Opinioni | Crimini di guerra e diritto internazionale

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Caro Direttore,
scrivo in merito all’editoriale di Ernesto Galli della Loggia («La guerra e i crimini di guerra»), apparso sul Corriere del 12 dicembre. Evidentemente mettere in discussione la validità del diritto internazionale umanitario (e della giustizia penale internazionale) è una tendenza sempre più ricorrente… Poiché di mestiere insegno il diritto internazionale e Galli della Loggia scrive alcune cose – diciamo così – «discutibili» in materia, mi permetto di fare il professore. In breve, premesso che gli attacchi vanno diretti unicamente contro ciò che corrisponde alla definizione di obiettivo militare, il diritto umanitario (o diritto dei conflitti armati) non esclude del tutto il rischio di vittime civili collaterali, purché siano state adottate le precauzioni del caso per minimizzare tale rischio e a condizione che vittime collaterali incidentali e/o danni collaterali incidentali a beni civili restino proporzionate/i (ovvero non siano eccessive/i) rispetto al concreto vantaggio militare previsto (la valutazione viene fatta con riferimento a ciascuna operazione militare); in questo caso non viene commesso un crimine di guerra (gli ospedali sono una categoria a parte). Galli della Loggia sembra inoltre considerare la rilevanza del diritto umanitario attualmente vigente alla luce dei bombardamenti indiscriminati della seconda guerra mondiale, ovvero una fase storica in cui il diritto umanitario come lo intendiamo ed applichiamo oggi, a partire dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, non si era ancora formato. L’odierno sistema di regole, del resto, si è sviluppato – a causa della seconda guerra mondiale – proprio per sancire che le popolazioni e i beni civili non possono (più) essere bersaglio deliberato. Nessuno nega che nella realtà, specialmente nell’ambito dei conflitti attualmente in corso e da parte di alcuni belligeranti in particolare, il diritto umanitario non venga rispettato, ma sostenere che tanto il mondo va lo stesso dove vuole è un messaggio molto pericoloso: malgrado le ben note difficoltà di attuazione (ben note innanzitutto a esperti e organismi competenti), le attuali regole rappresentano nondimeno l’ultimo freno allo scatenamento della violenza bellica senza limiti. Infine, il diritto umanitario è insegnato in tutte le nostre forze armate (chi scrive lo fa per i Capitani dell’Aeronautica militare). Questo fa loro onore: siamo un Paese democratico e basato, malgrado tutto, sul rispetto del diritto. Inoltre, l’importanza che le nostre forze armate attribuiscono al diritto umanitario è dovuta anche a un altro fatto: il grilletto, con tutti i rischi che questo comporta (anche per i civili), sarebbero i militari a doverlo premere – non Galli della Loggia.
professore associato nell’Università di Firenze e docente di diritto dei conflitti armati presso l’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche
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Ringrazio il professor Bultrini per l’attenzione che ha voluto dedicarmi e per la sua difesa della plausibilità del diritto internazionale umanitario. Difesa che tuttavia – egli mi perdonerà – mi lascia più che mai scettico
Non è vero, sostiene Bultrini, che quel diritto è implausibile e irrealistico
dal momento che esso, come io ho sostenuto, considererebbe di fatto un crimine di guerra la guerra in quanto tale. Tanto è vero, precisa sempre Bultrini, che esso prevede realisticamente delle clausole esimenti, diciamo così, anche per il caso che delle operazioni militari causino le vittime civili o «danni collaterali». Queste clausole esimenti, egli ci dice, sono tre: a) che siano state adottate tutte le precauzioni per minimizzare la circostanza dei «danni collaterali»; b) che tali vittime o danni non siano «eccessivi»; c) che cioè essi siano di una misura «proporzionata» ai vantaggi militari conseguibili.
Bene. Ora a me pare assai difficile negare che si tratta, tuttavia, di clausole esimenti del tutto inconsistenti. Come, in qual modo, mi chiedo, si riuscirà mai a dimostrare, ad esempio, che siano state adottate o non adottate tutte – “tutte”! – le precauzioni ecc. ecc.? Ancora: con quale criteri mai si stabilirà la misura «appropriata» ovvero «eccessiva» del numero delle vittime dei danni collaterali? «Eccessiva» rispetto a che cosa? Con quale criterio, infine, potrà mai essere stabilita la loro «appropriata proporzionalità» rispetto ai vantaggi conseguiti o conseguibili? Non è forse ragionevole pensare, ad esempio, che uno spaventoso bombardamento sulla popolazione civile sia decisivo per convincere alla resa il nemico e perciò costituisca a tutti gli effetti un mezzo proporzionale al vantaggio conseguibile?
Dipenderà sicuramente dalla mia scarsa preparazione giuridica ma a me, lo confesso, un diritto che lascia così ampi margini di aleatorietà alle sue diposizioni, alla sua applicazione e dunque alle eventuali condanne in suo nome più che un diritto mi sembra una sua innocua scimmiottatura.

Ernesto Galli della Loggia




















































13 dicembre 2024

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