Conflitti nel mondo

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È da tempo che si parla di guerra mondiale a pezzi, ma mai come ora è sotto gli occhi di tutti che questa espressione si addice alla complessiva situazione internazionale, frutto di crisi non più trascurabili e interconnesse da fili più o meno sottili, talvolta persino grossolani, che attraversano l’intero pianeta. Una convergenza di crisi internazionali spesso intrecciate che fanno temere il peggio anche nei Paesi non direttamente coinvolti, come quelli europei. 

In tutto il mondo sono in atto almeno 56 conflitti armati: il numero più alto dalla seconda guerra mondiale. 92 i Paesi coinvolti in conflitti al di fuori dei propri confini. Solamente nel 2023 si sono contate 162mila vittime e mancano le migliaia di quest’anno a Gaza, in Libano e sul fronte ucraino.

Impossibile riassumere in modo sintetico le vicende di ogni area di crisi, difficile scegliere un sistema di classificazione. Apparendo macabro procedere secondo l’entità del numero di morti, usiamo il criterio cronologico, partendo dai più recenti, per elencare alcuni dei conflitti in corso, consapevoli che troppi sono quelli giornalisticamente ignorati da tempo. 

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Corea del Sud: non solo una questione interna

Con il presidente Yoon Suk Yeol che nei giorni scorsi ha tentato di instaurare la legge marziale per proteggere il paese dalle “forze comuniste” (decisione revocata nel giro di poche ore), la Corea del Sud ha rischiato un un golpe, con ripercussioni inevitabili sull’area dell’Indopacifico. In gioco ci sono gli equilibri della regione, visto il coinvolgimento dell’asse Mosca-Pechino-Pyongyang e i destini di Taiwan.

Le forze comuniste citate dal presidente sono rappresentate dalla Corea del Nord, con la quale Seul è in scontro aperto dalla guerra di Corea esplosa nel 1950, con Stati Uniti da una parte e Russia e Cina dall’altra che si fronteggiavano per interposto Paese. La Corea del Sud, che ospita arsenali militari a stelle e strisce, agisce per gli Stati uniti un ruolo fondamentale per il contenimento dell’avanzata cinese.

Risulta evidente il motivo per il quale all’inizio di novembre Russia e Corea del Nord hanno siglato un’alleanza militare e politica senza limiti di tempo, e già prima militari nordcoreani hanno iniziato ad affiancare quelli russi in Ucraina. Mentre i coreani sono in piazza si attende di sapere se per il presidente sarà deciso l’impeachment, decisione che potrà dare anche indicazioni sugli sviluppi della crisi.   

Siria: una mina per l’intera regione

Centinaia di morti e oltre 115mila sfollati per l’escalation di una guerra civile che perdura dal 2011 tra gli jihadisti e la fazione governativa appoggiata da Russia e Iran, sostenitori del regime di Assad. A patire è una popolazione già stremata dall’annoso conflitto interno e dal violento terremoto del 2023. Gli jihadisti di Tahir al-Sham, un tempo legati ad Al Quaeda e all’Isis, hanno sferrato il loro attacco e conquistato la città di Aleppo con lo scopo dichiarato di rovesciare il regime di Assad. Tutto ciò a fine novembre dopo il cessate il fuoco in Libano, approfittando gli jihadisti della debolezza di Hezbollah da sempre al fianco di Assad anche militarmente. La Russia ha lanciato  subito una serie di bombardamenti sulle zone nelle quali i ribelli stavano avanzando. 

Da ricordare che la Siria vede il Nord del Paese sotto la tutela della Turchia e il resto sotto il controllo del regime di Assad, fatta eccezione per l’area curda che sopravvive tra una sorta di tutela americana e patteggiamenti con il governo siriano. 

Gli attori in campo sono dunque numerosi: abbiamo i già nominati Russia e Iran che sostengono il regime, i Paesi ricchi di petrolio del Golfo persico che sostengono gli jihadisti, gli Stati Uniti che hanno interessi sull’area siriana ricca di petrolio e la funambolica Turchia che – pur facendo parte della nato – sostiene le forze antigovernative, anche in chiave anti-curda. Anche l’Iraq risulta coinvolto, dal momento che le sue forze filo-iraniane sono entrate in Siria per sostenere il regime. Infine Israele, il cui attacco a Gaza ha rotto gli equilibri e innescato effetti a catena, che continua a bombardare lungo il confine tra Siria e Libano.     

Libano: ma quale tregua?

Più di 4mila morti e 16mila feriti in due mesi per il conflitto tra Israele e Hezbollah, esploso in seguito a quello a Gaza. La tregua firmata il 27 novembre è ancora in atto, ma Tel Aviv continua a bombardare il Libano, in risposta, sostiene Netanyahu, a violazioni i libanesi. Lo scorso settembre Israele, dopo due anni di raid a Gaza e in Cisgiordania, ha allargato il suo spazio di azione belligerante al Libano con attacchi militari indirizzati a Hezbollah in quanto sostenitore di Hamas, con l’obiettivo di sempre di liberare la Palestina occupata, e perché foraggiato dallo storico nemico di Tel Aviv, l’Iran.   

Gaza: la catastrofe umanitaria

Oltre 45mila palestinesi, molti dei quali bambini, uccisi nei raid israeliani dalla strage di Hamas del 7 ottobre 2023 con la morte di più di 1.200 israeliani. All’attacco di Hamas il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha risposto con altrettanta violenza, che sta prolungando da 14 mesi, estendendola anche alla Cisgiordania, sino ai bombardamenti sulla Siria. Tra le cause anche le difficoltà di Netanyahu a contrastare il dissenso interno alla popolazione israeliana nei confronti del governo e le lotte intestine dell’esecutivo di Tel Aviv. Potremmo chiamarla la madre delle guerre in Medioriente, che ha visto anche il mandato d’arresto per Netanyahu emanato dal Tribunale dell’Aia.

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Finanche l’ex ministro israeliano Yaalon ha dichiarato che “a Gaza è in corso una pulizia etnica”, mentre Amnesty International nel suo report ha scritto chiaramente “a Gaza è genocidio”,  il risultato di analisi e di ricerche sul campo su quanto accaduto durante la guerra, comprese le dichiarazioni degli ufficiali israeliani. Un’affermazione che provocato dure reazioni da parte israeliana. Nonostante ciò sembra non ci sia abbastanza attenzione e interesse della comunità internazionale per la popolazione palestinese, ormai privata dei più elementari diritti umani, e a porre quindi le basi.  

Ucraina: non doveva essere una guerra lampo?

Dall’invasione russa del 2022 si parla di un milione di vittime su entrambi i fronti, tra morti e feriti, anche se reperire numeri attendibili non è facile. Il conflitto tra Russia e Ucraina risale al 2014, quando Mosca inviò truppe militari per prendere il controllo della Crimea. Nel febbraio del 2022 la Russia invade il Donbass, regione russofona dell’Ucraina, per quella che veniva annunciata come una guerra lampo, ma fu evidente da subito che era iniziata una guerra a rischio cronicizzazione. Uno degli effetti è che, dopo un’iniziale terrore diffusosi in tutta Europa, ha preso il sopravvento l’assuefazione, soprattutto dell’opinione pubblica.

Il presidente ucraino Zelensky è riuscito subito ad attrarre aiuti militari e finanziari da Stati uniti ed Europa e a forzare la mano per l’ingresso del suo Paese nella Ue e nella Nato. Quella stessa Alleanza atlantica che Putin ha accusato di avere violato l’impegno del 1989 di non espandersi a Est, mentre una parte dei Paesi dell’ex Unione sovietica sono invece entrati nella nato. Tutto ciò ha contribuito a innalzare il livello di tensione tra Mosca e i Paesi occidentali. 

La guerra ha avuto un andamento altalenante per quanto riguarda il vantaggio dei due Paesi l’uno sull’altro, ma negli ultimi tempi Zelensky è tornato a chiedere maggiori aiuti alla Nato che, dal canto suo, paventa una vittoria russa. Con l’elezione di Trump alla Casa Bianca vacilla il sostegno occidentale all’Ucraina. Putin si rafforza così nello scacchiere internazionale per avere la meglio nei futuri negoziati per la pace.

Africa: popolazioni stremate da violenze e fame

È il continente dei conflitti endemici e dimenticati, perché è lì che le disuguaglianze hanno i risvolti più tragici, tanto che si parla di cinquanta milioni di africani che si spostano a causa dei conflitti. I colpi di Stato si moltiplicano, basti pensare al cosiddetto “triangolo della jihad” Burkina Faso, Mali e Niger. La sua ricchezza di materie prime, tra le quali le terre rare e quanto serve a produrre tecnologia civile e militare per i Paesi ricchi, la lascia nella condizione di terra di conquista, dove agli europei si sono sostituiti negli ultimi decenni russi, cinesi e turchi.  

A colpire particolarmente è la situazione del Sudan: altra terra di violenti colpi di Stato, dove la guerra civile ha provocato almeno 7.500 vittime e 6,5 milioni di sfollati in meno di due anni. La popolazione priva di acqua potabile, farmaci e soccorsi sanitari è stretta tra l’esercito regolare e le Forze di supporto rapido. 

Sudamerica e Centroamerica: i Paesi dove regna la paura

Qui non si segnala la presenza di conflitti tra Paesi, ma ve ne sono una decina nei quali sono perennemente in corso piccoli conflitti interni molto violenti e mortali. In cima alla lista Messico, Brasile, Colombia e Haiti. Le situazioni di estrema violenza sono il più delle volte legati allo strapotere della criminalità organizzata, alla quale spesso lo Stato garantisce l’impunità e la sopravvivenza data dal forte impoverimento della popolazione attraverso politiche neoliberiste. Spesso si tratta di apparati amministrativi corrotti, che reprimono ogni tentativo di resistenza e di lotta per la difesa dei diritti e contro le violazioni ambientali del territorio.

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