«Spero che il Governo abbia un piano, altrimenti assisteremo all’eutanasia del nostro sistema industriale»
«Non credo che Stellantis da sola possa cambiare il trend dell’automotive piemontese, basta leggere i dati degli ultimi anni. E se continueremo a concentrarci solo sul motore termico faremo la fine di chi produceva televisioni con il tubo catodico. Vedo molto entusiasmo dopo le dimissioni di Tavares, ma io non sarei così ottimista. Spero che il Governo abbia un piano, altrimenti assisteremo all’eutanasia del nostro sistema industriale». Giorgio Airaudo, segretario generale di Cgil Piemonte, commenta così le ultime notizie relative alla multinazionale dell’auto e il possibile futuro della componentistica, che in regione conta 150 mila addetti.
Airaudo, lei come legge le dimissioni di Tavares? Cosa si attende nei prossimi mesi?
«La notizia non è certo una sorpresa, credo che se ne sia andato per via dei cattivi risultati nel mercato americano. Era un manager che sapeva tagliare i costi, lo sanno bene tutti i componentisti dell’indotto auto piemontese. Negli ultimi mesi hanno avuto a che fare con ritardi nei pagamenti, richieste di sconti, rientro di lavorazioni. E poi hanno visto le presentazioni di nuovi modelli, al Lingotto, ma fabbricate in altri Paesi. Da qui nasce la loro soddisfazione».
Lei non la condivide?
«La squadra che Tavares lascia è composta soprattutto da francesi, e non credo che siano così diversi dal loro ex amministratore delegato. Per intenderci non mi aspetto un nuovo modello per Mirafiori nelle prossime settimane. E nemmeno un piano industriale. Ma mi auguro che il governo sappia far sentire la propria voce e che ottenga qualcosa. A Torino occorre anticipare i tempi della nuova 500, insieme a un altro modello. E invece nel 2025 entreremo nel 18° anno di cassa integrazione. Questo per dire che la crisi dell’auto in Piemonte non è iniziata per le politiche europee sull’ambiente. Negli ultimi anni Stellantis ha rinunciato a 8 mila lavoratori, l’equivalente di due fabbriche, depauperando la ricchezza del personale. E non per colpa dell’elettrico. Solo per questo oggi non parliamo di licenziamenti».
Cosa pensa della buonuscita di Tavares?
«Sono cifre impressionanti rispetto al salario di un operaio. Una sproporzione inaudita. Ma non mi sorprende, ricordiamoci che il suo stipendio era di 40 milioni l’anno. Questo mi colpisce di più».
Il 2025 sarà un anno complesso?
«Sì, per via di tre fattori. Conosciamo la situazione geopolitica, che sicuramente non aiuta il commercio, mentre l’insicurezza e le continue tensioni portano molte famiglie a risparmiare. Allo stesso tempo l’auto non è più vissuta come un elemento di emancipazione, e così è cambiata la sua posizione nel mercato».
Qual è la sua più grande preoccupazione?
«Il mondo della componentistica. A oggi siamo l’ottavo produttore di auto in Europa, tra poco saremo sorpassati anche dalla Romania. Diverse aziende non lavorano solo per Stellantis, ma hanno visto precipitare le proprie commesse anche per la crisi tedesca. Oggi più che mai dobbiamo difendere il nostro patrimonio di competenze, modificando le condizioni degli ammortizzatori sociali per facilitare la transizione. Questa non deve essere solo ambientale ma anche sociale, magari usando proprio i fondi europei. Solo salvando questo sistema possiamo attrarre nuovi modelli Stellantis o altri produttori. Se perdiamo l’habitat è tutto finito».
Cosa farete nei prossimi giorni come sindacato?
«Il 6 dicembre è in programma un’assemblea a Torino con le istituzioni regionali. Faremo presente che permane una sudditanza psicologica verso un’azienda che non ci ha premiato. Il governo non si deve compiacere di avere un rapporto meno ostile con il Gruppo, non ci serve qualcuno che appoggi l’azienda ma che gli presenti il conto. La premier deve incalzare Stellantis perché da troppo tempo non è più la Fiat. La politica deve saper interpretare un nuovo corso, senza timori reverenziali ingiustificati. Oggi abbiamo un gap tecnologico e questo può essere colmato solo con la contaminazione, che siano cinesi o Tesla».
Come mai non riusciamo ad attrarre nuovi produttori in Piemonte nonostante l’ecosistema di competenze?
«Questa è una bella domanda che si dovrebbe fare al governo Meloni, visto che oggi riusciamo a perdere il confronto pure con l’Ungheria. Anch’io mi pongo questo interrogativo. Nel frattempo però i dati parlano chiaro. In regione il ricorso alla cassa integrazione, rispetto al 2023, è cresciuta del 60%, a Torino dell’80%. E questo termometro racconta tutto. Sarebbe bello sapere quanto dovrà durare ancora questa traversata nel deserto. Sempre che finisca».
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