L’Ispra conferma: a sette anni dalle norme sul «consumo zero» restiamo i peggiori in Italia
Le immagini apocalittiche di Valencia e la Via Crucis dell’Emilia Romagna non sembrano bastare a invertire la rotta del consumo di suolo in cui il Veneto primeggia ancora, a dispetto di una legge regionale del 2017 che si pone come obiettivo il «consumo di suolo zero».
L’annuale rapporto Ispra non perdona: la maglia nera, quanto meno per il maggiore incremento di nuovo territorio cementificato fra il 2022 e il 2023, va ancora al Veneto con 891 nuovi ettari sottratti al verde contro i 780 della Lombardia (che conta un numero di abitanti doppio, per inciso). Magra consolazione, la nostra Regione scende al secondo gradino del podio quando si conteggiano gli ettari complessivi già cementificati: 217.520 contro i 290.979 lombardi. Ispra mette sul banco degli imputati in particolare infrastrutture e cantieri, logistica e fotovoltaico. Il doppio cortocircuito appare evidente: da un lato l’economia che sulla logistica e le infrastrutture si appoggia non poco, dall’altro la transizione energetica che implica ettari di suolo coperti da pannelli fotovoltaici. Pochi giorni fa Ismea sottolineava come il Veneto abbia perso 400 ettari di suolo agricolo a causa dei parchi fotovoltaici finendo in testa anche a questa classifica regionale. Le associazioni ambientaliste precisano che, però, si tratta di impianti reversibili a differenza del piazzale asfaltato di un polo logistico.
Il rebus dei bacini di laminazione
Intanto, però, il suolo non drena più quanto dovrebbe e quindi si costruiscono bacini di laminazione che, per la gran parte sono argini e «vasche» in terra battuta ma, per assurdo, contribuiscono comunque con i manufatti che deviano le piene dei fiumi a far salire il conto del consumo di suolo. Un rebus a cui non è facile dare risposta. Che si tratti ormai di un’emergenza appare chiaro dall’alleanza, per certi versi inedita, delle tre principali associazioni ambientaliste: Legambiente, Italia Nostra e Wwf. «Il 5 dicembre si è è celebrata la Giornata mondiale del Suolo, – ragiona Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – ma a livello italiano e soprattutto regionale non abbiamo molto da festeggiare. Il rapporto Ispra evidenzia ancora una volta un trend negativo per il Veneto. Questo, nonostante gli interventi normativi di cui Regione del Veneto si è dotata, anche per tentare di supplire all’inazione delle compagini parlamentari che si sono succedute con alterne maggioranze alla guida del Paese e che mai hanno provveduto ai necessari aggiornamenti della normativa urbanistica nazionale in vigore, che risale a ben 82 anni fa».
Al lavoro per un testo unico per l’urbanistica
Lazzaro definisce «lodevole» ma «per nulla efficace» la legge veneta «al contrario, dalla sua entrata in vigore a oggi si è consumato più suolo rispetto al periodo 2006-2012 in cui si era privi di normativa. Segno evidente del fallimento dell’impalcatura legislativa che tra deroghe generalizzate, scarichi di responsabilità e assenza di strumenti adeguati, non ha rispettato né le premesse, né gli obiettivi. Un dato inoppugnabile che merita una riflessione sincera e priva di ideologie». Il momento è propizio dato che in consiglio regionale si lavora a «Veneto territorio sostenibile», un testo unico per l’urbanistica su cui le opposizioni, dal Pd con Vanessa Camani al VcV con Elena Ostanel passando per il M5s e i Verdi, chiedono un giro di vite. Si schiera la Cgil che con Tiziana Basso parla di «urgenza» e «numeri abnormi». Lo chiede anche la triplice alleanza ambientalista «per mettere a terra un’inversione di tendenza radicale – conclude Lazzaro – . Chiediamo siano introdotte misure positive per il futuro dell’edilizia e della pianificazione delle attività agricole e che queste poggino sui pilastri fondamentali: riuso, riqualificazione, rigenerazione urbana e del ripristino di natura, che devono entrare a far parte della nuova legge assieme alla cancellazione delle deroghe ancora oggi previste».
«Bisogna applicare la legge sulla rigenerazione urbana»
Il tema è ben chiaro anche a Maria Chiara Tosi, direttrice della Scuola di dottorato dello Iuav che da anni si occupa di questi temi: «Se parliamo di consumo di suolo teniamo presente due elementi: la popolazione continua a calare e abbiamo un patrimonio ampio e articolato di manufatti dismessi in ambito residenziale ma anche produttivo (i capannoni in Veneto sono stimati in oltre 90 mila ndr). Mi chiedo, le 99 case di comunità avrebbero potuto trovare altro posto dove essere collocate? I pannelli fotovoltaici potrebbero trovare posto sopra i capannoni? Tutta la logistica potrebbe trovare posto nei capannoni dismessi? Il Veneto, oltre alla legge sul consumo di suolo, ha fatto anche una legge sulla rigenerazione urbana ma non viene applicata fino in fondo, nel frattempo continua l’emorragia di suolo consumato con nuovi poli all’esterno degli ambiti urbani con ricadute non solo ambientali ma anche sociali. Penso a Mestre ma vale per tutte le città del Veneto: i tessuti urbani si stanno impoverendo in maniera veramente pericolosa per la tenuta del sistema sociale e poi finisce che dobbiamo fare le ronde notturne. È evidente che c’è uno strabismo molto pericoloso perché il consumo di suolo si traduce anche in un depotenziamento delle strutture insediative esistenti, residenziali e produttive. Serve una regia che tenga insieme questi elementi, credo ci siano responsabilità politiche della Regione e, a cascata, delle amministrazioni. Qualche esempio positivo c’è, penso ad Albignasego che ha scelto il “depaving”, la “depavimentazione” della sua piazza, uno strumento già diffuso in tutta Europa per tornare a rendere permeabile il suolo. Invertire la rotta è possibile».
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