Malattie professionali nelle Marche: il lavoro che continua ad ammalare


di Gioele Pincini

Negli ultimi anni, le Marche sono state al centro di una tendenza allarmante: un aumento significativo delle malattie professionali. I dati più recenti, elaborati dall’Ires Cgil Marche, evidenziano che nei primi dieci mesi del 2024 sono state denunciate 6.686 malattie professionali, un incremento del 19,5% rispetto alle 5.596 registrate nello stesso periodo del 2023​. Questo dato, secondo i sindacati, riflette non solo una maggiore consapevolezza dei lavoratori sulle proprie condizioni di salute, ma anche un peggioramento strutturale delle condizioni lavorative.

I numeri: una crescita che colpisce trasversalmente

L’aumento delle malattie professionali non è uniforme, ma colpisce in modo diverso le varie province della regione. Ancona guida questa classifica negativa con un aumento del 35,1%, seguita da Macerata (+21,2%), Pesaro e Urbino (+14,4%), Fermo (+10,5%) e Ascoli Piceno (+9,5%). Questi numeri rappresentano un campanello d’allarme per l’intero sistema economico e produttivo marchigiano​​.

Tipologie di malattie: i settori più a rischio

Le malattie professionali più frequentemente denunciate rivelano molto sulle condizioni di lavoro prevalenti nella regione. Le patologie del sistema osteomuscolare, come tendiniti e lombalgie, sono in cima alla lista. Seguono quelle del sistema nervoso, spesso collegate allo stress cronico e a ritmi di lavoro eccessivi, e le malattie legate all’udito, che possono derivare da esposizioni prolungate a rumori elevati nei settori industriali e manifatturieri​​.

Queste patologie indicano che i rischi sul lavoro non si limitano più solo ai settori tradizionalmente pesanti come l’edilizia o la metalmeccanica, ma coinvolgono trasversalmente altri comparti, dal commercio ai servizi logistici. L’aumento delle malattie muscoloscheletriche, in particolare, denota carichi di lavoro eccessivi e movimenti ripetitivi, spesso sottovalutati nei piani di prevenzione.

Il significato dei dati

Questo incremento di denunce può essere letto su due livelli. Da un lato, c’è una maggiore sensibilizzazione tra i lavoratori, che ora denunciano condizioni che in passato venivano ignorate o accettate come inevitabili. Dall’altro, emerge un panorama preoccupante: la mancanza di interventi adeguati sulla prevenzione e sulla sicurezza ha lasciato immutate o peggiorate situazioni di rischio già note.

Come sottolinea Loredana Longhin, segretaria regionale Cgil Marche, «oggi il lavoro fa ammalare come cinquant’anni fa». Il problema risiede in un contesto che combina alta precarietà, ritmi intensi e scarso investimento nella formazione e nella prevenzione. Si tratta di fattori che non solo mettono a rischio la salute fisica, ma incidono profondamente anche sul benessere psicologico dei lavoratori​​.

Già ad agosto, la Cisl Marche aveva sottolineato un incremento del 10% nelle denunce di malattie professionali nel primo semestre dell’anno rispetto al 2023, con un passaggio da 3.794 a 4.185 casi. Questi dati, parziali rispetto al periodo analizzato dalla Cgil, indicavano un trend in crescita già evidente, con punte nelle province di Ancona e Macerata. Talevi, segretario regionale, aveva evidenziato che le principali patologie erano legate al sistema osteomuscolare, seguite da quelle nervose e respiratorie​.

Una realtà che richiede interventi urgenti

Le denunce in costante aumento confermano che il lavoro nelle Marche è ancora lontano dall’essere sicuro. È fondamentale che istituzioni e aziende investano nella prevenzione e nella sicurezza, adottando misure concrete per ridurre l’incidenza delle malattie professionali. Questo significa migliorare le condizioni di lavoro, rispettare i limiti normativi sui carichi e i ritmi, e intensificare i controlli nei settori più a rischio.

Il quadro che emerge dai dati Inail e dai sindacati è chiaro: senza un cambio di passo, le malattie professionali continueranno a essere un costo sociale ed economico insostenibile per la regione. È necessario agire ora, affinché il lavoro torni a essere fonte di dignità e non di malattia.



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