Pfas, in Veneto sono oltre la “zona rossa”

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Su sedici punti di campionamento, uno o più Pfas sono stati rilevati in quindici. È uno dei dati emersi dalla campagna di citizen science Operazione fiumi di Legambiente Veneto, che per la prima volta ha incluso le sostanze per- e polifluoroalchiliche tra gli inquinanti ricercati nei principali corsi d’acqua della regione. Il confronto con le serie storiche dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente – Arpav, partner tecnico della campagna, ha messo in evidenza anomalie in sei campioni: in questi casi i Pfas, anche se a basse concentrazioni, non erano mai stati rilevati prima.

Inquinamento diffuso

I dati più preoccupanti sono quelli relativi alla zona più prossima allo stabilimento ex Miteni di Trissino: da qui ha avuto origine l’inquinamento della falda tra Vicenza, Verona e Padova, per cui è in corso il processo alla Corte d’assise di Vicenza. Parliamo del Fratta-Gorzone, da Cologna Veneta alla confluenza nel Brenta, e del Retrone a Vicenza. L’associazione ambientalista segnala tra l’altro la presenza di alcuni composti cosiddetti di “nuova generazione”, appena al di sopra del limite di rilevabilità, mai riscontrati in precedenza da Arpav. La situazione peggiore è quella del Retrone, a Vicenza, con Pfoa e Pfos entrambi sopra gli standard di qualità ambientale (il primo con il valore di 217 ng/l a fronte dello standard di 100, il secondo 24,86 ng/l a fronte di una soglia di 0,65 ng/l) e diverse altre molecole. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – Iarc considera il Pfoa “certamente cancerogeno” e il Pfos “possibile cancerogeno”. Sono da segnalare anche il caso del Dese Sile, alla foce nella laguna di Venezia, e del Livenzaa Motta di Livenza, dove il Pfos supera il limite di 0,65 ng/l.

Operazione fiumi di Legambiente

«I dati che abbiamo raccolto dimostrano come questi inquinanti siano presenti anche in luoghi lontani dalla pesante contaminazione venuta alla luce nel 2013», afferma Piergiorgio Boscagin della Segreteria di Legambiente Veneto. «Ai dati dei fiumi che attraversano i luoghi della contaminazione storica, si aggiungono corsi d’acqua quali il Sile, il Dese e, in alcuni punti, anche l’Adige. È una situazione preoccupante, che dimostra l’urgenza di un monitoraggio accurato delle molte fonti legate al rilascio di questi pericolosi inquinanti. Così come preoccupa il ritrovamento, in alcuni dei campioni d’acqua esaminati, dei cosiddetti nuovi Pfas: Adona, Hfpo-da, GenX, 6:2Fts, C6O4, ritenuti da molti studiosi non meno pericolosi di quelli conosciuti e studiati sino a oggi».

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Il presidio davanti al Tribunale di Vicenza

Mentre è sempre più evidente la dispersione nell’ambiente di queste sostanze pericolose per la salute, a Vicenza si sta per concludere il processo Miteni. A febbraio inizierà l’ultima fase, con la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe delle parti civili e delle difese. Mamme no Pfas, Legambiente, Italia Nostra, Medici per l’ambiente – Isde, Cgil Veneto e altre organizzazioni costituite parti civili si sono date appuntamento venerdì 20 dicembre davanti al Tribunale per tenere alta l’attenzione sul tema. Il timore è che alcuni reati vadano in prescrizione, ma non solo.

Il presidio delle Mamme no Pfas il 20 dicembre 2024 davanti al Tribunale di Vicenza

«Dopo quasi dodici anni dalla scoperta della contaminazione, restano ancora molte domande senza risposta e il silenzio rischia di coprire un disastro ambientale di portata epocale», scrivono in un comunicato stampa congiunto. «Dalle informazioni a disposizione, la bonifica non è ancora iniziata e neppure la messa in sicurezza del sito ex Miteni. Abbiamo notizia di conferenze dei servizi, riunioni tecniche e ricorsi al Tar che allontanano nel tempo le soluzioni. Nel frattempo l’inquinamento continua inesorabilmente a scendere verso valle e a propagarsi, bioaccumulandosi in ambiente e negli organismi. Per quale motivo non si ha notizia dell’avvio di un’indagine per omessa bonifica, che pur costituisce un reato gravemente punito dalla legge?».

Le associazioni si chiedono anche a che punto siano le indagini epidemiologiche che dovrebbero coinvolgere la popolazione esposta. Servirebbe, a loro parere, un aggiornamento dello studio sui lavoratori Miteni, a cinque anni di distanza dalla ricerca a cura di Paolo Girardi, Anna Rosina ed Enzo Merler, che aveva messo in luce come le concentrazioni di Pfoa e Pfos degli operai fossero le più alte mai riportate nella letteratura scientifica mondiale. L’Inail, infatti, ha riconosciuto la malattia professionale per alcuni ex lavoratori Miteni, per la presenza elevata di Pfas nel loro sangue.

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In apertura una foto di Legambiente circolo Perla Blu davanti al Tribunale di Vicenza

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