Lo spaccio di droga con i figli in braccio: per i bambini “è il lavoro di papà”

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«Ma picchi ‘u stati attaccannu? Chiddu è travagghiu». Parlava così qualche anno fa un ragazzino rivolgendosi a uno degli investigatori che stavano portando via il padre accusato di spaccio di droga. Parole che colpivano come uno schiaffo chi in quel momento indossava la divisa. Il viso rimaneva di vetro ma il cuore batteva forte nel petto. Quel piccolo parlava di “lavoro” quando il padre era il gestore di una piazza di spaccio. Una scena raccolta dai ricordi di un’inchiesta passata ma che torna prepotente guardando i video proposti dall’ultima operazione antidroga dei carabinieri, chiamata Villascabrosa. Come il nome della strada di San Cristoforo, a Catania, dove i pusher “smerciavano” dosi di sostanza stupefacente portandosi dietro i figli.

Il bimbo in braccio

In una delle foto c’è uno degli indagati che ha in braccio un bambino mentre consegna la “merce” a un cliente che si è fermato in auto. Quella era l’attività di famiglia. I bambini la considerano la professione di mamma e papà. Una distorsione del concetto di “lavoro” che rientra nelle attività lecite e non certo illecite.Gli indagati sono stati arrestati dai carabinieri della compagnia di Piazza Dante a Catania dopo una conferma della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato l’ordinanza del Riesame che aveva accolto l’appello della procura dopo il rigetto del gip alla richiesta di misura cautelare. L’inchiesta è fondata sulle immagini estrapolate dalle telecamere piazzate tra le vie Villascabrosa e Officina. Ed è qui che l’occhio elettronico registra le immagini che diventano l’emblema di un’emergenza sociale che non è solo catanese. Ma accomuna molte città siciliane e non solo.

La nonnina spacciatrice

A capo dell’azienda dello spaccio a conduzione familiare ci sarebbe stato Emanuele Napoli e Alessandro Cambria: i due sono cognati e sono sposati con le sorelle Sudano. Una di loro, Alessandra, è finita in carcere. Ma un ruolo, non marginale, lo aveva la mamma di Napoli, Maria Greco. La nonnina settantenne sarebbe stata pienamente coinvolta nello spaccio. Insomma in casa non si sarebbe parlato d’altro, con i bimbi cresciuti a pane e droga. Portati per strada, “mano nella mano”, mentre gli automobilisti in fila aspettano il turno per acquistare la dose.La presenza dei bimbi, purtroppo, potrebbe essere anche uno strumento per depistare. Chi potrebbe mai immaginare che un papà con un figlio in braccio, oppure uno zio con un nipotino possano essere dei pusher professionisti? Se così fosse, sarebbe ancora più drammatico. I figli andrebbero protetti e salvati. Non usati per evitare le manette. Anche se quei ragazzi, forse rassegnati, hanno messo in conto di andare a finire prima all’istituto penale minorile e poi in carcere. La prigione è quasi considerata una fase della vita. Ed è paradossale che per alcuni diventa quasi un vanto. Più anni di galera collezioni, più «nel quartiere ti rispettano». Racconta un baby pusher. Che aveva a sua volta un papà spacciatore. Molti minorenni assieme alle buste piene di “erba” portano la pistola, che non hanno paura di mostrare. Tante volte, durante i controlli, sono trovate armi sotto la sella degli scooter o addirittura addosso. Lo status symbol criminale per alcuni bambini, che tristemente giocano a fare gli adulti, è il pony. Che portano al passeggio al guinzaglio come fosse un cane.

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I soldi facili

Questi ragazzini che accettano di diventare manovalanza dei clan della droga per avere i soldi facili, attratti da quello che guardano sui social. Su TikTok è un film continuo. Qualche tempo fa, a Picanello, i carabinieri hanno sequestrato un cavallo in una stalla che sarebbe stato di un giovane. L’equino è stato sostituito prontamente da un motorino elettrico. Il centauro, ex fantino, ha fatto una diretta social dove rivolgendosi direttamente agli investigatori diceva sostanzialmente: «Mi avete tolto il cavallo ma io ora ho la moto. E se mi prendete anche questa, comprerò un’altra cosa». Poi è stato prontamente denunciato per istigazione a delinquere.Non bastano le retate ogni sei mesi. Le percentuali di evasione scolastica a Catania superano il 20 per cento in alcune zone. Non solo San Cristoforo ma anche Librino e Trappeto nord. Da alcuni anni però qualcosa è cambiato. L’istituzione dell’Osservatorio contro le devianze giovanili con il progetto “Liberi di Scegliere” ideato dal presidente del Tribunale dei Minori Roberto Di Bella è uno strumento efficace. Nei casi limite, i bambini sono allontanati dal degrado. «Già che se ne parla è una cosa che fa la differenza», confessa qualcuno. Poi c’è l’oratorio de La Salette che rappresenta per le mamme del quartiere il rifugio per i loro ragazzi. I pericoli però arrivano quando superano l’età in cui frequentano quello spazio “protetto”. Il rischio di perdersi è davvero grande. «Vieni a guadagnarti una carta da cento euro!», è la proposta che pochissimi rifiutano. Diventano vedette o addirittura pusher. Sull’istruzione la strada maestra è già avviata. E si sente il “profumo” dei primi germogli.Lo spaccio, in queste realtà, è diventato un ammortizzatore sociale. Per fare veramente la differenza servono opportunità lavorative e riqualificazione urbana. E soprattutto la politica deve smettere di delegare a volontari e associazioni che hanno cambiato la vita di tanti giovani.La speranza è di non vedere più immagini come quelle del blitz Villascabrosa. Mai più





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