La CRUI spezza la comunità universitaria e si schiera contro i lavoratori e le lavoratrici precari/e

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In questi mesi la CRUI ha denunciato con forza e preoccupazione i tagli al sistema universitario nazionale, sul FFO 2024 (oltre 500 mln di €, a cui se ne aggiungono altri 250 per l’adeguamento degli stipendi) e nelle legge di Bilancio 2025 (blocco turnover al 75%, restituzione all’erario del restante 25%, previsione di oltre 700 mln di ulteriori tagli nel prossimi triennio ai fondi MUR), come ha sottolineato la necessità di mantenere un rigore nei confronti di comportamenti e requisiti delle università telematiche. Lo ha fatto con determinazione, anche inusualmente contrastando una Ministra che pervicacemente continua a negare, con coscienza o meno, dimensioni e qualità di questi tagli (come qualche giorno fa al Senato). Ancora la scorsa settimana, la CRUI ha scelto di ospitare le 122 società scientifiche, che nella loro importante lettera hanno scelto di schierarsi con forza contro questi tagli e contro l’annunciata revisione del pre-ruolo, con la moltiplicazione delle figure precarie e le loro tutele decrescenti.

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Nell’audizione parlamentare di commento al DDL 1240, però la CRUI ha scelto di spaccare la comunità universitaria, come il CUN prima di lei, finendo per scaricare sulla sua componente più fragile i costi più immediati e diretti di questa nuova stagione di tagli, di questo nuovo inverno per gli atenei italiani dopo il pesante triennio Tremonti/Gelmini. Questa scelta è pesante e grave: nel pieno di un difficile confronto con il governo, alla vigilia di un anno cruciale in cui diversi atenei stanno sospendendo le prese di servizio per l’insostenibilità degli equilibri economico-finanziari, ha deciso di rompere il fronte unitario dell’iniziativa a difesa dell’università, sostenendo pienamente l’iniziativa governativa contro il precariato.

In conclusione, la CRUI accoglie con favore il DDL S. 1240, riconoscendone il potenziale per valorizzare la ricerca e rafforzare il sistema universitario. Con queste parole, infatti, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane promuove con lode il Ddl 1240. Non solo. Il documento consegnato alla VII Commissione permanente del Senato (Cultura, Istruzione, Ricerca, spettacolo e sport) propone un’ulteriore radicalizzazione della precarizzazione del lavoro docente e di ricerca, rendendolo pienamente strutturale all’offerta didattica e formativa senza riconoscergli le stesse tutele dei lavoratori strutturati.

In ogni singolo punto trattato, infatti, i rilievi dei Rettori sul disegno di legge sono peggiorativi rispetto alla legge 79 e financo all’impianto complessivo dell’originaria Legge Gelmini, perché aggravano la già drammatica condizione delle precarie e dei precari della ricerca. Nel testo dell’audizione, infatti, si propone:

  • l’estensione della durata dei nuovi rapporti di lavoro atipici (assistente alla ricerca senior e contratto post-doc) arrivando a raddoppiare gli anni di precariato rispetto alla Legge 79/2022;
  • la trasformazione del passaggio da RTT a Professore Associato in un’occasione di selezione, di fatto indebolendo se non travolgendo profilo e senso della tenure track;
  • l’inclusione dei contratti post-doc nei docenti di riferimento di un corso di laurea, parificando queste figure atipiche e iper-precarie nel quadro della docenza universitaria di ruolo e soprattutto, fornendo implicitamente un regalo alle telematiche che sfrutterebbero questa possibilità per riempire le proprie lacune di personale reclutando in condizioni di massima precarietà gli esodati dagli altri atenei (Alla CRUI non sono in grado di prevedere gli effetti di quel che chiedono o sono semplicemente complici nelle misure di aiuto alle telematiche?);
  • l’eliminazione del requisito esclusivo del titolo di dottorato per l’accesso ai contratti post-doc;
  • la conferma e le lodi della figura del professore aggiunto, casualmente di diretta nomina rettorale, auspicando perfino una durata dell’incarico superiore ai tre anni.

Infine, si propone di inserire alcune figure a tempo indeterminato (il ricercatore e il tecnologo), senza accorgersi che una esiste ancora (ad esaurimento, ma costituisce ancora quasi il 10% dei ruoli negli organici), l’altra è appena stata introdotta nel CCNL. Non è un caso: come nella proposta CRUI del 2022, queste figure non sembrano essere pensate come elementi di approdo iniziale e di tutela del pre ruolo, ma come punti di caduta per gli RTT selezionati e bocciati nella pseudo tenure-track da loro riplasmata in senso selettivo, “sotto costante ricatto del valutatore”.

Quest’impostazione prende sostanzialmente atto delle attuali politiche di governo e delle conseguenze dei tagli delineati in questi mesi, limitandosi a gestire il disastro che causeranno, svalutando diritti, stipendi e condizioni di lavoro di una parte consistente della comunità universitaria. Così si svende il futuro dell’ennesima generazione di giovani (e non più giovani) ricercatori e ricercatrici, per far quadrare i conti degli atenei. La situazione attuale imporrebbe alla comunità accademica di agire unita a salvaguardia della salute e del benessere di ogni suo lavoratore e lavoratrice, specie se precario o precaria, oltre che della rigorosa difesa del sistema nazionale universitario e del suo impianto pubblico, progressivamente degradato dall’iniziativa di questa maggioranza di governo. Così, però, oggi non è, perché la CRUI sceglie di assumere il ruolo di controparte del precariato, degli studenti, del personale tecnico amministrativo e dei docenti che vogliono difendere il futuro di un’università pubblica e democratica.

Nonostante questo, continueremo nelle prossime settimane il nostro impegno per fermare questa revisione sbagliata e pericolosa, proseguendo la campagna di assemblee, mobilitazioni e iniziative che si sono innescate negli atenei in queste settimane, cercando di sviluppare un movimento contro il DdL Bernini e, oggi, contro queste proposte e queste prospettive indicate dalla CRUI.


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