Da varie settimane imperversa una polemica sui migranti in Albania tra il governo e i partiti, tra i politici e i magistrati, polemica insulsa e fuori luogo, e invece a Torino ad un convegno indetto dalla Corte dei Conti sul “principio di legalità” Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha toccato da par suo temi importanti e fondamentali che riguardano il rapporto tra i poteri dello Stato.
Diciamo subito che le grandi questioni da lui affrontate fanno giustizia di tutte le approssimazioni italiane e anche di quelle di oltre atlantico di Elon Musk, che chiede di “cacciare i giudici” non utili, il che dimostra la ignoranza e la slealtà costituzionale di tanti rappresentanti del popolo.
Personalmente ho posto il problema del ruolo dei magistrati e del giudice sin dagli anni ‘70 che in un sistema costituzionale “multilivello” non può essere configurato come “ordine” soggetto solo alla legge, come vuole la Costituzione ma configura un “potere”. La conseguenza di questa profonda modifica è che è necessario pigliarne atto e regolare in maniera diversa la sacrosanta indipendenza del giudice in rapporto con una necessaria responsabilità istituzionale.
Era questo ed è questo il tema vero che è al fondo di una qualunque riforma della giustizia di cui tanto si parla e la sua mancata soluzione crea una disarmonia e un forte squilibrio di poteri che naturalmente si aggrava nel rapporto con l’Europa sovranazionale.
Sul piano europeo Mantovano osserva che “il principio di legalità di fronte a un costituzionalismo “multilivello”, cioè alla compresenza di fonti del diritto nazionale e sovranazionali, è stato messo in crisi e ha osservato che non c’è equivalenza tra il sistema nazionale, in cui la legalità nasce da provvedimenti approvati da un Parlamento che ha una diretta derivazione elettorale dalla “sovranità popolare”, e quelli sovranazionali, in particolare quello europeo. “In questo ambito”, ne deduce, “il principio di “legalità” si è trasformato in principio di “giuridicità”. E il tema della “moltiplicazione delle fonti, se non viene affrontato con saggezza ed equilibrio, rischia di porre in discussione i pilastri su cui fondano le Costituzioni degli Stati”. Mantovano osserva che questa contraddizione provoca “conflitti tra la Corte di giustizia dell’Ue e le corti costituzionali di alcuni stati”. E si pone una domanda: cosa significa in questa situazione contraddittoria dire che “i giudici sono soggetti solo alla legge?”. “ L’unica soluzione per evitare il cortocircuito”, spiega, “è l’autolimitazione, il self- restraint, che avrebbe l’effetto di “evitare la giurisprudenza creativa: perché creativo, nei limiti della Costituzione, può essere il legislatore, non il “giudice”.
Sono concetti sacrosanti sui quali andrebbe fatta da politici avveduti e da magistrati intelligenti profonda riflessione.
Diciamo subito che al di là e prima di qualunque disciplina normativa, l’autolimitazione, il self- restraint è fondamentale ed è un metodo deontologico ineliminabile che qualunque rappresentante delle istituzioni dovrebbe adottare e in particolare il magistrato.
Ma è la legislazione italiana che deve essere coordinata a quella europea con una prerogativa legislativa reale del Parlamento europeo per evitare che il principio di legalità si trasformi in “principio di giuridicità” come teme Mantovano. È la sovranazionalità che nel processo europeo, come abbiamo sempre auspicato, deve assumere carattere giuridico- istituzionale e comprendere le varie legislazioni nazionali.
È il diritto comunitario dunque ancora giovane ad essere sviluppato e affermato come diritto europeo sovranazionale.
È un cammino difficile ma la storia delle istituzioni è tormentata e ahime! anche contraddittoria.
Anche sul piano nazionale il problema del giudice “bocca della legge” è superato.
È un problema delicato del quale dobbiamo prendere atto, perché il giudice ha il dovere- potere di interpretare la norma e il Parlamento, pur avendo il reale potere sovrano, è costretto a cedere alla prevalenza giurisprudenziale perché la norma è in crisi e non più espressione erga omnes.
È stato detto da un eccellente avvocato, Valerio Spigarelli, che “nessuno è nostalgico per il “giudice bocca della legge”, però, un conto è quello, altra cosa è la deriva della funzione creativa della giurisprudenza, perché poi a quel punto chi legittima il giudice legislatore?”.
Ma è proprio la crisi della norma e la crisi del diritto che hanno determinato un panpenalismo molto pericoloso cioè la dottrina secondo cui tutto sfocia nel penale. E che ha il suo corrispettivo sociale nella sete di vendetta. Si è fatta largo nei cittadini un’aspettativa di giustizia smodata e fuorviante, in base alla quale si fa giustizia solo quando si condanna, soprattutto se la pena è “esemplare”. Imperversa una forma di populismo giudiziario.
“C’è la sensazione che le riforme della giustizia finora presentante vogliano essere imposte come una ritorsione, una punizione nei confronti della magistratura per le sue presunte colpe del passato. C’è un’aria di resa dei conti, di ripristino muscolare delle gerarchie che non fa bene al Paese. Sorprendono e destano preoccupazioni soprattutto le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che non critica le sentenze e le ordinanze della magistratura nel merito ma contesta il diritto di intervenire perché alcune decisioni, e per ultimo soprattutto quella recente sugli immigrati inviati in Albania, competono solo al Governo che ha il consenso degli elettori. Si tratta di contestazioni sistematiche che ignorano le distinzioni dei ruoli istituzionali, caratteristica fondamentale della democrazia. La Presidente Giorgia Meloni non può contestare l’intervento della magistratura come non dovuto e ritenere che il giudice debba “aiutare il Governo” con una contraddizione pericolosa perché l’” aiuto” sarebbe “politico” e quindi anomalo.
È su questi delicati problemi la cui soluzione porta ad un nuovo equilibrio tra i poteri sui quali il Parlamento dovrebbe riflettere e i magistrati e i giudici dovrebbero con serenità portare il loro prezioso contributo per le particolari esperienze della loro funzione, anziché protestare e rifiutare qualunque riforma indiscriminatamente.
Le acute riflessioni di Mantovano questa volta possono essere di grande orientamento.
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