Ai pannelli fotovoltaici sono imputabili poco meno di 400 ettari di suolo agricolo perso, in gran parte si tratta di terreni sottratti a seminativi in pianura
Il consumo di suolo in Italia rallenta ma avanza ancora a ritmi importanti. Nel 2023 20 ettari ogni 24 ore, sopra la media decennale, a cui si aggiunge la riduzione dell’effetto spugna, cioè la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico. Un calo che secondo le stime è costato al Paese oltre 400 milioni di euro. Queste due delle principali evidenze che emergono dal Rapporto dell’Ispra, un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima. Complessivamente il consumo di suolo rimane ancora troppo elevato, e solo in piccola parte compensato dal ripristino di aree naturali.
Emilia-Romagna la regione più sprecona
Tra le regioni Valle d’Aosta e Liguria sono le uniche regioni sotto i 50 ettari di consumo: la Valle d’Aosta, con +17 ettari, è quella che consuma meno suolo, seguita dalla Liguria (+28) che si contiene al di sotto di 50 ettari. Gli incrementi maggiori per l’ultimo anno si sono verificati in Veneto (+891 ettari), Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643), Piemonte (+553) e Sicilia (+521). Escludendo le aree ripristinate (operazione da cui si ricava il consumo di suolo netto) segnano gli aumenti maggiori Emilia-Romagna (+735 ettari), Lombardia (+728), Campania (+616), Veneto (+609), Piemonte (+533) e Sicilia (+483).
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I pannelli fotovoltaici incidono per meno del 10%
Per quanto riguarda nello specifico l’agricoltura, tra abbandoni, cementificazioni e cambi di destinazione sono stati persi, nel 2023, altri quattromila ettari di suolo agricolo. Un fenomeno dovuto anche all’installazione di impianti fotovoltaici a terra che, in base a una stima Ismea, ha coinvolto poco meno di 400 ettari, il 9,5% del suolo agricolo consumato nell’anno, seppure con una diversa intensità territoriale. A rivelarlo è un focus dell’Istituto servizi per il mercato agricolo alimentare, abbinato al Rapporto Ispra, evidenziando a livello di macro-ripartizioni geografiche, una maggiore incidenza di suoli convertiti a fotovoltaico al Nord, con il 46,5% dei circa 400 ettari, contro il 40% di Sud e Isole e il 13,5% del Centro Italia.
Il Veneto, con poco più del 17% del totale, apre la classifica regionale, seguito da Piemonte e Sicilia, con circa il 14% ciascuno e da Lazio e Sardegna rispettivamente con l’11,5% e l’11%. Marginale l’effetto covering in Puglia, con poco più del 2%, e soprattutto in Umbria, Marche, Toscana e Campania, ciascuna con l’1%. Nessun contributo, invece, da Trentino-Alto Adige, Val d’Aosta, Liguria, Molise e Calabria.
Il fenomeno, che implica un effettivo consumo di suolo agricolo ma che, a differenza della cementificazione, non assume carattere irreversibile, precisa Ismea, ha interessato per il 51% aree rurali con agricoltura di tipo intensivo per lo più in pianura e collina, il cui impatto sul piano economico e produttivo è maggiore rispetto ad altri contesti. Il 28% ricade in ambiti classificati “intermedi”, il 13% in aree interne con problemi di sviluppo, soggette anche a fenomeni di spopolamento e solo l’8% in aree urbane e periurbane. Non si tratta dunque di aree marginali.
Da rilevare, inoltre, una schiacciante prevalenza dei seminativi, per lo più in territori di pianura. Al Centro-Nord riguarda il 95% delle superfici agricole, contro il 77% del Mezzogiorno. Complessivamente, la copertura di suolo nazionale con pannelli fotovoltaici ha cumulato negli anni un’estensione di circa 18mila ettari, tra suoli agricoli ed extra agricoli.
Il valore fondiario dei terreni transitati al solare nel 2023 è di 9,7 milioni di euro. La stima è di Ismea sulla base degli indicatori agronomici-estimativi derivati dalle proprie banche dati. A questo proposito l’istituto di Viale Liegi prevede la costituzione di un “Osservatorio delle terre agricole e rurali nazionali”, alla luce della collaborazione interistituzionale con Ispra e Snpa, per ora di carattere sperimentale.
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