Alcuni indagati hanno scelto il silenzio. Suor Anna Donelli: «Pronta a parlare»
Tutti, per ora, hanno scelto il silenzio davanti al gip in fase di interrogatorio di garanzia. A partire da Francesco Tripodi, figlio di Stefano, originari dell’Aspromonte e ritenuti da chi indaga i promotori di un sodalizio criminoso di stampo ‘ndranghetista di stanza a Flero e arrestati insieme ad altre 28 persone al culmine della maxi inchiesta (in due filoni) coordinata dalla Dda di Brescia. Capaci di esercitare indiscussa «autorità» sul territorio, divenuti punto di riferimento per imprenditori, amministratori e politici locali: ai domiciliari anche l’ex consigliere in Loggia Giovanni Acri e l’ex leghista di Castel Mella Mauro Galeazzi, che saranno interrogati la prossima settimana.
Si è avvalso della facoltà di non rispondere, tra gli altri, anche Sergio Chiarini, carrozziere di Castel Mella, che per i Tripodi avrebbe custodito le armi e modificato le auto (e le targhe) per consentire il trasporto della cocaina. Suor Anna Donelli, volontaria anche a Canton Mombello, accusata di concorso esterno in associazione di stampo mafioso perché avrebbe invece «garantito il collegamento con i sodali alla famiglia Tripodi detenuti in carcere», sarà invece sentita dal giudice venerdì prossimo. E non vede l’ora. «Ci sarebbe da vergognarsi – si sfoga con il suo legale, l’avvocato Robert Ranieli —. Da sempre cerco di favorire le relazioni umane in chiave positiva, confido che gli inquirenti vogliano sentire presto quello che ho da dire». Delle accuse «infamanti e infondate» mosse nei suoi confronti proprio non riesce a capacitarsi.
Stefano Tripodi, con l’aiuto del figlio, avrebbe per il gip coordinato l’attività dell’associazione (rappresentandola anche all’esterno «con altre omologhe organizzazioni criminali») e gestito anche le attività economiche, ricorrendo, nel caso, anche alla violenza. In un’occasione, avrebbe verificato la disponibilità di un sodale a commettere omicidi: «Dimmi una cosa, ma sei capace a fare il sicario?». «No». «Ti insegno un mestiere nuovo e vengo io una volta con te». «No Stefano davvero, neanche per 20 mila euro lo farei, mi rimarrebbe sulla coscienza troppo…così non ce la faccio proprio». Al sodale, di origini svizzere, avrebbe chiesto qualche dritta per aprire un conto oltreconfine sotto falso nome e trasferirci i proventi illeciti.
Ma pare avesse guardato anche ben più lontano: bonifici sui conti correnti cinesi per ripulire i soldi. Come faceva un «mio paesano», al quale sarebbero tornati indietro, cash, fino a 500 mila euro. Il «capo dei cinesi», a Milano, l’avrebbe incontrato poi il figlio Francesco, nel 2021: «Una persona a cui tutti portano i soldi, restituiti in contanti». «Verranno da te lunedì (era giugno 2021, ndr), con 30 mila euro» assicura loro, in seguito, il famoso compaesano. L’accordo per il riciclaggio del denaro sarebbe poi proseguito oltre: oltre 106 mila euro frutto delle presunte false fatturazioni. L’autoriciclaggio in attività economiche e finanziarie contestato supera i 5 milioni e mezzo. Non solo.
Dal «Decreto sostegni» i Tripodi avrebbero indebitamente ottenuto un finanziamento a fondo perduto da oltre 73 mila euro, erogati a una società cartiera a loro riconducibile: somma poi trasferita su conti correnti di terzi con causali «pagamento fattura» o «pagamento lavori».
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