Geopolitica: Tensioni e conflitti per l’oro blu

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Nei paesi più poveri già due abitanti su cinque muoiono di sete, nei prossimi 25 anni secondo le previsioni l’acqua mancherà in 48 stati, tra 50 anni mancherà quasi ovunque.

La crescente domanda di acqua, le crescenti pressioni ambientali e le pratiche di gestione non sostenibili mettono sempre più a dura prova le riserve idriche globali.

Di conseguenza, con l’aumento dello stress idrico, i contrasti tra paesi per la gestione dell’acqua aumentano anche i rischi di ostilità locali/regionali.
L’acqua, risorsa vitale, denominata anche “oro blu”, è diventata sempre più un fattore scatenante di conflitti tra quanti ne rivendicano le pretese.
Le risorse idriche e le infrastrutture vengono prese di mira dalle parti in conflitto violento, come strumento o bersaglio di guerra. La presa o la distruzione di fonti idriche e infrastrutture sarebbero strumenti utilizzati per controllare territori o popolazioni.

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Il rapporto annuale Water Conflict Chronology del Pacific Institute mostra che nel 2023 ci sono stati 347 casi di conflitti armati legati all’acqua, rispetto ai 231 del 2022. Questi includono attacchi ai sistemi idrici, dispute sull’accesso all’acqua e l’uso delle risorse idriche come arma da guerra.
Uno degli esempi di crisi causato dalla gestione dell’acqua, già trattato in questo giornale, è quello tra Egitto, Etiopia e Sudan che verte principalmente sulla questione della costruzione della diga Gerd sul fiume Nilo, a 700 km a nord di Adiss Abeba. Il fiume in questione è il più lungo del continente africano, attraversa 11 paesi percorrendo 4.000 miglia, dai fiumi equatoriali che alimentano il Lago Vittoria fino alla sua destinazione finale nel Mar Mediterraneo. L’Egitto, paese prevalentemente desertico, di 100 milioni di abitanti, fa affidamento sul fiume per il 90 per cento del suo fabbisogno di acqua dolce.
La costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) si trova a 700 km a nord ovest della capitale etiope, Addis Abeba, e al momento, sarebbe stata completata per il 94%. Il costo dell’opera è di circa 4,5 miliardi di dollari –sarà la più grande centrale idroelettrica dell’Africa e tra le 20 più grandi al mondo, con un bacino idrico enorme. La questione della diga è diventata un tormento nazionale per gli egiziani, alimentando patriottismo e paure profonde poiché potrebbe ridurre drasticamente l’approvvigionamento idrico di Sudan ed Egitto causando danni rilevanti soprattutto all’agricoltura con forti ricadute sulla stabilità sociale.
Si prevede che i terreni agricoli nell’Alto Egitto si ridurranno del 29,47% e nel Delta del 23,03%. La riduzione della produzione di riso e, potenzialmente, di frutta e verdura, porterà il Paese all’insicurezza alimentare e all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con conseguente instabilità economica e sociale, soprattutto considerando che il settore agricolo rappresenta circa il 23% dell’occupazione.

Sempre restando in Africa, nel 2022, l’Università delle Nazioni Unite (think tank e organo accademico delle Nazioni Unite) ha stimato che 19 Paesi africani, con una popolazione totale di 500 milioni di persone, soffrono di insicurezza idrica. In cima alla lista ci sono tre Paesi che non sono estranei ai conflitti: Ciad, Niger e Somalia. Lo studio aggiunge che la maggior parte delle nazioni del continente è esposta a livelli più elevati di rischio di eventi meteorologici estremi, poiché i cambiamenti climatici li rendono più frequenti e più gravi, superando la capacità di adattamento dei Paesi.

In Camerun, gli scontri che hanno contrapposto le comunità di pescatori Musgum ai pastori di etnia araba Choa per l’accesso ai punti d’acqua hanno causato decine di morti. Migliaia di rifugiati sono fuggiti attraverso il fiume Chari nel vicino Ciad.
Agricoltori e pastori si sono scontrati in altre parti dell’Africa per l’accesso all’acqua.

A molti chilometri di distanza dall’Etiopia, agricoltori messicani hanno incendiato edifici governativi, teso imboscate ai soldati, preso in ostaggio politici e preso il controllo della diga di La Boquilla per impedire che l’acqua venisse deviata dai loro campi e convogliata negli Stati Uniti.

Durante la guerra civile in Iraq, l’ISIS ha preso il controllo delle dighe a Fallujah, Mosul, Ramadi e altrove e le ha utilizzate per inondare o interrompere le forniture idriche alle aree sciite e controllate dal governo.

L’accesso all’acqua può esacerbare le tensioni comunitarie. Secondo un rapporto del 2016 del consiglio di sicurezza dell’ONU, la competizione per le scarse risorse idriche in Darfur e Afghanistan ha contribuito alle tensioni. In Perù, l’impatto delle industrie estrattive sull’acqua è stato il motore più comune di proteste e violenze contro le aziende da parte delle comunità locali.

Le guerre rendono l’acqua uno strumento deliberato o una vittima collaterale del conflitto. Dall’estenuante conflitto civile in Iraq e Siria alla situazione russo-ucraino, i combattenti hanno deliberatamente preso di mira le risorse idriche, sequestrando o distruggendo i sistemi idrici come leva contro i loro avversari. Allo stesso modo, la guerra contro Hamas da parte di Israele ha gravemente compromesso le fonti idriche, degradato gli ecosistemi e decimato le infrastrutture idriche, mettendo a repentaglio la salute pubblica e il benessere a Gaza.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ritiene che le sfide idriche potrebbero contribuire a destabilizzare i paesi chiave, a causare spostamenti di popolazione, ad aggravare i disagi sociali negli stati fragili e a mettere a repentaglio la pace e la prosperità globali. Il World Economic Forum classifica regolarmente i rischi legati all’acqua tra le minacce globali più probabili e di maggiore impatto dei prossimi decenni. E stanno emergendo nuovi fattori di rischio. Man mano che lo stress idrico diventa più acuto, alcuni stati con bacini condivisi potrebbero usare il controllo delle riserve idriche, tramite dighe e altre infrastrutture, per esercitare una leva sugli altri paesi rivieraschi.

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