In media 20 ettari al giorno sono stati occupati da asfalto e coperture artificiali nell’ultimo anno. La Lombardia rimane la regione a più alto consumo di suolo, ma l’incremento maggiore si registra in Veneto
Il tappeto grigio che copre l’Italia con il cemento sta crescendo a un ritmo più lento ma resta lunghissimo. È indicato con il rosso acceso nelle mappe dell’ultimo rapporto Ispra sul consumo di suolo, diffuso il 3 dicembre. Stando all’indagine, nel 2023 l’Italia ha perso 2,3 metri quadrati di suolo al secondo. In media, 20 ettari al giorno sono stati occupati da asfalto e coperture artificiali, per un totale di 72,5 chilometri quadrati. La velocità di artificializzazione è inferiore rispetto all’anno scorso ma superiore alla media dell’ultimo decennio, per cui in Italia si è costruito in 68,7 chilometri quadrati all’anno. In parallelo, non si è destinato altrettanto spazio al verde. Solo 8 chilometri quadrati sono stati compensati con il ripristino di aree naturali e per Ispra questo è un «valore ancora del tutto insufficiente per raggiungere l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto», che negli ultimi dodici mesi è stato pari a 64, 4 chilometri quadrati.
Il dati nei territori
La Lombardia si conferma la prima regione per consumo di suolo con il 12,19% del territorio cementificato. Seguono Veneto (11,86%) e Campania (10,57%). Subito dopo Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Liguria e le aree edificate diminuiscono scendendo verso il Sud e le isole. Secondo i calcoli Ispra, in media in 15 regioni il suolo consumato nel 2023 supera il 5%. La più virtuosa è la Valle d’Aosta, che insieme alla Liguria ha contenuto il consumo di suolo al di sotto dei 50 ettari nel 2023. Gli incrementi maggiori di occupazione artificiale del territorio si sono registrati in Veneto (+891), Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643) e Piemonte (+553). Se si usa la lente di ingrandimento, i comuni di Uta (in provincia di Cagliari), Ravenna e Roma sono tra i più esposti al consumo di suolo. È qui che si registrano i maggiori incrementi annuali. A Uta, dove sono 106 gli ettari di suolo consumato, il report fa notare come si confermi una tendenza alla cementificazione già rilevata nel periodo 2021-2022.
Il numeri e l’Agenda 2030
Secondo gli esperti di Ispra, rallentare il consumo di suolo oggi e riportarlo, per esempio, ai ritmi del 2006-2012 non risolverebbe le cose. «I valori sono molto lontani dagli obiettivi dell’Agenda 2030 – si legge nel rapporto –, che sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero addirittura un saldo negativo del consumo di suolo». Per l’istituto, a partire dal 2030 bisognerebbe aumentare le aree naturali di 362 chilometri quadrati. Su un monitoraggio iniziato 17 anni fa, l’accelerazione nel consumo di suolo è avvenuta negli ultimi sei anni, quando a causa dell’espansione urbana sono stati erosi oltre mille chilometri quadrati di territorio naturale o seminaturale. Tuttavia, i dati della cartografia Snpa integrati da Ispra, mostrano superfici edificate anche in zone a pericolosità sismica, in particolare in Umbria, e in aree a rischio frana, soprattutto in Valle d’Aosta e Liguria. Nelle superfici a pericolosità idraulica in media si concentra circa il 13% delle aree edificate e il picco è in Emilia Romagna, dove 33 mila ettari edificati (il 63%) si trovano in zone a rischio idraulico. In totale, nell’ultimo anno circa 16,13 chilometri quadrati di territorio consumato in Italia si trovano in zone a pericolosità idraulica, di cui quasi il 30% a rischio elevato.
L’impatto del consumo di suolo
Sebbene la percezione di quel tappeto di cemento sia soggettiva, l’impatto visivo oggettivo del consumo di suolo sull’ambiente è stimato dall’indice di visibilità (Non dimensional index), che calcola la percentuale di suolo consumato rispetto al campo visivo dinamico dell’osservatore. In questo senso, strade e cantieri si rivelano gli elementi artificiali che oscurano di più la vista di un territorio, seguono edifici e impianti fotovoltaici. L’elevata presenza di elementi del genere tende a sovrastare la visibilità della natura e a dominare il paesaggio. In effetti, la riduzione degli elementi verdi sul suolo si riflette anche sul calore. La temperatura superficiale del suolo aumenta nelle zone ad alta densità di suolo consumato e la diffusione di alberi è in grado di ridurre le temperature di circa 1°C nelle aree urbane di pianura e di circa 2° C nelle aree urbane collinari. Accanto alla scomparsa di alberi, la progressiva cementificazione degli spazi naturali sta frammentando il territorio, per cui – osserva Ispra – sta diminuendo la capacità degli ecosistemi di connettersi ed equilibrarsi fra loro e sta invece crescendo l’isolamento delle specie «con conseguenze sulla qualità del paesaggio e sulle attività agricole».
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