Il Risiko (armato) si allarga. Il punto

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


di Raffaele Crocco

Il Risiko fa vittime, mano a mano che si allarga. La guerra in Siria è tornata alla ribalta. In realtà, non era mai finita. Oggi, però, almeno 70mila siriani sono di nuovo in fuga da casa loro, braccati dalle bombe e dalle milizie di una qualche parte in gioco. Le forze jihadiste alleate con la Turchia – nostra alleata nella Nato, vale la pena ricordarlo – hanno conquistato Aleppo, la seconda città del Paese. Ora puntano alla quarta, Hama, nella Siria Centrale, strategica per il passaggio di uomini e merci. Al Jazeera racconta che i miliziani sono entrati nella città dopo intensi combattimenti, costringendo le unità dell’Esercito siriano a ridistribuirsi fuori dalle mura. Il comandante dei ribelli, Hassan Abdul Ghany, ha scritto che da giovedì 5 dicembre, i miliziani hanno iniziato ad entrare in città, dopo pesanti combattimenti notturni con l’esercito siriano, sostenuto da intensi attacchi aerei russi.

Di fatto, la Siria torna ad essere quello che è stata per dieci anni: un grande laboratorio per la guerra globale, con tutti contro tutti. Il riposizionamento degli attori in campo è frenetico e letale. I Presidenti russo Vladimir Putin e iraniano Massud Pezeshkian hanno confermato il “sostegno incondizionato” all’alleato Assad. L’Iran ha mosso le proprie milizie sciite dall’Iraq. L’aviazione russa ha, invece, martellato le roccaforti dell’insurrezione sostenuta da Ankara. Mentre tutto questo accadeva, migliaia di combattenti dell’ala siriana del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) sono stati costretti ad abbandonare l’enclave di Tell Rifaat e il distretto di Shahba, a nord di Aleppo. A scacciarli le milizie finanziate dalla Turchia, che potrebbe ora scontrarsi, con reparti dell’esercito statunitense, schierati nell’area proprio per difendere i curdi. Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna in una dichiarazione congiunta hanno chiesto una “de-escalation” in Siria , sollecitando la protezione dei civili e delle infrastrutture. “L’attuale escalation – hanno scritto – non fa che sottolineare l’urgente necessità di una soluzione politica guidata dalla Siria al conflitto, in linea con la risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

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Un caos totale, che ricorda come nel Risiko planetario si sia da tempo inserito un altro giocatore: l’integralismo islamico legato al progetto di califfato mondiale. E’ l’Isis, come lo abbiamo chiamato, tornato vivo in Siria, ma da sempre in azione nell’Africa Sub Sahariana e in parti dell’Asia. Un giocatore scaltro, che non ama né i “filoamericani”, né gli “antagonisti”, ma capace di sfruttare le debolezze e i vuoi lasciati da tutti. La partita, in questo modo, diventa ancora più difficile e pericolosa. A Gaza, intanto, si muore ancora. Il Ministero della Salute di Hamas afferma che gli attacchi israeliani all’enclave hanno ucciso 48 palestinesi e ne hanno feriti 201 in pochi giorni. Inoltre, le forze armate israeliane hanno nuovamente bombardato la cosiddetta “zona sicura” di al-Mawasi a Gaza. Sono 21 i morti. Le bombe non hanno risparmiato nemmeno i serbatoi d’acqua dell’ospedale della zona. Una scelta deliberata, per rendere invivibile il nosocomio.

Altrove, in Ucraina, si combatte senza speranza. La guerra di trincea non ha fine. I dati spaventosi vengono sempre più confermati. Anche il Wall Street Jornal parla di “un milione di russi e ucraini uccisi o feriti dal febbraio del 2022”. In novembre, nel 2024, la Russia avrebbe perso quasi 46mila soldati. Numeri spaventosi, che fanno prevedere un futuro cupo, per l’Ucraina, dal punto di vista demografico. Sul piano militare, la situazione appare immobile, con la Russia a tentare di incrinare la difesa ucraina. Il logoramento è costante e pesante. In settimana, il presidente ucraino Zelensky ha ripetuto che “bisogna fare di tutto per porre fine alla guerra nel 2025 attraverso la via diplomatica”, ma partendo da “un’Ucraina forte”. Vladimir Putin – nel corso della telefonata con il cancelliere tedesco Olaf Scholz – ha ribadito che un possibile accordo per la fine del conflitto deve “basarsi sulle nuove realtà territoriali”, ovvero su quanto conquistato finora da Mosca. Posizioni ancora lontanissime, che scontano, per di più, l’incognita dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.

Ma lo scontro pare non avere confini e forma definita. Nel Mar Cinese occidentale la tensione resta alta. Il Presidente filippino, Ferdinand Marco Junior, ha denunciato la presenza di un sottomarino russo nelle acque del suo Paese. “Qualsiasi intrusione nel mar Cinese occidentale, nella nostra zona economica esclusiva (ZEE), nelle nostre linee di base è molto preoccupante”, ha dichiarato. Il sottomarino d’attacco russo sarebbe emerso la settimana scorsa nella Zee di Manila. Si tratterebbe di un sommergibile Ufa, ad alimentazione diesel-elettrico, della classe Kilo II, proveniente dalla Malesia. Se ne sono perse le tracce.





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