lavoratori in sciopero contro le opache politiche aziendali

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Il gruppo Cerved è la maggiore realtà informatica della provincia di Cosenza e molto probabilmente della regione Calabria, con circa 350 dipendenti assunti a tempo indeterminato, la sede di Mangone è la seconda sede in italia del gruppo per numero di impiegati.

Il gruppo Cerved, storica realtà leader nel settore della Business Information, sta attraversando una fase di profonda destabilizzazione all’interno della sua comunità lavorativa, dopo l’acquisizione da parte del Gruppo ION di Andrea Pignataro.

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Cerved Group

Secondo dipendenti e sigle sindacali, l’azienda sta cercando in ogni modo di eludere le procedure previste dalla legge per ridurre il costo del personale, facendo addensare nubi grigie su un luogo di lavoro un tempo gradevole e stimolante.

Attualmente Cerved conta circa 2700 dipendenti, frutto di anni di fusioni e incorporazioni di varie società, confluite all’interno del gruppo Cerved. Dopo l’acquisto da parte di ION, sono cominciate pressioni a dir poco terroristiche sul personale, probabilmente a seguito di un outlook negativo assegnato a Cerved da Fitch (https://www.fitchratings.com/research/corporate-finance/fitch-assigns-cerved-group-spa-first-time-b-idr-outlook-negative-23-01-2024), legato all’eccessiva leva finanziaria (acquisti a debito) esercitata sull’azienda, che suggerisce l’ottimizzazione dei costi del personale e del settore IT.

Anche lo spostamento in cloud dei propri datacenter, in base a frettolose considerazioni di risparmio ed efficienza, si sta dimostrando contrario ad ogni ragionevole logica economica e organizzativa, aumentando in modo considerevole i costi rispetto alla soluzione in house.

Di conseguenza, com’è solida abitudine italiana, si cerca di risparmiare sui costi più facilmente aggredibili che sono ovviamente quelli legati al personale.

Il primo segnale di una strategia aggressiva è arrivato nel 2024 quando, per la prima volta nella sua storia, l’azienda ha annullato il premio di produzione e riassorbito sotto altre voci gli aumenti contrattuali, nonostante la distribuzione di 108 milioni di dividendi, generando immediate tensioni tra i dipendenti.

Quindi, sotto la guida dell’ex AD Andrea Mignanelli, è stata avviata una controversa politica di valutazione del personale.

L’obiettivo dichiarato era identificare il 25% dei lavoratori “non performanti”, con parametri di valutazione largamente soggettivi e apparentemente mirati a un rapido “svecchiamento” aziendale. I dipendenti over 50 sono stati particolarmente penalizzati, spesso relegati in progetti a bassa professionalità o isolati in spazi separati.

Il cambio di vertice con l’arrivo di Carlo Purassanta non ha modificato questa impostazione.

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Anzi, è stato decapitato il reparto Risorse Umane e introdotti i Performance Improvement Plans (PIP), un ulteriore strumento di pressione sui lavoratori, nei quali confluiscono tutti i lavoratori valutati a bassa performance mediante criteri assolutamente opachi. In questo modo, è stato spesso messo in crisi anche il rapporto fiduciario tra dipendente e responsabile diretto, visto come unico colpevole della situazione.

La conseguenza è un crescente esodo di personale, compresi dipendenti con profonda esperienza, in Cerved da oltre 20 anni, che, mancando un reparto HR, nessuno ha provato a trattenere.

Il punto più critico è forse rappresentato dal taglio dell’intera rete commerciale: a dicembre 2024, 107 agenti vengono messi alla porta, attraverso una semplice PEC, senza alcun preavviso e senza alcuna spiegazione, alcuni dei quali erano in forza a Cerved da vari decenni. La nuova direzione sembrerebbe quella di introdurre un sistema telefonico ibrido di intelligenza artificiale e operatori di call-center per la vendita dei prodotti BI, strategia che non tiene minimamente conto di quello che è stato il peso ed il valore della rete commerciale Cerved e dei rapporti fiduciari degli agenti con i clienti, che, specialmente in Italia, contano ancora moltissimo.

I lavoratori della società hanno chiesto all’azienda che, in caso di esuberi del personale o ristrutturazione aziendale, si utilizzino gli strumenti messi a disposizione dalla legge ma l’azienda sembra preferire una strategia di logoramento che spinga spontaneamente i dipendenti alle dimissioni.

In questo clima di terrore, si aprono interrogativi inquietanti: com’è stato possibile che un’azienda strategica, fino a poco tempo fa quotata in Borsa e apprezzata dagli investitori (e anche su questa fuga da Piazza Affari ci sarebbe da ridire), che di fatto detiene informazioni commerciali cruciali per il sistema economico italiano, sia finita in mano a investitori con base all’estero, senza che venisse considerata una eventuale “golden power” del governo? Da dove provengono i capitali di Pignataro, le cui società sembrano muoversi in un’opaca geografia finanziaria? Quale sarà il destino di una grande azienda italiana, che non soffre di alcun problema strutturale, e dei suoi dipendenti, che ne hanno fatto la storia?

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