Ancora una volta sono i civili a fare le spese della guerra riesplosa in Siria, intrappolati come in un limbo di morte e caos mentre gli schieramenti si danno battaglia attorno ad Aleppo. Ma nonostante le difficoltà logistiche e di sicurezza, si tira un sospiro di sollievo per i primi italiani evacuati verso Damasco, grazie a un convoglio organizzato dall’Onu: “Un primo gruppo di auto, con a bordo anche alcuni connazionali, è arrivato nella capitale”, ha fatto sapere la Farnesina impegnata negli sforzi umanitari, così come altri Paesi occidentali, sotto l’ombrello delle Nazioni Unite.
Ma l’evacuazione è ancora nelle sue fasi iniziali. E resta difficile per i civili uscire da Aleppo, a causa degli scontri in corso nei territori circostanti.
Altri pullman messi a disposizione dell’Onu sono in attesa di partire con un convoglio cui dovrebbero unirsi alcuni connazionali con auto private. Intanto, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha già potuto parlare con uno degli italiani partiti da Aleppo, che è stato accolto a Damasco nelle strutture della sede diplomatica dall’ambasciatore Stefano Ravagnan. Il titolare della Farnesina aveva assicurato in mattinata che da Roma e dall’ambasciata a Damasco si segue “minuto per minuto la situazione dei nostri connazionali”, esprimendo un “moderato ottimismo” su un epilogo positivo per tutti i 120 italiani e italo-siriani di Aleppo.
Le violenze comunque ostacolano gli sforzi per lasciare la città, come testimoniato anche da Davide Chiarot, operatore della Caritas Italiana che vive non lontano dal centro di Aleppo, nella Comunità del Movimento dei Focolari: “L’ambasciata francese stava organizzando un convoglio sperando di uscire da Aleppo ma per oggi non è possibile, sembra siano in aumento gli scontri nelle aree fuori dalla città”, ha raccontato l’operatore, che si trova in Siria da due anni.
“La preoccupazione maggiore delle persone è quella di far scorte, non si sa bene cosa può succedere e la gente cerca di prepararsi portando a casa quello che può”, ha raccontato Chiarot, spiegando che nel quartiere dove vive i servizi come acqua e luce sono regolari. “Ogni tanto da lontano si sentono dei colpi, e c’è molta preoccupazione per l’evoluzione della situazione. Il problema è lasciare Aleppo: l’autostrada che porta a Damasco è chiusa da giorni e percorrere la strada alternativa è abbastanza complicato. Si sono create lunghe file di pullman e auto: normalmente da Aleppo per raggiungere Damasco ci vogliono 6 ore, in questo momento si può arrivare anche impiegarne 24”.
L’operatore ha confermato gli sforzi dell’ambasciata italiana a Damasco per far uscire gli italiani che sono rimasti ad Aleppo. “E’ difficile passare dal Nord e andare da Aleppo verso Damasco, stiamo vedendo con la nostra ambasciata come potere aiutare i nostri”, ha sottolineato Tajani, ribadendo tra l’altro il rischio di un “collasso migratorio” che riporta alla memoria l’esodo record dei rifugiati siriani nel 2015. “Sono molto preoccupato per quello che sta accadendo in Siria, per le migliaia di morti che rischiamo di avere ancora. Siamo a livello di centinaia ma, se scoppia una guerra civile, ci saranno delle ricadute anche migratorie, così come ci sono state in occasione della prima guerra civile siriana”. In ogni caso, secondo il vicepremier, i ribelli “hanno fatto sapere che non ci sono pericoli per i cittadini che non sono combattenti, e in modo particolare c’è attenzione sugli italiani. Siamo convinti che le cose per quanto riguarda i nostri cittadini”, 300 in totale in Siria, “possano andare nella giusta direzione”.
Dopo il raid aereo russo ad Aleppo che ha colpito il Terra Sancta College provocando danni materiali senza per fortuna causare vittime, Tajani ha inoltre chiesto all’ambasciatrice d’Italia a Mosca Cecilia Piccioni di compiere un passo presso le autorità russe. Domani la diplomatica verrà ricevuta al ministero degli Esteri a Mosca per un incontro già programmato e – ha fatto sapere la Farnesina – presenterà la richiesta di rafforzare le procedure per evitare che nuovi attacchi militari possano per errore colpire altri istituti religiosi o comunque installazioni civili ad Aleppo e nella regione in cui sono in atto combattimenti.
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