nel 2024 all’Italia fattura energetica da 48,5 miliardi

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L’associazione confindustriale Unem – Unione energie per la mobilità (ex Unione petrolifera) ha presentato a Roma il preconsuntivo petrolifero del 2024, mettendo in fila i principali dati italiani sul consumo di combustibili fossili nell’anno in corso.

Dal rapporto emerge una domanda nazionale di energia pari a 144,3 Mtep, in linea con quella del 2023 ma in calo dell’8,7% rispetto al 2019, calo dovuto per oltre l’80% alla decisa flessione del gas: una dinamica condizionata dalla crescita delle fonti rinnovabili, ma anche da consumi industriali in calo per la flessione della produzione (a partire dall’automotive).

A contraltare, cresce la domanda di energia nel settore nel civile, dove è trainata dall’uso dei condizionatori durante l’afa estiva, come in quello dei trasporti: i soli prodotti per la mobilità (benzina, gasolio, gpl auto, carboturbo e bunker) che rappresentano il 72% delle vendite petrolifere. Un ottimo prisma attraverso il quale interpretare le crescenti pressioni di lobby contro la diffusione dell’auto elettrica.

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L’Italia, tra i principali Paesi europei, è l’unico che ha visto un aumento nelle vendite di carburanti sia rispetto al 2019 che al 2023. Un risultato effetto della crescita degli spostamenti che vedono nell’auto privata la scelta dominante: l’Italia è il secondo parco circolante della Ue ed è terza per le nuove immatricolazioni. È anche uno dei Paesi con il più alto tasso di motorizzazione (69 auto per 100 abitanti) dove il vettore elettrico rappresenta appena lo 0,5% del totale. Possibile che l’auto tradizionale sia in crisi per la diffusione dell’elettrico?

Guardando alle dinamiche delle immatricolazioni di auto nel 2024, si conferma la netta prevalenza del mercato dell’usato sul nuovo che rispetto al 2019 ha mostrato un calo del 18%, usato caratterizzato per il 94% da motori tradizionali: diesel (45%), benzina (39%). «L’incertezza degli automobilisti rispetto alle nuove motorizzazione e i costi associati continuano infatti ad orientare la scelta verso il mercato dell’usato», dichiarano da Unem.

Tornando ad allargare il quadro d’osservazione, il petrolio si conferma prima fonte di energia per l’Italia con un peso di circa il 39%, in crescita dell’1,7% (+0,9 Mtep) sempre in larga parte per la ripresa dei carburanti per la mobilità; per quanto riguarda le importazioni di greggio, nel 2024 sono risultate in calo dell’8,3%, risentendo anche delle criticità nello snodo di Hormuz e nel Canale di Suez. La Libia è tornata ad essere il nostro primo fornitore con un peso del 20,3%, seguita dall’Azerbaijan (16,6%) e dal Kazakhistan (15%).

A seguire il gas naturale come seconda fonte di energia italiana, che limita la flessione a -0,7% (-0,3 Mtep) a causa di temperature miti e della frenata della domanda industriale, nonché dalla consistente crescita delle rinnovabili nella produzione di energia elettrica.

«La flessione delle quotazioni internazionali sia del petrolio che del gas hanno avuto – spiegano da Unem – un impatto positivo sulla fattura energetica, che nel 2024 si stima a 48,5 miliardi di euro, inferiore di 18,6 miliardi (-28%) rispetto al 2023. Oltre l’80% di questa riduzione è dovuto al minore esborso per gli approvvigionamenti di petrolio e gas. Diminuita anche la spesa per le importazioni di energia elettrica (-26%) e soprattutto quella per i combustibili solidi (-60%). Il peso sul Pil è attorno al 2,2% rispetto al 5,7% del 2022 quando superò i 144 miliardi di euro».

Dal 2022 a oggi la dipendenza del nostro Paese dall’import di fonti fossili – avendo riserve interne estremamente limitate se paragonate al fabbisogno – è costata agli italiani esattamente 230 miliardi di euro di cui 48,5 solo quest’anno, dove il petrolio incide per 21,2 mld di euro e il gas naturale per altri 20,6. A confronto, tutti gli incentivi erogati alle fonti rinnovabili stimati da Arera sono stati pari a 7,1 mld di euro nel 2023, con una media attesa di 9 mld di euro negli anni successivi. E una profonda differenza: sostenere la transizione ecologica significa favorire la sicurezza energetica oltre a lottare contro la crisi climatica, perché le fonti rinnovabili sono abbondantemente (e gratuitamente) disponibili sul territorio. Continuare a investire sui combustibili fossili (con sussidi ambientalmente dannosi per 78,7 mld di euro stimati nel 2023) significa invece alimentare dipendenza.



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