Una sentenza storica della Corte d’appello di Bruxelles ribalta la decisione di primo grado
Il Belgio riconosciuto colpevole per crimini contro l’umanità nel Congo coloniale
Lo stato belga condannato per la rimozione forzata di cinque bambine meticce dalle loro madri tra il 1948 e il 1953. Riconosciute violazioni dei diritti umani e risarcimenti alle vittime
03 Dicembre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
La Corte d’appello di Bruxelles ha stabilito che lo stato belga è responsabile di crimini contro l’umanità per la rimozione forzata di cinque bambine meticce dalle loro madri nel Congo coloniale. La sentenza, emessa il 2 decembre, rappresenta un importante precedente legale, poiché riconosce le gravi violazioni commesse nell’ambito della politica coloniale belga.
Il caso e i ricorrenti
Le protagoniste del caso sono cinque donne, ora settantenni, nate da madri congolesi e padri europei. Tra il 1948 e il 1953, da bambine, furono portate via dalle loro famiglie e trasferite in missioni cattoliche nel Congo belga, dove rimasero sotto la custodia dello Stato coloniale. Le ricorrenti—Léa Tavares Mujinga, Monique Bitu Bingi, Noëlle Verbeken, Simone Ngalula e Marie-José Loshi—hanno intentato causa per ottenere giustizia e un riconoscimento formale delle violazioni subite.
Gli aspetti giuridici della sentenza
In primo grado, il tribunale aveva rigettato il caso nel 2021, sostenendo che i fatti contestati non fossero perseguibili, perché commessi in un’epoca in cui non erano configurati come reati internazionali. Tuttavia, la Corte d’appello ha ribaltato questa decisione, stabilendo che la rimozione forzata costituisce un “atto inumano” e una forma di “persecuzione” conforme alla definizione di crimine contro l’umanità contenuta nello Statuto del tribunale di Norimberga. Statuto che risale al 1946 – quindi almeno un paio d’anni prima del periodo dei fatti contestati dalle cinque donne – e di cui il Belgio è firmatario.
Il contesto della politica coloniale
Durante il dominio belga nel Congo, i bambini nati da relazioni tra uomini europei e donne congolesi venivano spesso considerati una minaccia all’ordine sociale razziale. La politica di rimozione forzata mirava a separare questi bambini dalle loro famiglie e a inserirli in istituzioni sotto il controllo dello Stato. Nelle missioni cattoliche, i bambini venivano registrati con nuovi cognomi e, in alcuni casi, con date di nascita falsificate. I loro padri, spesso conosciuti, venivano indicati come “ignoti” nei registri ufficiali.
Secondo la sentenza, queste pratiche violavano il diritto all’identità e alla vita familiare delle bambine e comportarono gravi danni psicologici. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che il Belgio continuò a implementare questa politica anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il concetto di crimine contro l’umanità era già stato codificato.
L’emittente francese RFI riporta che tra i 14 e i 20mila bambini furono soggetti a tale politica, a partire dal 1915. Politica che terminò solo con l’indipendenza del Congo nel 1960.
Le condizioni nelle missioni
Le cinque donne hanno descritto le dure condizioni vissute nelle missioni, dove ricevevano cure minime e venivano emarginate. All’indipendenza del Congo, nel 1960, furono abbandonate dalle autorità coloniali. Due di loro, nel corso dei tumulti post-indipendenza, furono vittime di stupro da parte di militari. Decenni dopo, quattro delle cinque donne ottennero la cittadinanza belga, ma solo dopo lunghe e complesse battaglie legali. Marie-José Loshi, invece, si trasferì in Francia, dove acquisì la cittadinanza francese.
Le decisioni della Corte
Oltre a riconoscere il crimine contro l’umanità, la Corte ha disposto un risarcimento di 50mila euro per ciascuna delle donne, a titolo di compensazione per il trauma subito. Ha inoltre ordinato allo stato belga di coprire oltre 1 milione di euro di spese legali.
La Corte non ha tuttavia ritenuto che le difficoltà incontrate dalle donne nell’ottenere documenti ufficiali e la cittadinanza potessero configurarsi come crimini contro l’umanità. Questo aspetto ha rappresentato un piccolo sollievo per il governo belga, ma non sminuisce il significato della sentenza principale.
Un riconoscimento formale
La decisione segna un passo significativo per il riconoscimento delle responsabilità storiche del Belgio. Che ha praticato la politica di rimozione non solo in Congo, ma anche in altri suoi domini coloniali di allora, come Rwanda e Burundi.
Nel 2018, il governo belga ha presentato scuse ufficiali per il trattamento dei bambini meticci, riconoscendo la violazione dei loro diritti. È stata anche istituita un’organizzazione, Résolution-Métis, per aiutare chi fu separato dalle famiglie a rintracciare le proprie origini. Tuttavia, la documentazione disponibile è spesso incompleta, e molte storie rimangono ancora senza risposta.
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