercando di appropriarsi anche di questa risorsa essenziale.”
Una situazione analoga si sta verificando in Irpinia, anch’essa servita da Acque del Sud. Quali analogie vedi nelle due emergenze? Che succederà? Quali sono i prossimi passi per le associazioni e per i cittadini per affrontare questa emergenza? Quali sono, secondo te, i rischi concreti se non si interviene tempestivamente?
“Penso che se Acque del Sud va a bando e il 30% finisce in mani private, si tratti di una quota davvero considerevole. Per questo abbiamo proposto, provocatoriamente, di comprare noi Basilicata delle azioni.
Dobbiamo avere i mezzi per informarci. Quello che preoccupa maggiormente il Comitato Acqua Pubblica Peppino Di Bello è il rischio di un’eccessiva privatizzazione. Vorremmo una partecipazione maggiore, rifacendoci ai principi del referendum del 2011 sull’Acqua Bene Comune. Ricordi? 26 milioni e mezzo di italiani votarono per l’acqua pubblica. Eppure, quel referendum è già carta a straccio, tranne rare eccezioni.
È sempre un rincorrere le situazioni, come accade ai nostri vicini dell’Irpinia. Non dimenticare che l’Acquedotto Pugliese ha una delle sue sorgenti più importanti proprio al Capo Sele. Visitala, è una meraviglia: da lì l’Acquedotto Pugliese trasporta l’acqua fino a Santa Maria di Leuca. Questi territori, accomunati dal grande sisma del 1980, condividono caratteristiche appenniniche molto simili e dispongono di una straordinaria ricchezza d’acqua.
Noi lucani, 500 mila persone, disponiamo di risorse idriche sufficienti per 6-7 milioni di individui. Eppure, lo Stato sembra voler mettere questa risorsa nelle mani dei privati. Noi chiediamo con forza di non privatizzare questa risorsa. Attualmente è al 65% sotto il controllo del Ministero, e lì deve restare. Quanto al restante 30%, lo affiderei alle regioni, pur riconoscendo le criticità legate alla loro capacità progettuale, come abbiamo già detto. Tuttavia, non vogliamo assolutamente che l’acqua finisca nelle mani dei privati. Già ci sono grandi concessioni, come quelle della Coca-Cola in Basilicata, e l’industria petrolifera consuma enormi quantità d’acqua.
Un’ultima osservazione: oggi parlavo con dei bambini fuori scuola, e pensavo al circuito chiuso in cui ci troviamo. L’acqua che prendo dal Basento ad Albano finisce nelle case, passa per il depuratore di Vaglio, arriva al Camastrino, torna al serbatoio e viene ripotabilizzata. Stamattina ho tirato lo sciacquone e quella stessa acqua è probabilmente già tornata nella condotta, certo, potabilizzata, ci mancherebbe. È surreale, soprattutto in una regione con un potenziale idrico così vasto. Serve lavoro e competenza per affrontare questi problemi, non l’approssimazione che viviamo da anni.”
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