Brescia, “suor ‘ndrangheta” teneva i contatti con il clan

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L’INCHIESTA

ROMA Era impossibile immaginare che, quando andava a trovare i detenuti nelle carceri di San Vittore e Brescia, portasse anche messaggi e comunicazioni da parte del clan. Secondo gli inquirenti che ieri l’hanno arrestata, suor Anna Donelli, che ora si trova ai domiciliari, avrebbe sfruttato il suo incarico spirituale per fare da intermediaria con la ‘ndrangheta: avrebbe trasmesso ordini e istruzioni, e ricevuto informazioni utili per pianificare strategie criminali. È emerso nella maxi inchiesta della Dda di Brescia, condotta da Polizia di Stato, Carabinieri e Finanza. Ieri sono state eseguite 25 misure cautelari e sono stati sequestrati 1,8 milioni di euro, mentre sono state fatte perquisizioni nelle province di Brescia, Reggio Calabria, Milano, Como, Lecco, Varese, Verona, Viterbo e Treviso. Secondo chi indaga, nel bresciano sarebbe da tempo attiva un’associazione mafiosa di matrice ‘ndranghetista esperta in estorsioni, traffico di armi e droga, ricettazioni, usura, reati tributari e riciclaggio. Tra le accuse, a seconda delle posizioni, anche lo scambio elettorale politico mafioso. La religiosa è indagata in un’inchiesta parallela insieme all’ex consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d’Italia, Giovanni Acri, pure lui ai domiciliari, e Mauro Galeazzi, ex assessore in quota Lega a Castel Mella, arrestato in passato per tangenti, poi scarcerato e assolto.

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IL RUOLO
La suora era ormai un volto conosciuto nelle case circondariali: era stata anche soprannominata simpaticamente “Collina” per il suo ruolo di arbitro di calcetto nelle ore d’aria dei detenuti. Originaria di Cremona, 57 anni, suor Anna Donelli appartiene all’Istituto suore di carità. È accusata, si legge negli atti, di aver messo a disposizione del gruppo «la propria opera di assistenza spirituale nelle case di reclusione per veicolare messaggi tra appartenenti all’organizzazione criminale e soggetti in carcere». La contestazione è pesante: concorso esterno in associazione mafiosa. Il gip di Brescia sottolinea che la donna avrebbe avuto dai detenuti e poi comunicato agli indagati «informazioni utili per meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative e dell’Autorità giudiziaria». La sua presenza sarebbe servita anche per «risolvere dissidi e conflitti all’interno del carcere». Dalle indagini è emerso che la suora avrebbe trasmesso «ordini, direttive, aiuti morali e materiali ai soggetti sodali o contigui al sodalizio». Si sarebbe anche proposta per favorire «lo scambio informativo tra i detenuti e i loro prossimi congiunti nel caso di divieti di colloqui».

LA COSCA
L’indagine è iniziata nel settembre 2020 e riguarda una presunta associazione per delinquere di matrice ‘ndranghetista, originaria di Sant’Eufemia d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, attiva a Brescia e provincia «e legata da rapporti federativi alla cosca “Alvaro”, egemone nella zona aspromontana compresa tra i comuni di Sinopoli e Sant’Eufemia d’Aspromonte», sottolineano gli investigatori. Il sodalizio avrebbe favorito la cosca calabrese Tripodi, riproducendo al Nord «una “locale” in grado di porre in essere le peculiari azioni che caratterizzano le associazioni di tipo mafioso, quali estorsioni, traffico di armi e stupefacenti, ricettazioni, usura e scambio elettorale politico-mafioso», aggiunge chi indaga. Sono emersi anche legami con altri gruppi criminali dell’hinterland bresciano. Tra i vertici dell’organizzazione, per l’accusa Stefano e Francesco Tripodi, padre e figlio, a capo dell’azienda Stefan Metalli. Sarebbe stato il primo a fare riferimento a «una monaca», una «religiosa» con la quale avrebbe stretto «un patto». Uno dei primi incarichi sarebbe stato parlare con un detenuto che aveva litigato con un altro recluso vicino al clan. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche intercettazioni captate negli uffici di Flero – comune nel bresciano -, base logistica del gruppo. Tripodi avrebbe indicato la donna come «la suora che lavora in carcere». E avrebbe detto ad una terza persona: «Se ti serve qualcosa dentro, è dei nostri». In un colloquio l’indagato si sarebbe anche vantato della sua capacità intimidatoria e, facendo riferimento a un giovane sodale, avrebbe detto che gli avrebbe insegnato a sparare. Per il gip il legame di suor Anna con la famiglia Tripodi «non appare né occasionale né insignificante». Quando la nipote aveva avuto un incidente la donna avrebbe detto che si sarebbe occupata lei di tutto tramite «i suoi amici».

Michela Allegri

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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