La pioggia che ha cancellato milioni di euro
Era stata presentata come il simbolo della lotta alla criminalità organizzata, l’Aula Bunker di Lamezia Terme, eretta a tempo di record per il maxi-processo “Rinascita Scott”. Una struttura voluta dall’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e celebrata con tanto di cerimonie e annunci trionfalistici. Oggi, però, di quella “cattedrale” non resta nulla, se non un capannone inondato dall’alluvione che ha colpito la Piana di Lamezia poche settimane fa. La pioggia ha distrutto strumentazioni costosissime, dall’amplificazione ai monitor, rendendo definitivamente inagibile l’intera struttura. Milioni di euro dei contribuenti letteralmente spazzati via dall’acqua.
Una giustizia senza sede e senza giudici
Il vero scandalo, tuttavia, inizia ora. Dopo la sentenza di primo grado, che ha già smantellato buona parte dei teoremi di Gratteri con assoluzioni eccellenti, il processo d’appello per “Rinascita Scott” è paralizzato. Non si riesce a fissare una data perché mancano sia un’aula adeguata sia un collegio giudicante compatibile. La Corte d’Appello di Catanzaro si trova in un limbo: molti magistrati sono incompatibili per precedenti coinvolgimenti, e l’idea di trasferire il processo in altre città è fallita a causa dell’impossibilità di trovare strutture idonee. È un’impasse che umilia i diritti degli imputati – condannati e assolti – e mette a nudo l’inefficienza della macchina giudiziaria.
L’azione spettacolare della giustizia
Tutto questo è il frutto di una visione megalomane e spettacolarizzata della giustizia, dove il rumore mediatico conta più dei risultati concreti. Il maxiprocesso “Rinascita Scott” non è stato altro che la fusione di fascicoli preesistenti, trasformata in una gigantesca operazione di marketing personale per il magistrato Gratteri. Dai 3 tir necessari per trasportare le ordinanze ai 2.000 carabinieri impiegati per notificare i provvedimenti cautelari, il costo per lo Stato è stato stratosferico. Ma la realtà è che il processo è stato giudicato da una normale corte e non da una Corte d’Assise, poiché mancavano reati di sangue.
Le fasi di primo grado hanno già demolito l’impianto accusatorio, con assoluzioni clamorose che mettono in dubbio l’efficacia di questa “macchina giudiziaria” costruita a tavolino.
Il paradosso è che Gratteri tra una intervista e l’altra rilasciata alle tante testate prone al suo verbo ha cercato e cerca di accreditare l’idea che oggi il maxiprocesso “Rinascita Scott” sia paragonabile a quello di Palermo tentando così di accreditarsi come un “neo Falcone”, anzi arrivando a sostenere che la ‘‘Ndrangheta sia più pericolosa di “Cosa Nostra”. Un dei tanti tentativi di invertire il paradigma della realtà della lotta alle organizzazioni malavitose. La verità ovviamente è ben diversa.
Il vero maxiprocesso: l’eredità di Giovanni Falcone
Il maxiprocesso di Palermo, avviato il 10 febbraio 1986, rappresenta una pietra miliare nella lotta alla mafia. Istruito da magistrati del calibro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il processo portò alla sbarra 475 imputati affiliati a Cosa Nostra, accusati di reati gravissimi tra cui omicidio, traffico di stupefacenti ed estorsione. Dopo 349 udienze e 36 giorni di camera di consiglio, il 16 dicembre 1987 la corte emise 346 condanne e 114 assoluzioni, infliggendo pene per un totale di 2.665 anni di reclusione, oltre a 19 ergastoli per i principali boss mafiosi.
Questo risultato straordinario fu ottenuto in un contesto legislativo molto più limitato rispetto a quello attuale. Falcone e Borsellino operarono infatti con strumenti normativi ben lontani da quelli oggi disponibili, come il 41-bis (il regime di carcere duro per i mafiosi, introdotto solo nel 1992) o la legislazione antiriciclaggio moderna. Nonostante queste limitazioni, riuscirono a costruire un impianto accusatorio solido, basato su indagini approfondite e sull’uso pionieristico delle testimonianze dei collaboratori di giustizia, tra cui quella fondamentale di Tommaso Buscetta.
Paragonare il maxiprocesso di Palermo all’operazione “Rinascita Scott” di Nicola Gratteri risulta quindi non solo inappropriato, ma quasi offensivo. Mentre Falcone e Borsellino lavoravano con rigore e risultati tangibili, il processo voluto da Gratteri si è dimostrato una gigantesca operazione mediatica, priva di impatti significativi e segnata da un fallimento giudiziario evidente già in primo grado. La differenza nei numeri e nella sostanza rende evidente l’abissale distanza tra il vero maxiprocesso e quello che, invece, è solo una pallida imitazione.
L’aula bunker di Gratteri: una cattedrale nel deserto
L’Aula Bunker stessa è emblematica di questo approccio. Costruita in fretta e furia fuori dalla sede naturale del processo – il tribunale di Vibo Valentia – è costata centinaia di migliaia di euro per adattare un vecchio capannone industriale. Polemiche hanno accompagnato ogni fase, dal trattamento riservato agli avvocati, costretti a percorrere chilometri a piedi per motivi di sicurezza, fino alla qualità dei lavori e delle attrezzature. Oggi quell’aula è inutilizzabile, abbandonata e devastata. Ma quanto è costata alla collettività?
L’aula bunker di Lamezia Terme, realizzata per ospitare il maxiprocesso “Rinascita Scott” contro la ‘ndrangheta, è stata completata in tempi record, con un costo complessivo stimato di circa 4.778 milioni di euro.
La struttura, situata nell’area ex Sir di proprietà della Regione Calabria, si estende su 3.300 metri quadrati, con una lunghezza di 103 metri e una larghezza di 34 metri, e una capienza di circa 947 posti, adeguata alle esigenze di distanziamento sociale imposto dalla pandemia.
Il Ministero della Giustizia ha finanziato l’intervento con 3.768.163,94 euro per le opere infrastrutturali e 882.282,24 euro per gli interventi informatici, logistici e organizzativi. Ulteriori 127.982,88 euro sono stati stanziati per l’installazione degli impianti di videoconferenza, capaci di gestire fino a 150 collegamenti simultanei.
Nonostante l’investimento significativo, la struttura ha subito gravi danni a causa di un’alluvione che l’ha resa inagibile, sollevando interrogativi sull’efficacia della pianificazione e sull’adeguatezza delle misure di manutenzione e prevenzione adottate.
In occasione del varo della struttura, le dichiarazioni di Gratteri si sono sprecate, soprattutto nel rivendicare a sé, il merito della costruzione in tempo record e sottolineando l’efficienza nella realizzazione dell’aula bunker di Lamezia Terme: “È importante che il processo ‘Rinascita Scott’ si svolga qui, per dimostrare che i calabresi non sono il popolo delle incompiute. -Dichiarava in grande smalto il procuratore- Quando ci si siede seduto accanto a un tavolo e si è tutti dalla stessa parte, è possibile realizzare opere complete con grande efficienza.” Il giorno dell’inaugurazione ufficiale, l’ex Procuratore di Catanzaro aggiunse: “Il merito di questa bellissima opera è di tutti. Io ho fatto un po’ la testa d’ariete e sono riuscito a far vedere intorno a un tavolo anche persone che non avevano tanto interesse a che la Calabria aveva un’aula degna del livello qualitativo della magistratura, dell’avvocatura e delle forze dell’ordine.” Le sue dichiarazioni, chiaramente, miravano ad evidenziare il suo impegno nel coordinare le istituzioni coinvolte per completare l’aula bunker in tempi record, sottolineando la capacità della Calabria di portare a termine progetti complessi con efficienza. Peccato che al primo acquazzone si sono polverizzati milioni di euro. L’avesse costruita un Sindaco, Gratteri lo avrebbe fatto di certo arrestare.
I numeri negati e le bufale mediatiche
Gratteri continua a negare l’evidenza, sia sui fallimenti giudiziari sia sul costo umano e sociale della sua giustizia spettacolo. Dati del Ministero della Giustizia, però, parlano chiaro: le corti calabresi, inclusa quella di Catanzaro, sono tra le prime in Italia per risarcimenti per ingiusta detenzione. Nonostante questo, nessun giornalista nei salotti televisivi – in particolare quelli della sinistra radical chic – osa metterlo di fronte a queste verità. Nemmeno i grandi nomi del giornalismo di inchiesta, come Corrado Formigli, pongono domande scomode. Ma non vediamo certo nemmeno esponenti della destra confutare le paradossali affermazioni del Procuratore di Napoli sulla riforma della giustizia e all’indirizzo del ministro Nordio voluto da FdI. Tutti muti. Eppure, la situazione è chiara e certificata e smentisce le affermazioni televisive di Gratteri.
La questione delle ingiuste detenzioni in Italia rappresenta una problematica significativa, sia in termini di diritti umani sia per l’impatto economico sullo Stato. Secondo i dati più recenti, nel 2023 si sono registrati 619 casi di ingiusta detenzione, con un esborso complessivo di 27.844.794 euro in indennizzi.
Analizzando la distribuzione geografica, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha emesso il maggior numero di ordinanze di pagamento per ingiusta detenzione nel 2023, con 82 provvedimenti. Segue la Corte d’Appello di Roma con 59 ordinanze, Catania e Palermo con 53 ciascuna, Catanzaro con 52, Napoli con 43 e Salerno con 16.
In particolare, il distretto di Catanzaro ha registrato una spesa significativa per risarcimenti da ingiusta detenzione. Nel 2022, la Corte d’Appello di Catanzaro ha erogato 871.942 euro a tale titolo, mentre la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha raggiunto la cifra di 10.312.205 euro, portando il totale regionale a oltre 11 milioni di euro, quasi la metà dell’intera spesa nazionale per quell’anno.
Questi dati evidenziano una tendenza preoccupante nel sistema giudiziario italiano, con una media di circa 1.000 casi di ingiusta detenzione l’anno negli ultimi dieci anni. Ciò sottolinea un grave problema strutturale, legato sia alla qualità delle indagini sia alla tempestività delle verifiche giudiziarie.
In particolare, il distretto di Catanzaro si distingue per un elevato numero di risarcimenti, riflettendo una gestione delle indagini preliminari e dei procedimenti cautelari che appare particolarmente soggetta a errori. Questo dato non può essere ignorato, soprattutto in relazione alle affermazioni di Nicola Gratteri, che ha spesso negato l’incidenza del fenomeno nel suo distretto, in netto contrasto con i numeri ufficiali.
L’entità delle cifre versate e la frequenza di queste situazioni richiederebbero un profondo ripensamento delle modalità di gestione della giustizia, con un’attenzione maggiore alla tutela dei diritti fondamentali degli individui e alla responsabilità di chi conduce e autorizza le indagini.
Negli ultimi tempi, la Corte d’Appello di Catanzaro aveva registrato significativi ritardi nella trattazione delle istanze di riparazione per ingiusta custodia. Alcune richieste, presentate già nel 2021, sono rimaste in attesa di fissazione, discussione e decisione, creando una situazione definita “grave e intollerabile” dalle Camere Penali calabresi. Il sospetto che il super Procuratore avesse consigliato un certo “andamento lento” a supporto delle sue narrazioni era balenato tra le camere penali calabresi.
In risposta a questa situazione, il Coordinamento delle Camere Penali calabresi proclamò un’astensione dalle udienze e da ogni attività nel settore penale il 20 luglio 2023, sottolineando la violazione del diritto degli indagati e degli imputati a essere giudicati entro tempi ragionevoli, come previsto dalla Costituzione.
Il presidente vicario della Corte d’Appello di Catanzaro, Gabriella Reillo, replicò alle critiche, affermando che la Corte aveva dato priorità ai processi penali con detenuti, in conformità con le disposizioni normative. Aveva inoltre precisato che le udienze per le istanze di riparazione per ingiusta detenzione erano state programmate e che le notifiche ai difensori effettuate in blocchi man mano che si avvicinavano le date delle udienze, assicurando che ciò non influisse sui tempi di definizione.
Questa situazione sollevò non poche preoccupazioni riguardo alla tutela dei diritti degli imputati e alla tempestività della giustizia nel distretto di Catanzaro, evidenziando la necessità di un equilibrio tra l’efficienza processuale e il rispetto delle garanzie costituzionali.
Il bilancio di una leadership fallimentare
Dalla distruzione dell’Aula Bunker all’incapacità di celebrare un processo d’appello nei tempi di legge, i risultati di Gratteri si rivelano disastrosi. Il procuratore di Napoli continua, però, il suo tour televisivo e la promozione dei suoi libri, venduti grazie a una narrazione populista e mediatica che nasconde la fragilità del suo operato. Ma a pagare il prezzo di questa gestione fallimentare sono i cittadini, gli imputati e lo Stato, sempre più soffocato dai costi di una giustizia che spettacolarizza il nulla e lascia dietro di sé solo macerie.
Questa è la realtà di un sistema dove la forma prevale sulla sostanza, e dove le “bufale” giudiziarie si trasformano in spettacoli mediatici senza alcuna responsabilità.
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