perché c’è un problema con le licenze e con la liberalizzazione

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In Italia la quantità di taxi disponibile non è sufficiente a soddisfare la richiesta dei clienti durante gli orari più trafficati: a Milano c’è il 38% di probabilità che non ce ne siano di disponibili. A Roma la percentuale sale al 44% e a Napoli addirittura al 47%, cioè quasi una chiamata su due non riceve risposta. Per risolvere il problema non basterebbe semplicemente aumentare il numero di licenze? La risposta è tutt’altro che banale e perciò, prima di vederla, credo sia utile capire un po’ più da vicino il problema, facendo una panoramica della situazione oggi.

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La situazione dei taxi oggi

In termini assoluti, Roma è al primo posto in termini di taxi, con 7692 licenze, seguita da Milano con 4853 e Napoli con 2364. Si tratta di dati che però vanno rapportati al numero di abitanti: Milano, che in questo campo è la più virtuosa, ha una media di circa 3,5 licenze ogni 1000 abitanti, seguita da Roma con 2,8 e Napoli con 2,5. Se li confrontiamo a Londra sono valori bassi, visto che lì ce ne sono 5,1 per 1000 abitanti. Se li confrontiamo a Parigi invece sono in linea, dal momento che lì ce ne sono 2,54 per 1000 abitanti.
Consideriamo però che Parigi, tanto per fare un esempio, ha 16 linee della metropolitana, perciò è anche normale che la domanda di taxi sia un po’ più bassa che in Italia, perché muoversi in città è più semplice.

Ma torniamo qui da noi. Nel Bel Paese il numero di licenze è ormai bloccato da anni: a Milano non ci sono nuove licenze dal 2003, a Roma dal 2005 e a Napoli dal ‘98. Il record però è di Livorno dove non ci sono nuove licenze dal 1977. Allo stesso tempo però è giusto segnalare come la situazione non sia la stessa a ovunque, visto che a Bologna sono stati aggiunti 36 taxi nel 2018 e a Venezia 12 nel 2022. Ma come ci siamo finiti in questa situazione?

Breve storia delle licenze dei taxi

Prima del 1992 la legge lasciava ai singoli comuni il compito di regolamentare autonomamente il servizio taxi e la sua gestione, compresa l’emissione delle licenze. Le cose però hanno presto iniziato a cambiare e possiamo riassumere le principali evoluzioni in tre tappe.

La legge 21 del 1992

Il primo grande passo lo si ha avuto con la legge 21 del 1992 quando la gestione dei taxi è stata regolamentata a livello nazionale. Questa legge dice sostanzialmente che, da una parte, spetta ai comuni la libertà di emettere nuove licenze, sia gratis (quindi tramite concorso pubblico) che a pagamento. Dall’altra parte i tassisti che hanno una licenza la possono vendere liberamente oppure cederla a chi vogliono, ad esempio figli o parenti. Qual è stato il risultato però? Che nel tempo sono state emesse poche licenze e, essendo poche, il loro valore è salito alle stelle. Considerate che oggi si parla tranquillamente di 150-200 mila euro a licenza.

Il decreto Bersani del 2006

Ovviamente se qualcuno spende così tanto per una licenza, ha tutto l’interesse a tenere basso il numero delle altre licenze in circolazione, altrimenti c’è svalutazione. Quindi per cercare di andare incontro alle esigenze dei tassisti e, allo stesso tempo, aumentare il numero dei taxi in circolazione, nel 2006 arriva il Decreto Bersani. Questo dice che se i comuni decidono di emettere nuove licenze possono farlo anche a pagamento (prima si potevano emettere solo a titolo gratuito), e in questo caso il 20% dei ricavi va effettivamente ai comuni mentre l’80% viene ridistribuito tra i tassisti. Questo perché? Perché, come abbiamo detto, se aumentano le licenze non solo aumenta la concorrenza, ma anche le singole licenze già in circolazione perdono valore.

Queste compensazioni economiche però sono sempre state viste dai tassisti come non sufficienti e, di conseguenza, negli anni abbiamo visto grandi scioperi a livello nazionale, paralizzando di fatto intere città. I danni economici di questi scioperi sono così grandi che, di fatto, questa è diventata una categoria con cui lo stato fatica a trovare un compromesso.

Il decreto Asset del 2023

Quindi, il problema è rimasto, e qui arriviamo al terzo e ultimo tassello, il Decreto Asset del 10 agosto 2023. Con questo decreto i 65 più grandi comuni italiani possono vendere un 20% in più di nuove licenze rispetto a quelle in circolazione tramite una procedura semplificata. Ma questa volta il 100% del ricavato andrà ai tassisti e lo 0% ai comuni. Questo è stato pensato soprattutto in ottica di grandi eventi, come il Giubileo del 2025 o le Olimpiadi Invernali del 2026. Attualmente alcune città come Milano e Bologna stanno provando ad intraprendere questa strada ma, al momento, non sono state emesse ulteriori nuove licenze.

Come avrete capito la situazione di oggi è tutt’altro che banale e in ballo ci sono tantissimi soldi, grandi scioperi e una mancanza di autovetture nei momenti di massima richiesta.

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Le alternative ai taxi: NCC e Uber

In realtà esistono delle alternative ai taxi, come ad esempio gli NCC (Noleggio con Conducente) e servizi privati, come Uber. Vediamo rapidamente cosa cambia tra questi tre sistemi di trasporto e quali sono le criticità, prendendo quattro aspetti chiave: tariffe, sosta, licenze e prenotazione.

Tariffe

Nel caso del taxi la tariffa è determinata dal tassametro, che dipenderà dell’orario, dalla tratta e dalla lunghezza della corsa. L’NCC, cioè il Noleggio con Conducente, prevede di concordare l’importo prima di salire a bordo, quindi viene fatto un vero e proprio preventivo tempo prima della partenza. Nel caso di Uber invece i clienti sanno fin da subito quanto spenderanno perché l’importo è calcolato direttamente dall’app in fase di prenotazione.

Sosta

I taxi possono sostare nelle aree pubbliche con scritto “taxi”, tipo quelle vicine alle stazioni, mentre gli NCC devono tornare in rimessa al termine di ogni servizio. Gli Uber invece non hanno l’obbligo di rientrare al termine di ogni corsa.

Licenze

Per quanto riguarda le licenze, lo abbiamo visto, i taxi la richiedono per forza e ogni licenza può costare tranquillamente tra i 150 mila e i 200 mila euro.
Gli NCC, d’altro canto, sono anch’essi parte del servizio pubblico “non di linea”, quindi anche loro hanno bisogno di una licenza. La differenza rispetto al Taxi è che le licenze NCC costano meno. Questo perché gli NCC da un certo punto di vista hanno più vincoli di un taxi – infatti devono disporre di una rimessa, la prenotazione deve essere sempre concordata in anticipo, eccetera, quindi insomma essendo meno appetibili hanno un costo tendenzialmente inferiore. Anche Uber – semplificando – richiede agli autisti di avere licenze NCC.

Prenotazione

Per quanto riguarda la prenotazione, l’NCC deve per forza essere prenotato in anticipo, specificando un preciso orario e un preciso punto di incontro. Con il taxi invece non è obbligatorio prenotarlo in anticipo e lo si può anche prenotare sul momento, chiamando o usando l’app quando ne abbiamo bisogno, oppure può essere preso direttamente in strada, al parcheggio o fermando un taxi libero che sta passando.

Per Uber invece la prenotazione può essere istantanea, come per il taxi, ma avviene esclusivamente tramite app. Quindi una sorta di servizio NCC, ma molto più rapido. Questa cosa infatti è criticata dai tassisti perché essendo già fuori dalla rimessa, gli Uber di fatto si possono sostituire in tutto e per tutto ai taxi nelle grandi città.

Chiarite le differenze, è facile capire il motivo per cui tra queste tre entità non corra sempre buon sangue: c’è un forte attrito, perché di fatto ognuno vede gli altri come concorrenti. E questo è anche il motivo per cui la liberalizzazione di questo settore è così complessa, visto che ad ogni tentativo di apertura verso questa alternativa – come avrete capito – sono seguiti massicci scioperi di tassisti in tutta italia, costringendo il governo a fare dietro front. Ad oggi comunque sappiate che in alcune città italiane è sì presente Uber come abbiamo detto ma nella sua versione Uber black, che è quello dal servizio più “di lusso” e costoso che, concettualmente, si avvicina più al mondo degli NCC.

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