è boom di furti nella moda

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Il 14 novembre, una coppia è stata arrestata nel Connecticut con l’accusa di aver sottratto articoli Lululemon per un valore complessivo di 1 milione di dollari. I furti, compiuti in diversi negozi della zona, potrebbero comportare per i due una condanna fino a 15 anni di carcere e una multa di 35.000 dollari. L’episodio è solo l’ultimo di una serie di colpi che hanno preso di mira negozi di abbigliamento.

Spostandoci in Europa, solo qualche giorno prima, nel giro di 48 ore, sono infatti finite nel mirino dei ladri la boutique di Valentino a Roma, quella di Louis Vuitton a Parigi e quella di Saint Laurent a Milano. Tuttavia, se nei primi due casi i furti sono andati a segno, l’uomo che ha tentato di riempire i suoi borsoni con articoli firmati dalla maison di Kering è stato bloccato in tempo dalla polizia, allertata dai dipendenti della boutique nel Quadrilatero milanese.

Tornando indietro nel tempo, eclatante fu il caso di Fossò, dove sette uomini, arrestati lo scorso marzo, misero a segno una raffica di colpi in stile Mission: Impossible tra febbraio e novembre 2022. Parte del bottino 339 paia di scarpe Dior e 567 paia di Armani trafugate dalle fabbriche del distretto veneto. Impossibile non citare poi il caso Balmain. A soli undici giorni dalla sfilata, 50 capi della collezione spring-summer 2024 furono rubati mentre un furgone, dirottato dai malviventi, li trasportava dall’aeroporto Charles de Gaulle alla sede parigina del marchio. Tuttavia, questa non sembrerebbe essere stata un’azione mirata contro il brand, come dimostra il ritrovamento degli abiti durante una perquisizione domestica.

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Ma quella dei furti non è solo una piaga che colpisce le boutique del lusso. Recentemente, George Weston, amministratore delegato di Associated British Foods proprietaria di Primark, ha sottolineato l’impennata del fenomeno nei negozi del brand in Gran Bretagna, dichiarando che il taccheggio starebbe causando perdite economiche maggiori rispetto a quelle dovute alle imposte commerciali. Secondo quanto riportato da Bloomberg, la stessa Zara, tra i primi ad adottare le etichette con chip RFID, starebbe studiando nuove tecnologie in grado di trasformare gli stessi capi d’abbigliamento in dispositivi antifurto attraverso l’intreccio di fili che emettono onde radio.

Moda nel mirino dei ladri: che fine fanno i capi rubati?

La tecnologia è un’alleata preziosa a cui le maison fanno sempre più affidamento per contrastare un fenomeno cresciuto di pari passo con l’aumento del valore di capi e accessori di moda. Secondo quanto emerge dallo studio “La sicurezza nel retail in Italia 2023”, condotto da Crime&tech, i furti totali nel Belpaese sono aumentati del 18,7% rispetto al 2021, raggiungendo quasi 963 mila casi complessivi.

Di questi una quota significativa riguarda colpi messi a segno in negozi e centri commerciali, dove capispalla e maglieria risultano essere le categorie d’abbigliamento maggiormente prese di mira dai ladri. Oltre a Emilia-Romagna e Liguria, la Lombardia è una delle regioni più colpite, con Milano che, secondo lo studio, registra il tasso più alto: 222,8 casi ogni 100 mila abitanti. Guardando oltreoceano, per la National Retail Federation i furti hanno causato una perdita di vendite stimata da 73 miliardi di dollari per i rivenditori degli Stati Uniti, una cifra che ben racconta l’impatto del fenomeno sul business dei marchi.

Ma dove finiscono tutti i capi rubati? La risposta è l’E-fencing, espressione che si riferisce alla vendita online di beni rubati, spesso commercializzati su piattaforme di e-commerce, marketplace o social network. Una pratica diffusa che consente ai ladri di monetizzare gli oggetti sottratti e, nel caso delle organizzazioni criminali, di reinvestire i proventi in altre attività illecite. Secondo una stima del 2022 della Prosecutors Alliance of California, le organizzazioni criminali commercializzano a livello globale prodotti rubati o contraffatti per un valore superiore a 500 miliardi di dollari, sfruttando piattaforme online come Amazon, eBay e Facebook Marketplace. Se questa cifra fosse corretta, i beni illeciti rappresenterebbero fino al 10% dell’intero mercato globale dell’e-commerce.

Sorge spontanea la domanda: quali sono le conseguenze per chi acquista un capo rubato?

La legge prevede tre possibili scenari, che variano a seconda della consapevolezza dell’acquirente al momento dell’acquisto.

  • L’acquisto consapevole di oggetti trafugati è un reato. In questo caso si parla di ricettazione, che secondo l’articolo 648 del Codice penale, è punito con la reclusione da 2 a 8 ani e con una multa che va dai 516 ai 10.329 euro.
  • Chiunque senza averne accertata la provenienza, acquista beni che, per la loro qualità, per la condizione del venditore o per l’entità del prezzo, possa ragionevolmente sospettare provengano da un reato, può essere accusato di incauto acquisto. In questo caso, in base all’articolo 712 del Codice penale, si è punibili con la reclusione fino a 6 mesi o con un’ammenda non inferiore a 10 euro.
  • La terza ipotesi è quello dell’acquisto in buona fede che non comporta alcuna multa.

Il confine tra le tre ipotesi è estremamente labile. Sebbene per alcuni il tentativo di acquistare un capo firmato a prezzo ridotto possa sembrare un’occasione imperdibile, è importante prestare maggiore attenzione al momento dell’acquisto. Un venditore che offre troppi articoli nuovi di zecca, ancora con il cartellino attaccato, potrebbe suscitare dei sospetti, tanto più nel caso dovessero emergere anomalie nei metodi di pagamento.



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