La crisi del mercato delle arance siciliane, minacciate da siccità e prezzi in calo

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Il mercato delle arance siciliane sta attraversando una crisi senza precedenti.

In particolare, le arance prodotte nella zona di Catania, note per la loro qualità e per la denominazione IGP delle “Arance Rosse di Sicilia” sono oggi penalizzate dalla siccità che, da oltre un anno e mezzo, ha compromesso gravemente la produzione. Le dimensioni degli agrumi risultano ridotte rispetto agli standard, con frutti che, in alcuni casi, non superano quelle di una pallina da golf.

La scarsità di acqua ha generato un calo significativo della produzione: appena 660.000 tonnellate, con una riduzione del 30% rispetto alle 800.000 tonnellate del 2023. Tale situazione rischia di tradursi in un crollo fino al 40% del reddito per i produttori locali, aggravato dalla difficoltà di coprire i costi di coltivazione. Per produrre un chilo di arance in Sicilia servono almeno 50 centesimi, mentre sul mercato il prezzo può scendere fino a soli 30 centesimi.

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Perché il mercato delle arance siciliana è in crisi

La crisi idrica ha colpito in modo particolare le aree della Piana di Catania e dell’ennese, storicamente vocate alla coltivazione delle arance rosse. Qui, oltre 2.500 ettari di agrumeti sono stati abbandonati, principalmente da piccoli e medi agricoltori impossibilitati a irrigare i terreni a causa dei consorzi di bonifica, incapaci di fornire servizi per la scarsità di acqua nei bacini.

Nelle aree interne, dove l’acqua non è arrivata affatto, gli agricoltori hanno smesso di coltivare non solo agrumi, ma anche grano e oliveti. Il rischio, secondo i produttori locali, è che queste terre vengano trasformate in distese di pannelli fotovoltaici, decretando la fine della produzione agricola in ampie zone della Sicilia.

Prezzi più alti e offerta limitata

Nonostante la qualità delle arance siciliane rimanga elevata, le loro dimensioni inferiori agli standard penalizzano il prodotto agli occhi dei consumatori.

Se si considera inoltre la scarsità dell’offerta, che ha determinato un aumento dei prezzi al consumo e non si è tradotta automaticamente in un beneficio per i produttori, la maggior parte dei profitti viene assorbita dalla filiera distributiva. In pratica, i guadagni aggiuntivi derivanti dal prezzo più alto non finiscono nelle mani di chi coltiva le arance, ma vengono principalmente assorbiti da  grossisti, trasportatori e rivenditori.

Per far fronte alla ridotta disponibilità del prodotto nazionale, il mercato sta ricorrendo sempre più frequentemente a importazioni da Paesi come Spagna, Tunisia e Marocco, che stanno guadagnando spazio nelle vendite italiane. Per questo motivo, da settimane ormai, i produttori siciliani, hanno lanciato diversi appelli ai consumatori, chiedendo di scegliere il prodotto locale, indipendentemente dal calibro, per sostenere un settore che rappresenta due terzi della produzione agrumicola nazionale.

Le richieste degli agricoltori

Per salvare il comparto, gli agricoltori chiedono interventi urgenti e mirati. Tra le richieste principali figurano:

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  • l’introduzione di ristori economici per affrontare le perdite;
  • la possibilità di reimpiantare gli agrumeti abbandonati;
  • una drastica riduzione dei costi energetici per chi utilizza pompe per attingere acqua dal sottosuolo.

Un altro nodo cruciale è l’esenzione dal pagamento delle bollette irrigue e delle quote consortili, visto che i servizi di irrigazione non sono stati garantiti. Inoltre, si chiede di attivare il Fondo di Solidarietà Nazionale, già utilizzato per altri comparti, per sostenere gli agricoltori siciliani con misure fiscali e tributarie.

Senza interventi strutturali e politiche di lungo periodo, il rischio è quello di un progressivo smantellamento di un settore che rappresenta non solo un’eccellenza per l’economia locale, ma anche un pilastro della tradizione agroalimentare italiana.

Investire in infrastrutture idriche, ridurre i costi per i produttori e incentivare il consumo di prodotti locali sono passi essenziali per evitare che questa crisi segni la fine di un comparto strategico per la Sicilia e per l’intero Paese.





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