«L’Abi si trasforma per contrastare le disuguaglianze sociali. Nuova spinta al digitale»

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L’​Abi, associazione di categoria presieduta da Antonio Patuelli, che rappresenta tutte le banche, progetta una trasformazione prendendo spunto da otto macro-sfide. L’artefice di questa rivoluzione è Marco Elio Rottigni, una carriera in Intesa Sanpaolo, ex Comit, da qualche mese dg dell’Associazione, chiamato per riconfigurare la rappresentanza del credito. Rottigni la spiega nella prima intervista?
«L’Abi vuole affrontare tutte le sfide che stanno ridefinendo il settore finanziario, anticipando i cambiamenti e guidando l’evoluzione. Dal digitale alla sostenibilità, dalla concorrenza non tradizionale ai trend geopolitici, l’obiettivo è rafforzare il settore bancario italiano, renderlo sempre più innovativo, sicuro e competitivo capace di valorizzare talenti e persone. Le otto macro-sfide essenziali svolgono un ruolo cruciale come filo conduttore, unendo tutti gli attori economici».

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In chiave-trasformazione sono stati costituiti comitati tecnici, cosa devono fare?
«Hanno sempre avuto un ruolo centrale. Sono attivatori di connessioni, laboratori di innovazione e riflessione dove si generano e affinano le idee necessarie per sviluppare strumenti efficaci sempre più aderenti alle risposte delle otto sfide, garantendo un processo fluido e partecipato attraverso il contributo diretto e costruttivo degli esperti delle banche e del settore».
Qualche banchiere ritiene che le ricadute di queste sfide nelle singole banche siano destinate a restare teoriche perché ciascuna, in autonomia, si sta attrezzando, allora?
«Le sfide per definizione hanno una doppia natura, c’è una componente di visione e un aspetto di applicazione pragmatica. Tutte richiedono risposte coordinate. Se le banche non si stessero attrezzando mi preoccuperei, ma so bene che non è così: da sempre le banche sono motori di innovazione e il settore è solido perché è capace di anticipare i fenomeni. Concretezza e attualità delle sfide le ritrovo anche nel recente intervento alla Bocconi della presidente del Consiglio di sorveglianza Bce Claudia Buch, che ha evidenziato l’opportunità offerta dai profitti del settore per rafforzare la stabilità finanziaria e operativa e fornire risposte strategiche. L’Abi sostiene le banche nell’affrontare le transizioni globali, verde e digitale, promuovendo un approccio cooperativo e competitivo».
Sicuramente l’Abi può avere un ruolo nel confronto con il governo come recentemente avvenuto sugli Extra-profitti limitando il danno economico sui conti, ma forse non ci sarebbe bisogno di cambiamenti, non le pare?
«Noi siamo aperti al confronto sempre, è nel nostro Dna. Vogliamo giocare un ruolo proattivo, capace di stimolare gli altri attori, in Italia, in Europa e nei paesi extra europei, attraverso nuove forme di partecipazione, anticipando le necessità e non subendole. Credo che proprio le recenti vicende dimostrino la centralità del dialogo e del confronto come metodo, sempre. Le misure per la manovra 2025, che lei ha citato, sono il frutto di questo metodo».
Qual è la prospettiva della nuova Abi per la rappresentanza del sistema bancario?
«La rappresentanza richiede sempre la capacità di comprendere e interpretare i cambiamenti. Le banche cambiano in un mondo che cambia molto velocemente e di conseguenza anche l’Abi non può e non vuole rimanere ferma. Con il Presidente Patuelli vogliamo quindi supportare questo cambiamento ed essere catalizzatore delle trasformazioni in atto rappresentando al meglio gli interessi collettivi delle banche associate in ogni sede, promuovendo stabilità e innovazione e svolgendo un ruolo di impulso a uno sviluppo sostenibile e responsabile della società, assicurando un dialogo costruttivo con istituzioni e regolatori, per sostenere lo sviluppo economico, sociale e rafforzare la fiducia nel settore». 
Rispetto alle altre associazioni bancarie del Continente, quale sarà il modello europeo al quale intende ispirarsi?
«Non esiste un solo modello. L’Abi si ispira a una visione di connessione e collaborazione attiva a livello europeo e internazionale. L’Abi vuole essere un partner strategico delle principali associazioni bancarie europee e mondiali, contribuendo con visione e azione alle sfide globali del settore. Le esigenze di internazionalizzazione derivano da un’agenda geopolitica che coinvolge tutti, nessuno escluso. Oltre alle profonde trasformazioni di natura tecnologica ed all’utilizzo dell’intelligenza artificiale anche i rischi rappresentati dai conflitti in corso hanno impatti su tutto il sistema produttivo oltre che su quello bancario».
Lei è reduce da una riunione a Francoforte della Federazione bancaria europea in cui sarebbe emersa l’urgenza di stringere l’Unione per reggere la sfida degli Usa di Trump, la Cina, la Russia, cosa si potrà fare?
«Dobbiamo necessariamente partire dagli obiettivi dei Rapporti Draghi e Letta. Parliamo della trasformazione digitale, della semplificazione e convergenza dell’attività regolamentare, della decarbonizzazione dell’economia e dell’autonomia strategica europea, in sintesi della competitività. A sostegno degli investimenti necessari per raggiungerli sono fondamentali l’Unione Bancaria e il Mercato unico dei capitali. Non possiamo rischiare le conseguenze di un dislivello concorrenziale con i grandi mercati di USA e Cina. La presidente della Commissione Ue von der Leyen ha richiamato gli obiettivi del Rapporto Draghi definendo come primo pilastro del piano di azione della nuova Commissione colmare il gap con Stati Uniti e Cina». 
La presidente BCE Lagarde ha definito fondamentale per l’Europa adottare un approccio pragmatico e costruttivo, evitando una guerra commerciale con ripercussioni sulla crescita globale, è così?
«Entrambe chiedono che si realizzi pienamente l’Unione Bancaria, come ulteriore processo di rafforzamento della competitività delle banche europee rispetto alle grandi banche mondiali. L’Italia e il settore bancario italiano sono tra i protagonisti di questo scenario, partecipano al dibattito sull’agenda geopolitica europea, con un focus che non si esaurisce solo sui conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, ma guarda con interesse anche alla regione Euro-Mediterranea, che potrebbe offrire opportunità di sviluppo e investimento in settori ad alto potenziale». 
Questa trasformazione e le sfide come impattano su persone e famiglie?
«La prova di quanto questo piano punti a coinvolgere le persone è nelle sfide concrete su temi chiave come la sostenibilità, l’invecchiamento demografico, le crescenti disuguaglianze sociali e il rischio di esclusione finanziaria per le fasce più vulnerabili. Lavoreremo per promuovere l’inclusione finanziaria attraverso strumenti come il microcredito e le tecnologie digitali, sviluppare prodotti sempre più accessibili e favorire la collaborazione tra enti pubblici e privati. La digitalizzazione è una sfida sociale prima che tecnologica. Bisogna attrarre nuovi talenti, fidelizzarli, promuovere un ambiente di lavoro inclusivo, colmare divari a ogni livello: nessuno va lasciato indietro».
 





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