Quale futuro per il mercato del lavoro tra inattivi e incompetenti?

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Dal report dell’European Trade Union Institute emerge un quadro critico sul mercato del lavoro, la pandemia ha in un certo senso accelerato ed esacerbato le dinamiche di una duplice transizione; il calo demografico, in cui il continente si sta sempre più addentrando, la difficoltà da parte delle imprese, a trovare lavoratori.

Serve aumentare le competenze dei lavoratori attraverso migliori e più efficaci politiche formative, e/o attrarre i lavoratori necessari da fuori l’Ue, attraverso politiche migratorie che mettano al centro il lavoro e la sostenibilità dell’economia europea.

Occorre considerare alcune dimensioni del problema:

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·        in primo luogo, sebbene la mancanza di lavoratori adeguatamente qualificati possa spiegare il ricambio, (skill shortages) in alcuni settori, il problema non riguarda tutte le mansioni, soprattutto quelle dove non servono particolari abilità o conoscenze.

·        in secondo luogo, in molti Paesi dell’Ue permane un alto tasso di inattività, pari al 25,% circa per la classe 15-64 anni, dato che varia da Paese a Paese: gli inattivi sono il 33,3% in Italia, dove per altro si registra il valore più elevato in assoluto, il 26,1% in Francia, il 20,3% in Germania.

Occorre spostare lo sguardo verso altri fattori e dimensioni del lavoro, che giocano un ruolo fondamentale nell’attirare lavoratori in quei settori e in quelle imprese che faticano maggiormente quali: i salari, la qualità del lavoro, il potere contrattuale dei lavoratori nel negoziare migliori termini per sé stessi e per la categoria.

I sindacati sonno afflosciati su se stessi e non riescono più a intercettare le esigenze dei lavoratori e del mondo del lavoro, ci si potrebbe aspettare che il bisogno e la fatica delle imprese nel riempire posizioni vacanti offra agli stessi lavoratori più forza contrattuale e di conseguenza posti di lavoro, salari e condizioni migliori.

La mancanza di lavoratori sembra abbia apportato i benefici maggiori in termini salariali soprattutto a coloro che hanno fatto il loro ingresso nel mercato del lavoro proprio in quest’ultimo periodo e in settori dinamici, innovativi anche se privi di una forte contrattazione collettiva.

I lavoratori coperti da contrattazione collettiva godono di condizioni migliori rispetto ai colleghi che ne sono esclusi) ma potrebbe al contrario, aver in una certa misura mantenuto bloccati i salari di chi già godeva di una copertura di questo tipo, inibendone la crescita.

La mancanza di lavoratori sembra aver avuto effetti negativi, anche, rispetto a elementi come l’equilibrio vita-lavoro, la riduzione degli orari e le possibilità di carriera.

Le imprese, per trattenere i lavoratori hanno spesso offerto posizioni stabili, meglio remunerate e meno precarie, anche se i dipendenti hanno spesso dovuto affrontare carichi di lavori gravosi e stressanti per colmare le lacune esistenti, le aziende, pressate dall’urgenza di mantenere operativi i servizi, hanno operato sotto organico e hanno spesso ridotto l’investimento in formazione e sviluppo professionale.

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L’analisi considera le tante differenze settoriali e che intercorrono tra Paese e Paese all’interno dell’Unione europea, dove alcuni settori, specie quelli che impiegano lavoratori maggiormente specializzati o che più si prestano a forme di compensazione dell’equilibrio vita-lavoro come il remote o lo smart working sono riusciti a migliorare le condizioni e a soddisfare le richieste dei lavoratori, aumentando l’attrattività.

Disegnare un quadro che tenga conto dei molteplici impatti che; skill mismatch e skill shortages hanno avuto su imprese e lavoratori in termini di salari, qualità del lavoro, forza contrattuale non è semplice,  a causa delle numerose variabili, solo una contromisura trasversale nei benefici, con sforzo collettivo, ma calibrato sui singoli contesti nazionali, specie in quelli maggiormente critici come l’Italia, potrà includere nel mercato del lavoro una quota più ampia della popolazione in età lavorativa.

Sarà necessario progettare e attuare politiche formative mirate e calibrate sulle necessità dei singoli settori in modo da massimizzare l’efficacia.

Infine serve intervenire, dove necessario, adeguando le capacità di risposta della contrattazione collettiva alle crisi contingenti.

Si tratta di sfide ampie e trasversali, che dimostrano come il mercato del lavoro non può essere trattato come un monolite.

Imprese, lavoratori e parti sociali non sono prive degli strumenti per navigare un orizzonte incerto ma mutevole.

Alfredo Magnifico

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