Il presidente uscente Joe Biden aveva annunciato (e più volte ribadito) che non avrebbe mai concesso la grazia a suo figlio, Hunter Biden, condannato per un reato legato al possesso di armi da fuoco e uno fiscale. Contrariamente a quanto aveva promesso, subito dopo la festa del Ringraziamento, celebrata assieme a tutta la famiglia, Joe Biden ha concesso la grazia al figlio. E non solo per quei reati per cui è già stato condannato, ma anche per tutti quelli per cui eventualmente potrebbe essere ancora processato, commessi dal 2014 ad oggi. Più che di una grazia, dunque, gli ha concesso una sorta di immunità dalla giustizia americana. Si tratta di una scelta grave e senza precedenti in una democrazia che, tuttavia, rischia di passare sotto relativa indifferenza.
Partiamo dai fatti. Hunter Biden ha avuto problemi di droga fino a cinque anni fa, poi si è disintossicato. Nel Delaware, Hunter Biden è stato dichiarato colpevole all’inizio dell’anno con l’accusa di aver mentito sull’uso di droghe in un modulo federale compilato per l’acquisto di armi nel 2018.
Tre mesi dopo, proprio quando il suo processo per presunti reati fiscali stava per iniziare a Los Angeles, si è dichiarato colpevole di quei reati. Una manovra difensiva concepita per evitare che nel processo potessero essere presentate prove di come Hunter Biden spendesse in modo dissoluto il suo patrimonio. I procuratori hanno affermato che Hunter Biden ha evaso le tasse dichiarando centinaia di migliaia di dollari di false deduzioni, tra cui la cancellazione di pagamenti per escort e ballerine, l’iscrizione a un sex-club e la retta della scuola di legge della figlia, come spese aziendali. Il figlio del presidente ha presentato questi documenti fiscali dopo essere diventato sobrio, secondo i pubblici ministeri.
Questi sono i procedimenti penali conclusi e in corso. Ma la rovina potrebbe arrivare se Hunter Biden venisse processato anche per le sospette tangenti di Burisma, l’azienda del gas ucraina di cui era membro del Consiglio d’Amministrazione. Sempre per quanto riguarda Burisma, il sospetto è che Joe Biden (che all’epoca dei fatti era vicepresidente di Obama) abbia compiuto pressioni politiche sul governo di Kiev per fermare un’indagine in corso su suo figlio e licenziare la procuratrice che se ne stava occupando, arrivando a minacciare la sospensione degli aiuti all’Ucraina. Hunter Biden avrebbe inoltre abusato della sua posizione per spingere la firma di contratti internazionali, anche con paesi ostili agli Usa, quale la Cina.
Tanti sospetti su Hunter Biden erano emersi quando era stato ritrovato il suo pc portatile, smarrito presso un tecnico informatico, pieno di documenti e foto compromettenti. Il contenuto era stato pubblicato dal New York Post alla vigilia delle elezioni del 2020, ma l’Fbi aveva classificato quello scoop come una misura attiva della propaganda russa e, con un uso spregiudicato della censura sui social, aveva fatto sopprimere tutti i post sui social network che riportavano quelle notizie e fatto sospendere gli account di chi le diffondeva, incluso l’account della Casa Bianca. Solo due anni dopo è stato confermato che quelle notizie fossero vere, che il pc portatile di Hunter Biden fosse veramente il suo e che il materiale contenuto fosse autentico. Non era disinformazione russa, insomma, ma il tentativo di sopprimere la notizia c’è stato e ha influenzato l’esito del voto nel 2020.
Questa serie sfortunata di episodi che sono ben radicati nella memoria collettiva recente degli americani, permette di comprendere quanto quest’uomo, che pure non ricopre alcun incarico politico, sia una macchia nella reputazione dell’amministrazione Biden. Ma la decisione di graziarlo, da parte del padre, sta aggiungendo benzina sul fuoco. Soprattutto con questa grazia così estesa, che non riguarda solo le condanne già spiccate dalla magistratura, ma anche quelle eventuali future.
Cosa vorrà mai nascondere, Joe Biden? Quali indagini teme per il prossimo futuro, quando sarà fuori dalla Casa Bianca e non sarà più in grado di proteggere il figlio? Il presidente uscente parla di “persecuzione” nei suoi confronti e non accetta i verdetti, considerandoli politicizzati, ma fino a prova contraria al potere c’era lui, il Dipartimento di Giustizia è stato usato in modo fin troppo spregiudicato per processare Trump e gli altri nemici di Biden. Ad essere accusato, eventualmente, di abusi di potere, potrebbe essere il presidente stesso. Un precedente pericoloso, dunque, che potrebbe essere sfruttato anche da Trump e da chiunque dopo di lui.
Nonostante le critiche piovute anche da rappresentanti e senatori democratici, gli “ultimi samurai” di Biden, come l’economista Anders Aslund, twittano che con Trump finirà lo Stato di diritto, “promette vendetta, non giustizia”. E quindi bisogna… violare per primi le regole di una giustizia equa? Comunque lo si guardi, è un discorso viziato all’origine. Ed è rivelatore di un clima in cui, come in Italia, la giustizia viene usata dai politici per assolvere la propria parte e colpire gli avversari.
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