Tobias Rehberger (Esslingen,1966) torna a Colle di Val d’Elsa con un progetto centrato sul dialogo tra tradizione e futuro. Come nell’opera Montevideo del 1999, realizzata in cristallo soffiato, l’artista utilizza questo materiale locale per creare un’istallazione esposta presso il museo UMoCA del borgo toscano, un’esplorazione di temi come eredità, identità e spazio pubblico. Le lampade, controllate dai figli di Rehberger tramite un’app, simboleggiano il passaggio generazionale e invitano a riflettere sul futuro del patrimonio artistico. L’installazione unisce artigianato, tecnologia e poetica artistica, ponendo interrogativi sul senso dell’arte e sul legame tra generazioni.
Intervista a Tobias Rehberger
L’artista oggi ha il potenziale di essere una figura d’influenza anche al di fuori del mondo culturale, per esempio in campo politico o sociale. Quale pensa sia la responsabilità dell’artista nel promuovere il cambiamento o nel sensibilizzare su questioni globali?
Non sono sicuro che si tratti di responsabilità. In qualche modo mi piace di più l’idea dell’irresponsabilità. Ma quello in cui credo è il rispetto, la qualità e le differenze. Credo che questo sia un problema globale in sé.
Crede che il ruolo dell’artista oggi sia più importante che mai nel promuovere una riflessione critica sui cambiamenti che stiamo vivendo, o pensa che l’arte rischi di diventare un semplice prodotto di consumo in un mondo dominato dall’efficienza e dalla produttività? Credo che la vera arte nasca sempre attraverso un problema. Quindi non esiste senza una riflessione critica. Ma naturalmente l’arte rischia sempre di diventare una mera merce. L’ironia è che non si ottiene molto dall’arte se la si tratta come una merce. Allora si ottiene dall’arte all’incirca quanto da un orologio costoso. Forse un po’ di più, si può anche leggere l’ora, ma l’arte è più bella.
Come riesce lei a mantenere una coerenza nella sua poetica e nei suoi valori artistici, pur operando in un mondo in cui le richieste del mercato e della società possono spingere verso compromessi?
A dire il vero, non penso abbastanza al mercato o ad altre strategie. Ma se lo facessi mi irriterebbe e mi renderebbe insicuro. Quindi lo evito. Quindi nessun compromesso… forse troppo poco.
C’è un dibattito in corso su come le nuove tecnologie stiano cambiando l’arte, specialmente con l’introduzione delle intelligenze artificiali. Come vede lei, da artista, il futuro dell’arte in relazione a queste innovazioni?
Penso che le innovazioni siano sempre positive. Migliorano le possibilità di espressione artistica.
Tuttavia, credo che la matita sia stata probabilmente un cambiamento maggiore nello sviluppo della produzione artistica rispetto alla cosiddetta intelligenza artificiale. Perché l’intelligenza artificiale sembra ancora poco intelligente. Non è molto di più di un insieme di dati che seguono un algoritmo. Ma in generale penso che più strumenti ci sono, meglio è.
Può parlarci di come si svolge una giornata tipica di lavoro per lei? Quali sono gli elementi essenziali per mantenere produttività e ispirazione?
Una tipica giornata di lavoro inizia verso le 8. E poi può andare in tutte le direzioni. Ma nella maggior parte dei casi sono in studio per la maggior parte della giornata. Esco quando mi viene fame la sera. Questo è tipico per circa il 40% delle mie giornate… Per mantenere la produttività, credo ci sia un solo modo: avere molti dubbi e rimanere curiosi. Tuttavia, il problema è che questo non è nelle nostre mani. Non si possono avere molti dubbi in proposito.
Qual è il suo rapporto con Associazione Arte Continua e da dove ha origine?
L’origine risale a più di 25 anni fa. Sono stato invitato a realizzare un progetto a Colle Val d’Elsa per Arte all’Arte. Da allora sono diventato amico di Mario, Lorenzo e Maurizio. E soprattutto io e Mario abbiamo realizzato diversi progetti insieme. A volte grandi, a volte piccoli. Ma in qualche modo continuamente.
La mostra On/Off in the Future si collega direttamente alla tradizione locale del cristallo di Colle Val d’Elsa. Come ha influenzato questo materiale la sua visione creativa in questo progetto specifico?
Poiché il nuovo progetto si basa su un progetto di 25 anni fa, in cui abbiamo lavorato con lo stesso produttore locale per il cristallo, era chiaro che volevo lavorare di nuovo con lui. E come dimostra il risultato, l’idea era giusta.
Le sue opere, come in questo caso, spesso invitano il pubblico a riflettere su temi complessi come il senso dell’arte e il rapporto con lo spazio pubblico. Quale pensa debba essere il ruolo dell’arte contemporanea nel modellare il futuro delle comunità locali?
Penso che dovrebbe essere in qualche modo normale che gli artisti siano invitati a far parte di ogni tipo di processo pubblico. Se si guarda a quanto sono tristi gli spazi pubblici costruiti. Quanto sono noiosi e poco stimolanti. Penso che sarebbe bello se l’arte vi giocasse un ruolo maggiore.
Diana Cava
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