Democracia, justicia y libertad, ovvero democrazia, giustizia e libertà. Così gridavano gli zapatisti in concomitanza con l’entrata in vigore del NAFTA – North American Free Trade Agreement, il trattato di libero commercio tra USA, Canada e Messico – diffondendo un nuovo immaginario internazionalista, che ha dato l’avvio al movimento “alter-globalizzazione”. Erano i primi giorni del 1994, trent’anni fa. Il mondo stava cambiando e i riverberi di questo cambiamento lambivano anche il nostro paese: a Fidenza infatti, in Emilia, nasceva proprio quell’anno il capostipite dei gruppi d’acquisto solidali italiani.
I gruppi d’acquisto solidali – ovvero persone che si mettono insieme per comprare beni, prevalentemente alimentari, direttamente dai produttori, instaurando con essi un rapporto di fiducia e collaborazione – sono uno dei pilastri del mondo più ampio dell’economia solidale. Approfittando di questa importante ricorrenza, ho coinvolto Jason Nardi – co-presidente della RIES, la Rete Italiana Economia Solidale – chiedendogli di accompagnarci in un viaggio che, partendo da trent’anni fa, ci conduca fino agli scenari attuali e ci aiuti a sbriciare verso quelli futuri.
Ci puoi descrivere in clima in seno al quale, a partire dal 1994, è maturato il movimento dei gruppi d’acquisto solidali, magari condividendo anche la tua visione personale del mondo e di questa esperienza nascente?
A quei tempi – e lo sono ancora… – ero un giovane utopista nonviolento che partecipava a qualsiasi movimento o manifestazione che potesse “cambiare il mondo”. La guerra del Golfo, che ha visto gli Stati Uniti d’America attaccare indiscriminatamente l’Iraq, mi aveva profondamente indignato e portato a guardare dal punto di vista di chi è più vulnerabile e i cui diritti sono sistematicamente violati. Il mondo di allora non era tanto meglio di quello di oggi, solo su una scala diversa. E anche allora sapevamo che l’informazione che riceviamo dai media “mainstream” era parziale e falsata.
Permettetemi di fare un piccolo excursus storico per inquadrare meglio le premesse su cui si è poi sviluppato il fenomeno dei gruppi d’acquisto solidali. Dobbiamo tornare indietro ancora di qualche anno: nei trent’anni precedenti – quindi dagli anni ‘60 – sono emersi i movimenti internazionali intorno ai diritti umani e ambientali che hanno promosso le esperienze del commercio equo, della finanza etica, del turismo responsabile e della solidarietà internazionale per un sviluppo non solo sostenibile e giusto, ma anche territoriale e decoloniale: i rapporti nord-sud erano al centro dell’attenzione.
Questi movimenti, tutt’oggi vivi e attivi, cercavano di contrastare l’affermazione della globalizzazione economico-finanziaria dei mercati e ponevano varie questioni sulla giustizia sociale e ambientale, oltre all’auto-governo dei popoli, soprattutto quelli autoctoni. In questo clima di speranza, di un “altro mondo è possibile”, emerse un nuovo movimento in Italia, a fianco di quello pacifista, che metteva a fuoco il ruolo che avevano le grandi imprese multinazionali nel portare a devastazioni ambientali e ingiustizie sociali e indebitamento degli Stati, soprattutto quelli del sud globale). La Guida al Consumo critico del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Francuccio Gesualdi, uscito nel 1996, ne fu in qualche modo il riferimento principale, a cui seguì la Rete Lilliput.
E così, come anche in altri paesi si andavano affermando gruppi di consumatori auto-organizzati che si facevano domande sul modello di sviluppo dominante, ingiusto e insostenibile, in Italia nascevano i Bilanci di giustizia – una rete che raccoglie centinaia di famiglie italiane che hanno modificato il proprio stile di vita rendendolo più etico e sostenibile – e appunto i primi gruppi d’acquisto solidali.
Il primo GAS si costituisce ufficialmente a Fidenza, in provincia di Parma, nel 1994 e pone al centro la necessità di mangiare cibi sani e gustosi, portatori di significati e di relazioni, un po’ anche sull’onda di Slow Food, con il suo motto “sano, pulito e giusto”. La relazione diretta con i produttori – e in particolare i piccoli produttori contadini locali – e la diffusione per passaparola, che gemma nuovi gruppi d’acquisto solidali molto rapidamente, porta a sviluppare la rete di collegamento tra i GAS nel 1997 per scambiare informazioni e organizzare eventi e progetti collettivi.
Per molte persone i gruppi d’acquisto sono “solo” un modo diverso di fare la spesa. Ma cosa c’è dietro la scelta di optare per questo circuito?
I gruppi d’acquisto solidali sono molto diversi tra loro. Rispetto all’inizio – si veda la Carta dei principi, dove al fatto di costituire comunità (Gruppo) per agire insieme (Acquisto) in maniera mutualistica e politica (Solidale) – nel tempo l’ultimo aspetto, il significato della “S” si è diluito o perso e si sono moltiplicati semplici gruppi di acquisto orientati al risparmio. Se quando nacquero la questione fondamentale dei GAS era il modello di sviluppo ingiusto, oggi la sfida è la perdita del senso di comunità.
Oltre al fatto che le generazioni fino ai quarant’anni fanno lavori molto più precari e faticano ad avere una programmazione regolare come quella richiesta da un gruppo di acquisto solidale, oltre a essere abituate ad avere tutto e subito, consegnato a casa con un click sullo schermo con le app di delivery. Dietro alla scelta di far parte di un GAS c’è – o almeno ci dovrebbe essere – una forte convinzione che non dobbiamo rassegnarci e possiamo riprendere nelle nostre mani una parte piccola ma significativa di come consumiamo, conosciamo e interagiamo con chi produce, partecipando a un movimento più ampio e trasformativo che condivide i nostri valori: l’economia solidale.
Storicamente ci sono alcune zone d’Italia maggiormente votate di altre all’economia solidale – come l’Emilia Romagna o la Sicilia con le Galline Felici. In questi tre decenni come si è evoluta la distribuzione di queste esperienze sul territorio italiano?
Dagli anni duemila le esperienze dei GAS si sono moltiplicate, mutuate, fuse, ingrandite, collegate e sconfinate, per cui in ogni regione ci sono pratiche diffuse che fanno riferimento o sono nate da esperienze di gasisti. Hanno anche prodotto forme di comunicazione e diffusione fantasiose e creative – si veda il libro di Marco Binotto pubblicato nel 2023 Comunicazione solidale – Storia e media del consumo responsabile e dei gruppi d’acquisto solidale.
Si sono inoltre costituite reti inter-gas provinciali, RES – ovvero reti di economia solidale, solitamente regionali –, FTES – Forum Territoriali – e DES – distretti di economia solidale, solitamente urbani. Tutte questa sono forme di “patti” e accordi di rete territoriale, che hanno nei GAS uno dei componenti più importanti. Ad esempio, lo sviluppo della PDO – la Piccola distribuzione organizzata, in contrasto con la GDO dei supermercati e delle filiere globali – è un aspetto fondamentale per ripensare la logistica partendo da caratteristiche dei territori, sinergia e collaborazione tra produttori, tra produttori e consumatori o altre componenti della filiera. Ultimamente si stanno moltiplicando esempi di rider cooperativi o trasporti condivisi – come il Furgoncino solidale – collegati o promossi da GAS, che possono essere replicati e federati.
Come sono cambiati i gruppi d’acquisto solidale in questi anni, sia a livello numerico che per quanto riguarda la loro struttura, l’utenza e altri aspetti che li caratterizzano?
Nel 2014, dopo vent’anni dalla fondazione del primo, i GAS censiti in Italia erano un migliaio, anche se quelli effettivi erano probabilmente almeno il doppio. Oggi forse si sono stabilizzati sui 3000, ma è difficile dare una stima della misura del fenomeno. Non abbiamo più fatto “censimenti”, ma possiamo contare su alcune ricerche e statistiche che in qualche modo ne tengono conto.
Per esempio secondo il Rapporto sul consumo responsabile 2022, curato dall’Osservatorio per la coesione e l’inclusione sociale, in Italia l’8,6% della popolazione adulta afferma di acquistare tramite un gruppo di acquisto solidale; stiamo quindi parlando di circa cinque milioni di persone che si nutrono, almeno in parte, tramite questa modalità di consumo. Il questionario biennale commissionato a Swg sui consumi responsabili, presentato da Francesca Forno per il nuovo rapporto, indica che nel 2024 i gruppi d’acquisto solidali hanno “tenuto”, anzi hanno dato segni di ripresa. Il problema principale però è che l’età media è piuttosto elevata e prevalgono gli over 50-60.
Come valuti le altre esperienze alternative di produzione e distribuzione di cibo alternative alla GDO che nel frattempo hanno affiancato i gruppi d’acquisto – mi riferisco ad esempio a CSA, food coop o anche progetti ispirati al mondo dei GAS come L’alveare che dice sì?
Penso che più forme alternative creative abbiamo, capaci di intercettare diversi utenti, esigenze e modalità di consumo responsabile, meglio è. L’ingresso nel circuito dei GAS di nuovi prodotti – all’inizio erano più che altro alimentari – e di diverse modalità di acquisto collettivo, che fino a qualche anno fa non esistevano in Italia, ha contribuito a cercare nuovo modalità. Ha cominciato ad affermarsi, per esempio, il sistema delle CSA, le Comunità a Sostegno dell’Agricoltura, in cui un produttore è sostenuto, attraverso un accordo che prevede un prefinanziamento collettivo, da parte dei consumatori solidali.
Alcuni GAS si sono evoluti verso forme più stabili e sono diventati associazioni o cooperative, come l’emporio di comunità Camilla a Bologna: in questo caso lo spazio che veniva utilizzato una volta alla settimana per la distribuzione è diventato un micro-mercato permanente, ma anche un luogo di incontro e di costruzione di comunità. Oppure come Aequos, cooperativa di cui fanno parte 36 GAS e 5 cooperative sociali diffusa in cinque province tra Lombardia e Piemonte, che ha un fatturato annuo di 1,6 milioni di euro.
In nuce, i GAS sono delle piccole comunità intenzionali che unendo le forze possono trasformarsi in importanti luoghi di aggregazione e di socialità e, se non si limitano agli acquisti solidali, di ispirazione e azione politica per la transizione socio-economica di cui tanto sentiamo parlare. Dal boycott al buycott, dal consumo critico all’economia solidale, fino alla “forma organizzativa-rete”.
I gruppi d’acquisto solidali hanno fatto un lavoro importante per esempio con i Sistemi di Garanzia Partecipata, una modalità che traduce valori e principi in criteri e valutazioni che aiutano a creare la fiducia e rafforzare le relazioni di conoscenza diretta con e tra produttori. In generale il “biologico” e il locale non sono sufficienti, occorre sapere la storia che c’è dietro, il racconto dei protagonisti, il perché e il come si fanno certe scelte. Altri hanno lavorato più sugli aspetti delle politiche locali del cibo e partecipato a campagne locali o nazionali.
Certo, poi ci sono le piattaforme online. Alcune, come L’alveare che dice sì o Cortilia, permettono a un singolo di comprare su internet senza doversi impegnare in alcuna azione di costruzione di comunità, di auto-organizzazione e di riflessione collettiva sul nostro consumo e il nostro impatto. Questo ha l’effetto di far scomparire o quasi la “S” di solidale: non c’è la conoscenza reciproca tra consumatori e produttori che produce comunità. Quella relazione viene delegata o diventa solo commerciale. Altre sono costruite per essere strumenti di relazione e connessione, come OpenFoodNetwork.
Pensi che il mondo dell’economia solidale sia abbastanza maturo per costituire un’alternativa reale e diffusa ai modelli convenzionali? Se non lo è quali sono i passi da compiere ancora?
Sì, lo è, ma c’è ancora molta strada da fare. L’anno scorso, in preparazione del trentennale dei gruppi d’acquisto solidali, abbiamo fatto un percorso chiamato “Effetto GAS” per riflettere sullo stato dell’arte e sui potenziali sviluppi futuri, di quello che non è né un movimento né una rete, ma in molti territori fa parte delle reti dell’economia solidale, pur facendo molta fatica ad andare fuori dal proprio ambito di organizzazione del consumo. Quest’anno il percorso si ripete con incontri mensili online andando a vedere appunto le “evoluzioni” attuali e possibili per poi culminare nell’appuntamento di Solidalia 2025, ospitata dal DES di Parma.
Tra le questioni “spinose” ci sono il ricambio generazionale e la trasversalità o intersezione delle lotte e delle alternative proposte, la comunicazione più organizzata e capillare, la capacità di intercettare i bisogni emergenti di parti sempre più impoverite della popolazione – i GAS non possono rimanere accessibili principalmente alla classe media –, il dialogo con le istituzioni sulle questioni delle politiche locali – del cibo, dell’energia e così via – e soprattutto una partecipazione più attiva come gangli, cellule, neuroni dell’economia solidale.
Insomma, è tempo che i GAS si sentano nuovamente parte attiva e protagonista – e anche avanguardia – di un movimento, quello dell’economia solidale e del mutualismo diffuso, che hanno contribuito a costruire trent’anni fa. In più rispetto a quell’epoca c’è qualcosa che non c’era: una rete nazionale dell’economia solidale – la RIES – che può accogliere tutte le pratiche “altre” di relazione tra acquirenti attivi, coscienti e critici e i produttori che rispondono ai loro bisogno.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link