Al G7 del turismo non si parli solo di economia

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Cultura & Società

Luca Bagnoli, presidente del Cda dell’Opera di S. Maria del Fiore di Firenze, riflette sul per noi prossimo appiuntamento del G7 del turismo che sarà ospitato a Firenze dal 13 al 15 novembre

L’industria del turismo ha assunto dal dopoguerra una rilevanza sempre maggiore in termini di impatto sulla produzione di ricchezza globale. Nel 2024 a livello mondiale si prevedono entrate per oltre 11 trilioni di dollari, pari al 10% del Pil (Wttc, 2024), mentre per l’Italia si stimano presenze per circa 470 milioni, con la realizzazione di un Pil turistico pari a 104,5 miliardi (Srm, 2024). Insomma, cifre di tutto rispetto.
Particolare attenzione, merita, in questo contesto, il tema del turismo culturale. Si tratta, per citare l’Osservatore regionale della Cultura (Nota n. 1/2024), del segmento del turismo considerato più appetibile, per i maggiori ritorni economici e i minori impatti negativi (minore stagionalità, maggiore sensibilità ai temi della conservazione e della tutela).

Ma cosa si intende per «turismo culturale» e, soprattutto, per «città d’arte», queste grandi attrattrici di turismo culturale? Per l’Istat il turismo culturale corrisponde ai flussi turistici motivati prevalentemente dalla volontà di fruire del patrimonio artistico, storico, naturalistico e paesaggistico-culturale di un territorio. La denominazione di città d’arte secondo il ministero del Turismo corrisponde, nell’uso attuale, a quei centri urbani con una significativa densità turistica e di popolazione residente e una presenza di luoghi ed edifici storici e opere d’arte rilevante e tale per cui il patrimonio culturale, materiale e/o immateriale, ne costituisce il principale elemento identitario.

L’Unione europea riconosce la denominazione di «città d’arte» anche ai piccoli centri che rivestono un’importanza storica e culturale riconosciuta dall’Unesco. Sempre l’Istat, in un approfondimento sul turismo culturale (2023) riconosce alla Toscana, insieme a Valle d’Aosta e Umbria, una sorta di primazia. La nostra regione è interamente costituita da Comuni con una qualche vocazione turistica, accanto alla quale emerge la presenza di un significativo patrimonio culturale, storico, artistico e paesaggistico.

Infine, la Toscana assorbe il 28,6% del turismo culturale nazionale (Istat, 2019) e, con Firenze, possiamo contare su una tra le città d’arte con il più alto grado di attrattività turistica per abitante a livello mondiale. Siamo, quindi, di fronte a un quadro positivo: l’industria turistica europea e nazionale in crescita, soprattutto in termini di presenze estere, e all’interno di questa la sempre maggior importanza del turismo culturale, più sostenibile, che vede la Toscana leader per capacità attrattiva.

Ma alla vigilia del G7 sul turismo a Firenze, risulta opportuno evidenziare anche alcuni – significativi – aspetti negativi. Senza pretese di esaustività e nel rispetto dello spazio assegnato, due temi rilevanti: il lavoro e la perdita d’identità dei luoghi afflitti da iperturismo.

Per quanto riguarda il lavoro, la crescita del turismo porta senz’altro un incremento dell’offerta di occupazione. A differenza di altri settori, questi lavori sono purtroppo spesso a bassa qualificazione, stagionali e scarsamente remunerati. Valga, per tutti, la crescita della domanda per lavoratori nei servizi di pulizia degli affitti a breve termine, da contrapporre alla ormai strutturale perdita di occupazione specializzata nel settore dell’industria manifatturiera.

In tema di identità, negli ultimi anni, complice una non regolamentata offerta di ricettività turistica, la crescita delle presenze ha portato a delle vere e proprie invasioni delle città d’arte – si pensi a Venezia, Napoli e Firenze – con conseguenze pesanti in termini di allontanamento economico dei residenti, di abbandono dei presidi locali e di crescita della micro-criminalità. Le nostre città d’arte subiscono, utilizzando un diffuso neologismo, una vera e propria instagrammazione sia attiva sia passiva, fenomeno che le rende contenitori standardizzati, vuote di contenuti distintivi. In questo, il fenomeno diffuso delle cosiddette città imprenditrici, volte ad autopromuoversi per attrarre investimenti e nuove imprese ha spesso finito per trasformarsi in una svendita a capitali interessati unicamente alla massimizzazione della rendita. In questo senso Firenze, dove negli anni recenti pressoché tutti gli immobili ex pubblici sono stati destinati a ricettività turistica o a studentati per ospiti (molto) abbienti, è un caso di scuola.

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Non rimane che sperare che negli incontri pubblici del prossimo G7 del turismo si parli non solo di sviluppo economico, ma anche – come hanno fatto con successo nel mondo città quali Amsterdam, New York e Barcellona – di progresso e di regole volte a salvaguarda l’identità dei nostri luoghi. Che, paradossalmente, è proprio quella che i turisti cercano.



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