“Brera è diventata Grande. E Milano non è più solo lusso e finanza”

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Milano, 19 dicembre 2024 – Milano, intanto. “Vive ancora un momento straordinario. È vivace, moderna, attrattiva. Se resiste è già un successo. Poi, certo: deve affrontare i suoi problemi”. Elenco sintetico: “Caro-vita, gentrificazione, periferie disagiate, sicurezza. Ma soprattutto i prezzi: il costo della vita allontana”.

Brera, invece, è diventata Grande ed è tornata al centro della scena: Palazzo Citterio ha svelato i suoi capolavori – Boccioni, Pellizza, Morandi, Picasso – dopo 52 anni di annunci e passi falsi. “In un anno sono riuscito, con tenacia e per condizioni favorevoli, ad aprire questo museo bellissimo. Il passato? Non lo guardo. Si è perso tempo? Forse, non lo so. Ciò che importa è che ora diventi un punto di riferimento”. Un anno di lavoro esatto.

Angelo Crespi, classe 1968, natali a Busto Arsizio, laboriosa provincia varesina, studi in Legge alla Cattolica, già fondatore e direttore del Maga di Gallarate e manager nei board di Adi Design Museum, Palazzo Te, Triennale e Piccolo Teatro, è stato nominato il 16 dicembre 2023 direttore del polo museale che comprende la Grande Brera (Pinacoteca, Palazzo Citterio, Braidense, Orto botanico, Osservatorio, un affollato condominio di istituzioni nobili nel convento che fu degli Umiliati) e il Cenacolo Vinciano.

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Sembra ottimista, Crespi.

“Lo sono. Pur considerando Milano la periferia di Busto (ride, ndr), basta vedere i numeri del turismo per essere fiduciosi”.

Voto alla città.

“Dieci, anzi: nove. Per i problemi di cui sopra”.

Le aziende di trasporti non trovano autisti, i prof di liceo rifiutano le cattedre, il ceto medio cerca casa oltre confine. I costi sono fuori scala?

“E noi non troviamo i custodi. Il nodo è l’ingresso al lavoro con stipendi dignitosi. I prezzi delle case rendono dolorosi i trasferimenti: o uno abita già qui oppure fatica a inserirsi”.

Il super-turismo ha dato valore o fatto saltare gli equilibri?

“Non vedo overtourism. C’è a Roma, a Firenze, a Venezia: non a Milano. La città riesce ad accogliere i visitatori internazionali. Prima erano flussi chic legati a moda e shopping. Ora si è affacciato un turismo culturale di alta qualità e larga capacità di spesa, senza particolari contraccolpi o fenomeni di degrado. La permanenza media è aumentata: tre giorni. Non è più solo business: si sceglie Milano per la sua storia, i musei, i luoghi d’arte”.

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E infatti Brera chiuderà un 2024 da record.

“Oltre 520mila ingressi, il dato più alto di sempre. In parte beneficiamo dell’effetto Milano, in parte lo determiniamo”.

Ha lavorato a Gallarate, Venezia, Roma. In cosa si distingue Milano, nel bene e nel male?

“È la città più internazionale, con più risorse, più aziende, nella regione con più siti Unesco. Qui, e solo qui, l’architettura ha espresso la contemporaneità: un laboratorio unico in Italia. E poi ci sono gli investimenti dei privati. A Roma i musei sono statali o civici: qui i due grandi centri del contemporaneo sono Fondazione Prada e Hangar Bicocca di Pirelli. L’apporto del mecenatismo ambrosiano è enorme. I privati hanno sopperito in modo prestigioso all’investimento pubblico, com’è nello spirito di Milano. Anche Palazzo Citterio è frutto di collezioni private”.

Il sistema culturale è ancora solido?

“Prendiamo l’Art bonus. In 10 anni ha totalizzato contributi per un miliardo di euro in Italia: oltre 358 milioni sono stati raccolti in Lombardia. Se hai grandi idee trovi sempre chi ci crede e le sostiene. C’è un investimento stabile in cultura, editoria, arte, gallerie. E poi i teatri. Milano ha il Piccolo, l’Elfo-Puccini, il Franco Parenti: a Roma i teatri sono chiusi o falliti. E le università: i ragazzi arrivano, studiano, si immergono nella cultura. Mille dei quattromila iscritti all’Accademia di Brera sono stranieri”.

Le istituzioni culturali fanno rete o ognuna va per sé?

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“Ho firmato e sto firmando accordi con tutti i musei civici, il Maga, la Fondazione Rovati, il Mit dell’arte digitale e anche con l’ospedale Niguarda. C’è un grande spirito di collaborazione”.

Cambierà la Pinacoteca che ha ereditato da James Bradburne?

“In primavera riporteremo la scultura all’interno del percorso con alcune opere che erano in prestito alla Gam dal 1902. Faremo uno scambio per promuovere le reciproche collezioni”.

Ci sono progetti anche per l’Ultima Cena, tesoro delicatissimo della Milano sforzesca?

“Stiamo iniziando una sperimentazione con il Politecnico sulla qualità dell’aria e l’impatto dei turisti nel Cenacolo, vorrei poter “allargare“ gli slot: da 40 a 45 visitatori per turno, sarebbero 20-30mila turisti in più all’anno. Ma la fragilità della pittura è tale che impedisce qualsiasi sfruttamento. Vedremo l’esito dei test”.

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