Giusto per essere chiari, a scanso di equivoci: i 338 milioni di fondi di Coesione «definanziati» dalla delibera Cipess la Sicilia li ha persi. Senza se e senza ma. E la stessa sorte rischiano di avere le altre risorse (la stima è di circa 400 milioni) destinate a opere che non rispettano i requisiti. Così, quando nella “contro-narrazione” attivata dopo il clamoroso fallimento vengono fuori le «opere recuperate», si mente sapendo di mentire. Perché è vero che alcuni progetti sono stati già “ripescati” trovando nuovi canali, nazionali ed europei, di finanziamento: ieri abbiamo rivelato l’elenco dei 15 progetti di Regione (12 milioni) e Città metropolitane di Catania (7 milioni) e Messina (5,4 milioni) riprogrammati con il nuovo Piano di sviluppo e coesione 2021/27. Ma è altrettanto vero che la Sicilia ha perso le risorse della programmazione Fsc 2014/20 assegnate per i 79 progetti cancellati dalla delibera Cipess perché privi di «obbligazioni giuridicamente vincolanti».
Le nuove risorse
Quindi: i 338 milioni (che potrebbero diventare quasi 800, secondo una prima ricognizione della Programmazione regionale) tornano nella cassaforte “centrale” di Roma. E non c’entra nulla il destino delle opere in questione: si possono fare, si faranno, alcune si stanno già facendo. Ma utilizzando nuove risorse, che – se le precedenti, assegnate nella finanziaria nazionale del 2014, non fossero state gestiti così male – sarebbero potute servire per altri scopi. Ieri, dal dipartimento più colpito dalla scure del Cipess è arrivato un aggiornamento sulle opere di acqua e rifiuti rifinanziate: le dighe Disueri, Rosamarina e Olivo, le discariche di Sciacca e Castellana e il Ccr di Mascalucia. Tutto vero: i progetti che s’affrettano a definire «recuperati» avranno una nuova vita. Ma quei soldi no: li abbiamo persi. Con una doppia, amara, verità: oltre all’incapacità di spendere c’è anche quella di programmare. Perché se la stessa opera definanziata viene poi “riciclata” in più plafond, allora significa che la Sicilia non sa nemmeno progettare.
La reazione
E allora ben venga l’iniziativa di Renato Schifani, che ieri ha annunciato di aver disposto «un accertamento ispettivo urgente» per verificare «le ragioni che hanno determinato la mancata assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre 2022 e il conseguente definanziamento di 45 interventi a valere sul Fsc 2014-20, per un importo di 102 milioni di euro». Lo stesso, magari, si dovrebbe fare negli uffici delle tre Città metropolitane. E non per una caccia alle streghe o magari per inconfessabili vendette politiche. Ma per il diritto alla verità che si deve ai cittadini siciliani su chi sono i colpevoli del fallimento. Il lavoro del pool scelto dal presidente della Regione (la segretaria generale ad interim, Margherita Rizza, l’avvocato generale Giovanni Bologna e il dirigente generale della Programmazione, Vincenzo Falgares) potrà chiarire la filiera delle responsabilità. Salvo Geraci, capogruppo della Lega all’Ars, plaude all’iniziativa presidenziale e rilancia la proposta di «una struttura di missione, per non perdere ulteriori risorse del Psc».
Sms di Musumeci
Qui la politica c’entra, ma fino a un certo punto. Il governatore, lunedì, ha fatto spallucce sui fondi Psc definanziati, buttando la palla nel campo del suo predecessore. Nello Musumeci non si esprime (anche se si vocifera di un sms di fuoco inviato ieri dal ministro a Schifani, a Roma per impegni istituzionali, ma fonti di Palazzo d’Orléans non confermano) e però ora saranno molti vertici dei dipartimenti scelti dal suo governo a dover dare qualche spiegazione. I conti si faranno alla fine, rispetto ai 5,6 miliardi di Fsc 2014/21 assegnati alla Regione.
L’emendamento del M5S
L’ultimo aspetto riguarda la possibilità di recuperare anche in parte le risorse definanziate. Il M5S, con la senatrice Ketty Damante, ha annunciato un emendamento (magari a un decreto-omnibus post manovra) per riassegnare i fondi alla Sicilia e anche il collega dem Antonio Nicita, firmatario di un’interrogazione sul flop siciliano del Psc, sembra sul pezzo. Ma adesso ci vorrebbe anche un colpo d’ali del centrodestra. Prima a Palermo e poi a Roma. Per dimenticare i veleni interni, a partire dal “derby dei governatori”, assumersi le proprie responsabilità. E chiedere al governo Meloni di salvare il salvabile.
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