La caduta di Assad rivela una sconfortante verità sulle dinamiche in Medio Oriente – Israele.net

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Molti politici occidentali non riescono a capire che in questa regione i periodi di calma non sono visti come trampolini verso una pace duratura, ma come pause temporanee in un ciclo infinito

Di Gershon Hacohen

Gershon Hacohen, autore di questo articolo

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Mentre assistiamo allo svolgersi degli eventi in Siria, una cruda lezione emerge dall’offensiva a sorpresa dei ribelli, una lezione che dovrebbe invitare tutti a soffermarsi e riflettere.

A differenza di quanto accade in Occidente, la logica strategica che governa il Medio Oriente funziona come un complesso ecosistema in cui il più piccolo cambiamento può innescare effetti a cascata in tutta la regione. Come in un ecosistema le popolazioni di bestiame possono influenzare i modelli climatici, allo stesso modo il cambiamento in una dinamica di potere regionale si ripercuote su tutto il Medio Oriente.

È una situazione tutt’affatto diversa dalla precisione ingegneristica di un moderno sistema ferroviario dove ogni movimento è calcolato e controllato. Abbiamo piuttosto a che fare con un delicatissimo equilibrio che può rovesciarsi da un momento all’altro.

Prendiamo ad esempio quello che sta accadendo ora. L’offensiva dei ribelli sunniti contro le forze di Assad e le milizie sciite, partita dalla Siria settentrionale, non è emersa dal nulla. È un effetto diretto delle mutate dinamiche regionali a seguito delle campagne militari di Israele contro Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza (a loro volta innescate dagli attacchi contro Israele scatenatati il 7 ottobre da Gaza e dal Libano).

È esattamente così che funziona l’ecosistema Medio Oriente: un evento ne innesca un altro, in una catena infinita di azioni e reazioni.

Ecco cosa non riescono a capire molti politici occidentali: in questa regione, i periodi di calma non sono visti come trampolini verso una pace duratura, ma come pause temporanee – hudna – in un ciclo infinito.

“Stagione delle tempeste”. Gershon Hacohen: E’ ora di cambiare metafora, non pensare al Medio Oriente come una scacchiera ma come un ecosistema in delicatissimo equilibrio che può rovesciarsi da un momento all’altro

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La mentalità occidentale spera che queste pause alla fine si consolidino in una pace permanente, ma non coglie un punto cruciale: non si possono annullare con il negoziato sacre aspirazioni profondamente radicate.

Si pensi, ad esempio, alle attuali ambizioni della Turchia. Non si tratta solo di geopolitica moderna: si tratta di ambizioni profondamente radicate nella storia ottomana. Aleppo, con i suoi legami storici con le città della valle di Harran, inclusa la mia città natale di Urfa, rappresenta molto di più di una semplice posizione strategica. È un simbolo della gloria passata che riverbera ancora oggi (nell’Europa di un secolo fa si sarebbe parlato di irredentismo ndr).

La storia della regione, dalle campagne di Napoleone alle guerre egiziano-ottomane del 1839-1841, non è solo storia antica: è un modello vivente per ambizioni attuali. Ho visto questa mentalità in prima persona al padiglione iraniano di una mostra a Shanghai, dove un’enorme mappa dell’antico impero persiano sotto Dario dominava l’ingresso. Non si trattava di una mera decorazione: era una dichiarazione di intenti, un sogno in attesa del momento per diventare realtà.

Vale la pena ricordare che Hay’at Tahrir al-Sham significa “Comitato di Liberazione del Sham”. Si tratta dello stesso Sham della sigla ISIS: “Stato Islamico dell’Iraq e del Sham”. Il termine, più esattamente Bilad al-Sham, rappresenta il Levante o Grande Siria: un’area che comprende gli attuali Siria, Libano, Israele/Palestina e Giordania (ndr)

Per gli strateghi americani che cercano ancora di imporre un ordine stabile nella regione, forse è il momento di adottare una metafora diversa: non pensare al Medio Oriente come a una scacchiera, quanto piuttosto come un sistema meteorologico dove gli uragani si formano e colpiscono con una forza che sfugge al controllo umano.

Sì, i conflitti possono essere temporaneamente contenuti. Ma anche gli accordi di pace più promettenti rimangono sempre vulnerabili a cambiamenti improvvisi e imprevedibili.

Le implicazioni tattiche degli eventi recenti sono altrettanto preoccupanti. L’offensiva dei ribelli siriani, come gli attacchi del 7 ottobre, dimostra come si è evoluta la guerra moderna. Utilizzando veicoli di uso comune come motociclette, jeep e pick-up, unità di combattimento mobili (svincolate da qualunque regola, patto o accordo) possono lanciare attacchi a sorpresa devastanti.

E’ un promemoria allarmante del fatto che anche uno stato palestinese apparentemente smilitarizzato potrebbe mobilitare rapidamente tali risorse “civili” per devastanti scopi militari.

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Per Israele, dovrebbe essere un campanello d’allarme. Non è difficile immaginare gruppi d’assalto di questo tipo che si scagliano verso la piana costiera israeliana partendo da Tulkarm e Qalqilya (città palestinesi di Cisgiordania che sorgono a ridosso della ex linea armistiziale a 10-15 km dal mare ndr).

Mentre Israele osserva da bordo campo l’attuale tumulto in Siria, dobbiamo riconoscere una scomoda verità: persino le potenti Forze di Difesa israeliane non possono garantire superiorità assoluta in ogni eventuale scenario.

(Da: Israel HaYom, israele.net, 9.12.24)



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