Prudenti ma decisi, i rappresentanti del listino Usa hanno avvicinato in Laguna un nutrito pacchetto di aziende. C’erano Dvb Group, Deodato Gallery, Webidoo, Logistic Power, Zero Farms, Bralco, Venevision, Rocket Sharing
Metti il Nasdaq in Veneto e si aprono mille riflessioni. Nei giorni scorsi la seconda Borsa di New York e del mondo ha organizzato a Venezia un incontro («Un percorso verso il mercato dei capitali Usa per le Pmi italiane») per convincere le aziende innovative del Nordest a quotarsi. Lo scorso anno un analogo meeting si era tenuto a Milano, questa volta i dirigenti del Nasdaq in Europa e i loro consulenti hanno deciso di puntare sui territori.
La riunione per quanto la si potesse considerare eccentrica non è andata male: presenti un’ottantina di persone, qualche imprenditore, molti professionisti, tanta curiosità. Qualche nome delle aziende comunque rappresentate è filtrato: Dvb Group, Deodato Gallery, Webidoo, Logistic Power, Zero Farms, Bralco, Venevision, Rocket Sharing. Ed è filtrato anche come alla fine si siano manifestate due possibili candidature venete che a questo punto andranno avanti nel raccogliere informazioni e nel partecipare ad ulteriori step di coinvolgimento. A tutti Isabella Schidrich, responsabile europea per il Nasdaq, ha garantito che nel ‘25 il mercato americano delle Ipo sarà dinamico, che c’è la fiducia degli investitori e che le società che si posizioneranno con solidi fondamentali e chiare strategie di crescita «si troveranno nella posizione migliore per avere successo in questo scenario».
La centralità del Nordest
Racconta Carlo Bagnoli, docente di Innovazione Strategica alla Venice School of Management di Ca’ Foscari e uno degli speaker dell’incontro: «Il Nasdaq ora si è posto in diretta concorrenza con il Nyse e sta sondando anche il mercato delle Pmi europee. Del resto non è un mistero che da noi ci sia un gap tra potenzialità di sviluppo delle imprese e accesso ai capitali. Da qui l’evento veneziano. E personalmente penso che il Nordest possa essere protagonista di questa nuova onda di innovazione». Quello che Bagnoli chiama gap è stato registrato dalle cronache degli ultimi anni come un processo di delisting dalla Borsa italiana che ha generato discussioni e malumori.
Sì a New York, no in Piazza Affari?
La domanda successiva che ci si può legittimamente fare è se c’è disaffezione verso la quotazione quasi a “chilometro zero” come si può pensare a un grande salto come quello di quotarsi a New York? Spiega Bagnoli che il Nasdaq non cerca solo imprese tech, ma anche Pmi manifatturiere innovative e che per l’appunto nel Nordest c’è, in linea di principio, trippa per gatti. Si tratta di avvicinare due mondi, ma non è un’impresa disperata. Sono differenti i linguaggi, l’approccio al capitale di rischio, gli stessi numeri che possono essere prospettati in un business plan, ma i dirigenti del Nasdaq pensano che proprio in questo gap stia il sale della (loro) scommessa veneta. E i costi prospettati ai candidati alla quotazione non sarebbero proibitivi. Una delle aziende presenti al meeting veneziano era la Venevision di Alberto Baban, imprenditore conosciuto non solo nel Nordest e che ha anche ricoperto ruoli di responsabilità in Confindustria. «Il messaggio arrivato dal Nasdaq è che non è dirimente la grande dimensione per poter partorire progetti di sviluppo — spiega —. Naturalmente un’affermazione di questo tipo si spiega con un mercato americano ricco di venture capitalist, un mercato che guarda alle prospettive, che è disposto anche a fallire, ma può riservare valorizzazioni sorprendenti». Che nel Vecchio Continente evidentemente ci sogniamo.
Il brand e l’interesse
«Ma di là della quotazione o meno, ho trovato molto interessante che abbiano sottolineato l’importanza della brandizzazione». Le imprese venete molto spesso sono fornitrici, portano ancora il nome e cognome del fondatore e di conseguenza non hanno alcuna riconoscibilità all’esterno. In Italia il caso di un gruppo B2B che vanti anche un marchio stra-conosciuto è la Brembo di Bergamo. I mercati finanziari dunque cercano aziende innovative che siano anche dei brand.
Baban spiega l’iniziativa del Nasdaq anche come la ricerca da parte del sistema produttivo americano di aziende manifatturiere che possano fare da retroterra. «Negli Usa non c’è la supply chain come la conosciamo noi. E in una stagione in cui dalla globalizzazione degli scambi stiamo passando a una regionalizzazione per grandi macro-aree, il sistema americano cerca di essere autosufficiente. Non sono preparati e corrono ai ripari usando i mercati finanziari come fattore di attrazione e insieme leva di sviluppo».
Il rischio per noi è di cedere know how e tecnologie intermedie.
La mancanza di un ecosistema
Il Veneto avrà le sue belle aziende eppure nelle classifiche dell’innovazione in Italia è posizionato dietro Emilia-Romagna e Lombardia, come fa a progettare uno sbarco oltre Atlantico? Risponde Baban: «Nelle nostre aziende c’è innovazione, ma rimane dentro i confini dell’impresa, non diventa quasi mai fatto sistemico. E poi vista la dimensione media si capisce che non basta innovare, si tratta di un processo continuo e il rischio dell’obsolescenza è ogni giorno dietro la porta». Di conseguenza, forse nella lista delle priorità prima dell’avventura Nasdaq ci sarebbe da costruire un ecosistema territoriale dell’innovazione. «Mancando questo step intermedio tutto è più aleatorio. Anche da discussioni come questa dobbiamo prendere l’abbrivio e favorire quei processi di cui il territorio ha bisogno. Il tutto a una velocità decisamente superiore a quella che stiamo tenendo»
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