Seminario e Facoltà Teologica. Necessaria la formazione economica del futuro presbitero

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La gestione del denaro e dei beni delle comunità è un tema che, sempre più spesso, siamo chiamati ad affrontare. Piuttosto che una “politica” dell’emergenza, però, sarebbe utile partire da una formazione adeguata di chierici e laici su questo tema. Spesso anche il Santo Padre ha usato parole molto dure nei confronti di quelle persone che hanno gestito male i beni ecclesiastici. Bisogna ammettere, però, che spesso molti errori avvengono perché la formazione su questi temi è molto scarsa, addirittura nulla in alcune realtà, e ci si affida a persone “esterne” o laici che non sempre fanno gli interessi della comunità. Sarebbe utile, quindi, una formazione anche su queste tematiche durante gli anni del seminario. Si pensi, ad esempio, a quanto prevede il canone 1289 CJC: «Benché non siano tenuti all’amministrazione a titolo dell’ufficio ecclesiastico, gli amministratori non possono di loro iniziativa dimettere l’incarico assunto; che se dalla loro arbitraria dimissione derivi danno alla Chiesa, sono tenuti al risarcimento». Essendo una parte molto delicata dello stesso ministero, è necessario che anche nelle Facoltà Teologiche si inizino a prevedere dei corsi in cui i chierici vengono formati su questioni prettamente pratiche dal punto di vista economico ed amministrativo: gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, la gestione dei beni immobili, la contabilità e il rendiconto annuale, la manutenzione, gli aspetti fiscali della parrocchia, la deducibilità e il trattamento delle offerte e delle donazioni alla parrocchia, il consiglio per gli affari economici, la gestione delle attività commerciali della parrocchia (cinema parrocchiale, oratorio, bar, ecc…), la gestione dei volontari e di eventuali dipendenti, ecc… Sono tutte tematiche che un giovane curato di 25/30 anni si ritrova ad affrontare, appena ordinato, ma che purtroppo – a meno che non abbia fatto studi personali – non sa come gestire. 

Il decreto conciliare Presbyterorum ordinis, rammenta che i presbiteri devono amministrare i beni ecclesiastici «per quegli scopi per il cui raggiungimento la Chiesa può possedere beni temporali, vale a dire: l’organizzazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere di apostolato e di carità, specialmente a favore dei poveri». Tutto questo deve avvenire secondo prudenza e servendosi anche di organismi di partecipazione previsti dal Diritto: il Consiglio pastorale parrocchiale e il Consiglio degli affari economici. La decisione e la responsabilità finale, chiaramente, sono in capo al Parroco. Il Codice di Diritto Canonico, inoltre, stabilisce: «Prima che gli amministratori inizino il loro incarico gli stessi devono garantire con giuramento avanti all’Ordinario o a un suo delegato di svolgere onestamente e fedelmente le funzioni amministrative». Di sacerdoti che non compiono onestamente questo incarico ne abbiamo davvero pochi, piuttosto, a volte c’è una incolpevole incompetenza. Quelli delle nostre comunità, però, sono beni della collettività e per questo motivo anche i fedeli sono molto attenti a quanto accade. La maggior parte delle diatribe in parrocchia avvengono proprio in merito al denaro e alla sua gestione, per questo motivo è bene formare chierici che sappiano gestire al meglio anche i beni della parrocchia in modo da evitare di farsi truffare e allo stesso tempo di dare scandalo con una mala gestione. 

Sono molto utili, e credo sia positivo partire proprio da questo, i principi ispiratori del nuovo sistema adottato in Italia per «Sovvenire» alle necessità della Chiesa, menzionati dai vescovi italiani nella Lettera Sostenere la chiesa per servire tutti del 4 ottobre 2008 a vent’anni da Sovvenire alle necessità della Chiesa. Corresponsabilità e partecipazione dei fedeli. In quel documento i presuli evidenziavano l’importanza di educare al dovere del sovvenire e alla promozione di una mentalità ecclesiale di partecipazione e di corresponsabilità. A questo riguardo, veniva ricordata la necessità di riproporre le motivazioni ecclesiologiche ed etiche che fondano il sistema di sostegno economico alla Chiesa, perché senza di esse la stessa Chiesa perderebbe tutta la sua forza esemplare e propositiva. Inoltre, veniva tracciato un primo bilancio riguardo alle opportunità offerte dal nuovo sistema, i valori che ha diffuso, le mete da raggiungere. Ciò che è importante, in modo particolare, sono i «principi guida» posti alla base del nuovo sistema, poiché contribuiscono alla formazione per una corretta gestione amministrativa e ad un’adeguata amministrazione dei beni delle diocesi e delle parrocchie: 

Il dono e l’impegno della comunione. 
La chiamata alla corresponsabilità. 
Il senso della partecipazione. 
La meta dell’uguaglianza. 
L’obiettivo della trasparenza. 


Anche alla luce del documento finale del Sinodo sulla Sinodalità, è utile comprendere che vi sono alcune derive possibili ed è necessario trovare un equilibrio che, comunque, il Codice di Diritto Canonico già ha tentato di arginare con l’istituzione degli organismi di partecipazione. Da un lato, quindi, è necessario che le decisioni vengano prese ascoltando gli organismi, a seguito di un confronto e di una consultazione; dall’altro è doveroso rammentare che la Chiesa non è una democrazia e le decisioni non vengono prese a seconda dei “numeri” e della maggioranza. Resta sempre in capo al parroco il dovere morale e giuridico di decidere per il bene della collettività e non altro. 

d.L.V.
Silere non possum









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