Ndrangheta, arrestati tre lecchesi: tutti i nomi

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Ndrangheta, arrestati tre lecchesi: tutti i nomi. Sono stati resi noti nel corso della conferenza stampa che si è tenuta alle 11 di oggi, giovedì 5 dicembre 2024, a Brescia i dettagli della maxi operazione contro la ‘Ndrangheta che ha visto arresti, sequestri e perquisizioni anche a Lecco.

Ndrangheta, arrestati tre lecchesi: tutti i nomi

Tre i lecchesi arrestati e uno di loro è in carcere. Si tratta di  Michele Oppedisano, 54 anni, cugino dell’omonimo Michele Oppedisano residente a Bosisio Parini in passato condannato in diverse inchieste. Sono invece agli arresti domiciliari Daniele Castelnuovo, classe ’85, residente a Nibionno, e Roberto Castelnuovo, classe 1980, nato a Lecco e residente a Erba .

Nella mattinata di giovedì 5 dicembre 2024, un’imponente operazione congiunta della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri ha portato all’arresto di 25 persone tra Brescia, Milano, Reggio Calabria Como, Lecco, Varese, Viterbooltre che in Spagna. Gli indagati, accusati di reati legati alla mafia e di gravi crimini economico-finanziari, facevano parte di un’associazione a delinquere di stampo ‘ndranghetista radicata nel territorio bresciano.

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Una dettaglio particolare: di questa tentacolare rete, faceva parte anche una suora che si occupava di fare da “messaggera” con i detenuti. Anche la sorella è finita in manette…

‘Ndrangheta nel Bresciano: 33 arresti

L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia e avviata nel settembre 2020, ha ricostruito l’operatività di un’organizzazione criminale affiliata alla cosca “Alvaro” di Sant’Eufemia d’Aspromonte, nel Reggino. Stabilitasi da anni nel Bresciano, questa cellula mafiosa aveva creato un “locale” autonomo, replicando il modello di controllo tipico della ‘ndrangheta: traffico di armi e droga, usura, estorsioni, ricettazione e persino scambi elettorali politico-mafiosi.

Il patto la politica locale

Come riporta Prima Brescia, fra le attività emerse, spicca un presunto accordo tra l’organizzazione e un personaggio pubblico della comunità bresciana. L’accordo prevedeva il sostegno elettorale da parte del clan in cambio di favori economici illeciti, consolidando così il potere della rete criminale sul territorio.

Ai domiciliari sono finiti anche l’ex consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d’Italia Giovanni Acri e Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega nel Comune di Castel Mella, nel Bresciano, arrestato in passato per tangenti e poi a scarcerato e assolto.

Una suora come messaggera per i detenuti

Uno degli aspetti più sorprendenti dell’indagine riguarda il ruolo di una suora, accusata di aver agito come tramite tra i membri dell’organizzazione e i detenuti. Grazie al suo status religioso, la donna sarebbe riuscita a eludere i controlli, recapitando messaggi chiave per la gestione degli affari del clan anche dal carcere.

Si tratta di suor Anna Donelli. La religiosa, che da anni presta servizio come volontaria nel carcere di San Vittore a Milano e a Brescia. Secondo gli investigatori si sarebbe messa a disposizione in modo continuativo “per veicolare messaggi tra gli appartenenti all’organizzazione criminale e i soggetti detenuti in carcere partecipi o comunque contigui al sodalizio” dei Tripodi: la famiglia che sarebbe riuscita a riprodurre una “locale” ‘ndranghetista nel Bresciano.

Da dentro il carcere, attraverso la suora sarebbero entrate e uscite informazioni che si sarebbero poi rivelate utili alla pianificazione di strategie criminali. Dalle varie intercettazioni eseguite dagli investigatori, è emerso come lo stesso Stefano Tripodi facesse spesso riferimenti a una “monaca” che si trovava all’interno delle carceri di Milano e di Brescia con la quale aveva “un patto“. I due, infatti, si sarebbero incontrati più volte, al punto che Tripodi parlava di una “ampia collaborazione” e la stessa suora sarebbe stata identificata come “l’amica di Stefano“.

Il gruppo non si limitava alle attività mafiose classiche. Le indagini hanno svelato un complesso sistema di frodi fiscali e riciclaggio: tramite false imprese nel settore dei rottami, l’organizzazione emetteva fatture per operazioni inesistenti, generando un giro d’affari illecito di circa 12 milioni di euro. I profitti venivano utilizzati per abbattere i redditi imponibili degli imprenditori coinvolti e per riciclare denaro sporco.

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Sequestri e perquisizioni a tappeto

Durante l’operazione, le forze dell’ordine hanno sequestrato beni e conti per oltre 1,8 milioni di euro e condotto perquisizioni nelle province di Brescia, Bergamo, Verona e Treviso. Impiegati circa 300 agenti e militari, supportati da unità cinofile specializzate nella ricerca di droga, armi e denaro contante.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, riciclaggio, usura, ricettazione, detenzione illegale di armi e frodi fiscali, con l’aggravante del metodo mafioso. I reati contestati vanno dal controllo diretto sul territorio alla sofisticazione delle operazioni finanziarie.

 



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