I conflitti alimentano il fatturato dei produttori di armi

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I dati del rapporto Sipri indicano per il 2023 un record di 632 miliardi di ricavi dell’industria militare: “netto aumento” per tre quarti delle 100 principali aziende del settore, con l’impennata registrata tra l’inizio dell’invasione russa in Ucraina del 2022 e l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre dello scorso anno

Giovanni Zavatta – Città del Vaticano

Nel 2023 le cento principali aziende del settore degli armamenti e dei servizi a carattere militare hanno registrato un aumento del 4,2 per cento dei ricavi (quantificati in 632 miliardi di dollari) rispetto all’anno precedente, con forti incrementi specialmente per i produttori con sede in Russia e in Medio Oriente. Il nuovo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), diffuso ieri 2 dicembre, non lascia spazio a interpretazioni: la crescente domanda di armi legata alle guerre in Ucraina e a Gaza, alle tensioni in Asia orientale e ai programmi di riarmo in altre regioni del mondo ha avuto una pronta risposta nell’offerta dei produttori, soprattutto dei più piccoli maggiormente efficienti nel soddisfare le richieste.

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Quasi tre quarti delle aziende hanno aumentato il proprio fatturato fra il 2022 (l’invasione russa dell’Ucraina è iniziata il 24 febbraio) e il 2023 (il 7 ottobre l’attacco terroristico di Hamas a Israele). «I ricavi hanno registrato un netto aumento nel 2023 e si prevede che questa tendenza venga confermata dalle cifre del 2024», ha osservato Lorenzo Scarazzato, ricercatore del programma Spese militare e produzione di armi del Sipri: «Fra l’altro i dati sul fatturato delle cento maggiori aziende produttrici non riflettono pienamente l’entità della domanda; molte di esse hanno lanciato infatti campagne di assunzione, il che suggerisce che sono ottimiste riguardo al volume delle prossime vendite».

Sei delle cento principali ditte produttrici di armi hanno sede in Medio Oriente. Il loro fatturato complessivo è aumentato del 18 per cento raggiungendo i 19,6 miliardi di dollari. Con l’inizio della guerra a Gaza, i ricavi totali  di tre società con sede in Israele ammontano a 13,6 miliardi di dollari. Si tratta del fatturato più alto mai registrato dalle aziende israeliane presenti nella classifica stilata da Sipri. Ma anche tre produttori con sede in Turchia hanno visto i loro ricavi crescere complessivamente del 24 per cento per arrivare a 6 miliardi di dollari, traendo vantaggio dalle esportazioni stimolate dal conflitto in Ucraina e dall’obiettivo del governo di rendere la Turchia autonoma nella produzione di armi. «I maggiori fabbricanti del Medio Oriente hanno visto moltiplicare i loro numeri e le attività raggiungeranno livelli senza precedenti», conferma Diego Lopes da Silva, ricercatore capo al Sipri: «In particolare le aziende produttrici di armi israeliane registrano numerosi altri ordini proprio perché Gaza resta sotto attacco».

Stesso discorso vale per la Russia. I ricavi complessivi delle due maggiori società sono aumentati del 40 per cento per cento raggiungendo un importo stimato di 25,5 miliardi di dollari. Ciò è quasi interamente dovuto all’incremento del fatturato del 49 per cento registrato da Rostec, holding di proprietà statale che controlla molte ditte del settore. Pur non essendoci in alcuni casi dati ufficiali, gli analisti ritengono che la produzione di nuove attrezzature militari abbia stabilito livelli record e l’arsenale esistente in Russia abbia beneficiato di un rinnovamento e di una modernizzazione soprattutto riguardo gli aerei da combattimento, elicotteri, droni, carri armati, munizioni e missili.

Scendendo più nel dettaglio, dal rapporto emerge che il ricavato delle 41 principali aziende con sede negli Stati Uniti ammonta a 317 miliardi dollari, ovvero la metà del fatturato totale delle prime cento (+2,5 per cento rispetto al 2022). Sorprendentemente in calo nelle vendite Lockheed Martin e Rtx, ovvero le due più grandi ditte produttrici di armi al mondo. Ma c’è una spiegazione: «Grandi aziende come Lockheed Martin e Rtx, che producono una vasta gamma di armi, spesso dipendono da catene di approvvigionamento complesse e a più livelli. Ciò le ha rese vulnerabili» e meno pronte a soddisfare la domanda — ha spiegato Nan Tian, ​​direttore del programma Spese militari e produzione di armi — in particolare nel settore aeronautico e missilistico.

Cifre in crescita in Asia e in Oceania (+5,7 per cento complessivo) con aumenti soprattutto in Corea del Sud e in Giappone. Per quanto riguarda invece l’Europa i dati totali sul fatturato delle 27 maggiori società di armi parlano di un incremento minimo (0,2 per cento) fra il 2022 e il 2023; a lavorare sopratutto le fabbriche di munizioni, artiglieria, accessori, carri armati e sistemi di difesa aerea e terrestre.



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