Satelliti, l’idea di creare un campione europeo per sfidare Starlink

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Si chiama “Progetto Bromo”, come un vulcano indonesiano, ed è la risposta europea alla supremazia di Elon Musk nello spazio e nei satelliti. I tre giganti europei del settore – Airbus, Thales e Leonardo – stanno pianificando la creazione di una nuova società comune per competere con Starlink, la rete di satelliti per le comunicazioni globali creata dal miliardario americano.

Il progetto rappresenta la più ambiziosa riconfigurazione dell’industria spaziale europea dalla fine della Guerra Fredda. I protagonisti sono tre pilastri dell’industria continentale: Airbus, colosso franco-tedesco che guida il mercato aerospaziale europeo con 11,9 miliardi di euro di ricavi (la cifra comprende anche il comparto difesa); Thales, gigante transalpino specializzato in elettronica avanzata e sistemi di comunicazione satellitare con un fatturato di 17 miliardi; Leonardo, il principale gruppo italiano nel settore, che controlla tecnologie critiche nei sistemi spaziali e la sicurezza. Questa alleanza mira a superare la storica frammentazione del settore, caratterizzato finora da joint venture bilaterali come Thales Alenia Space, collaborazione italo-francese che non è riuscita a contrastare l’ascesa dei nuovi attori americani nel mercato delle comunicazioni satellitari globali.

La struttura societaria della nuova allenza sui satelliti

Il modello organizzativo del “Progetto Bromo” seguirà l’architettura industriale di Mbda, uno dei più riusciti esempi di consolidamento dell’industria della difesa europea. Il consorzio missilistico, nato nel 2001, ha unificato le competenze di tre grandi realtà: la franco-britannica Matra BAe Dynamics, specializzata in missili aria-aria, la francese Aerospatiale Matra Missiles, leader nei sistemi terra-aria, e la divisione missilistica di Alenia Marconi Systems, eccellenza italiana nei sistemi navali. “Quello è il modello, è difficile che possa essere qualcosa di diverso”, ha dichiarato a Reuters Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo ed ex ministro della Transizione ecologica. Il fisico, chiamato a guidare il gruppo italiano della difesa per accelerare l’integrazione tecnologica europea, sottolinea però come la governance del nuovo polo satellitare dovrà essere tarata per competere in un mercato caratterizzato da cicli di investimento più rapidi e necessità di innovazione continua.

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La sfida è più complessa rispetto a quella affrontata da Mbda ormai vent’anni fa. Mentre Mbda opera principalmente nel settore militare, con commesse governative stabili e prevedibili, il nuovo polo dei satelliti dovrà competere con la rivoluzione industriale portata da Starlink. Il gruppo di Elon Musk ha ridefinito il settore con un modello verticalmente integrato: dalla produzione dei razzi Falcon 9 che lanciano i satelliti, fino alla gestione diretta dei servizi di connettività agli utenti finali. Un approccio che ha permesso di abbattere i costi e accelerare l’innovazione, portando in orbita oltre 5.000 satelliti in meno di cinque anni.

La corsa ai satelliti e il quadro regolatorio complesso

La competizione tra Europa e Stati Uniti nel settore satellitare evidenzia un divario strategico che va oltre la tecnologia. L’industria europea ha costruito la sua leadership sui grandi satelliti geostazionari, sistemi complessi posizionati a 36.000 chilometri dalla Terra. Queste piattaforme, dal peso di diverse tonnellate e con un ciclo di vita fino a quindici anni, rappresentano l’approccio tradizionale alle telecomunicazioni spaziali, basato su investimenti ingenti e ritorni di lungo periodo. Starlink, invece, opera attraverso una rete di satelliti più piccoli in orbita a 550 chilometri di altitudine. Questa configurazione sfrutta il vantaggio della minore latenza di trasmissione – il ritardo del segnale è ridotto di circa il 90% rispetto ai sistemi geostazionari – e della ridondanza intrinseca di una costellazione distribuita. Con oltre 5.000 unità operative, il sistema ha dimostrato che un’architettura distribuita può superare in efficienza le soluzioni monolitiche tradizionali, nonostante ogni satellite abbia specificazioni tecniche meno avanzate e una vita operativa limitata a 5-7 anni.

Questo divario tecnologico ha accelerato la necessità di una risposta continentale comune. Il tentativo di consolidamento industriale si scontra però con la complessità del quadro regolatorio europeo. Negli ultimi quindici anni, Airbus e Thales hanno già esplorato diverse ipotesi di integrazione, l’ultima nel 2019, sempre arenatesi di fronte alle normative antitrust di Bruxelles. “Se aspettiamo che i governi si mettano d’accordo su una strategia comune è molto difficile andare avanti”, ha osservato Cingolani, evidenziando come la frammentazione decisionale europea rischi di compromettere la competitività dell’intero settore.

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