Autonomia differenziata: Ecco quali sono i risvolti per le rinnovabili

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L’intervento di Massimo Ragazzo sulla rivista Il Pianeta Terra.

In data 3 dicembre 2024 è stata pubblicata la sentenza n. 192/2024, con la quale, lo scorso novembre, la Corte costituzionale aveva ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime sette specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. Questa legge, che avrebbe dovuto facilitare l’attribuzione di ulteriori forme di autonomia alle Regioni ordinarie, ha infatti evidenziato lacune significative riguardo alla sua coerenza con i principi fondamentali della Costituzione. Ebbene, secondo la Consulta, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) dev’essere interpretato nel contesto della particolare forma di Stato italiana. Essa riconosce, infatti, insieme al ruolo delle Regioni e alla possibilità che esse o tengano forme particolari di autonomia (ex art. 116), i principi (fondamentali) dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bi- lancio (cfr., in particolare, artt. 1-12 e 119).

Anzitutto, in merito all’interpretazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, la Corte svolge alcune considera- zioni di sistema, per completare quella rilettura del Titolo Quinto che aveva già fatto in alcune sentenze, anche in relazione a quanto è cambiato, nel frattempo, nei rapporti con ‘Unione europea. Ebbene, per procedere a una devoluzione di funzioni, a partire dal principio di sussidiarietà, ci si deve basare, secondo la sentenza della Corte, su tre criteri: “L’efficacia e l’efficienza nell’allocazione delle funzioni e delle relative risorse, l’equità che la loro distribuzione deve assicurare e la responsabilità dell’autorità pubblica nei confronti delle popolazioni interessate all’esercizio della funzione”.

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In questo contesto, i mutamenti economici e dell’assetto dell’UE, che si è rafforzato rispetto al 2001, devono portare a una particolare cautela, se non proprio a un’esclusione nell’assegnare funzioni relative ad alcune materie previste nell’elenco dell’articolo 116 terzo comma, ovvero il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, la produzione, il trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. La dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 86 del 2024 da par- te della Corte costituzionale rappresenta pertanto un momento cruciale per il futuro del regionalismo italiano, finendo altresì per condizionare alcuni specifici interventi dell’Esecutivo nel settore FER. L’art 116 terzo comma costituisce un elemento chiave nel sistema delle autonomie (oltre che nello stesso iter argomentativo della sentenza della Consulta in esame), richiedendo che il trasferimento di competenza avvenga solo sulla base di specifiche funzioni giustificate da un’adeguata istruttoria e motivazione, piuttosto che tradursi in una semplice allocazione indiscriminata di materie o settori di materie. Ed è il principio di sussidiarietà che risulta fondamentale anche nella distribuzione di funzioni tra Stato e Regioni, stabilendo che le decisioni siano prese al livello più vicino ai cittadini e salvaguardando l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. Secondo la Corte, le ambiguità presenti nella legge n. 86, come la distinzione tra “materie-LEP” e “materie-no-LEP” (v. infra) non solo rischiano di compromettere l’uguaglianza di trattamento tra le diverse Regioni, ma possono anche minare la coesione sociale.

La Costituzione italiana, privilegiando l’unità e la solidarietà tra i vari territori, impone al legislatore di garantire che le autonomie non si traducano in un’eguaglianza di diritti o peggio in una competizione distruttiva tra Regioni. Inoltre. La Corte ha messo in luce la necessità di garantire una chiara relazione tra funzioni e risorse. La previsione di un trasferimento “a costo zero” come stabilito dalla legge n. 86, è basilare per l’efficacia delle misure di regionalismo differenziato, affinché ogni Regione possa gestire le proprie competenze in modo efficiente, senza gravare sulle finanze pubbliche. La facoltà di derogare alla regola dell’invarianza finanziaria non è sostenibile in un contesto di responsabilità pubblica. Una legge che non consideri questi fattori essenziali rischia di compromettere l’intero assetto del federalismo fiscale e di alimentare disparità tra le Regioni, contravvenendo ai principi di solidarietà e di tutela dei diritti civili e sociali. Di fronte a queste considerazioni, diventa evidente che il processo di devoluzione delle competenze deve avvenire attraverso meccanismi ben definiti, che non solo rispettino i diritti delle Regioni, ma che garantiscano anche la tutela dell’unità nazionale. Le scelte politiche in questo ambito devono mirare a consolidare il regionalismo cooperativo, riflettendo una leale collaborazione tra Stato e Regioni, e non a segmentare ulteriormente un tessuto già complesso come quello italiano. Se il Governo desidera promuovere l’autonomia, deve farlo nel quadro di un ‘adeguata salvaguardia dei diritti e delle potenzialità di tutte le Regioni, senza lasciare spazio a interpretazioni arbitrarie o a legislazioni che possono generare iniquità.

Come detto, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato te Regioni. Ebbene, la Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, To- scana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge: la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà; il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) totalmente priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento; •⁠ ⁠la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (d.P.C.M.) a determinare l’aggiornamento dei LEP: •⁠ ⁠il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con d.P.C.M., sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP: la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizza- te all’esercizio delle funzioni trasferite -non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; •⁠ ⁠la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

Come accennato, in questo contesto, rispetto al settore delle fonti energetiche rinnovabili, appaiono di notevole interesse le affermazioni rinvenibili nella decisione in commento con specifico riferimento alla “tutela dell’ambiente”. La Corte ha ricordato che si tratta di una materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro, che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio, anche perché le politiche e gli interventi legislativi in questa materia hanno normalmente “effetti di spill-over” sui territori contigui, rendendo, in linea di massima, inadeguata la ripartizione su base territo- riale delle relative funzioni. La pervasività della disciplina eurounitaria nella suddetta materia trova il suo fonda- mento nell’art. 11 TFUE, secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. Inoltre, l’ambiente è attribuito alla competenza concorrente dell’Unione (art. 4, comma 2, TFUE), e pertanto lo Stato può intervenire solamente fino a quando l’Unione non abbia esercitato la sua competenza normativa. Competenza che, in questo ambito, è stata esercitata in modo assai ampio. Ancora più marcati sono gli ostacoli al trasferimento di funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Si tratta, infatti, di una materia disciplinata dal diritto eurounionale in funzione della realizzazione del mercato interno dell’energia, della tutela del consumatore e della sicurezza energetica. A tal fine, la disciplina eurounitaria si occupa dettagliatamente della generazione di energia, delle reti di trasmissione, delle reti di distribuzione e della vendita al consumatore, in modo da realizzare un mercato effettivamente aperto, in cui deve impedirsi che un operatore integrato possa discriminare l’accesso alla rete da parte di opera- tori concorrenti o sfruttare informazioni commercialmente sensibili.

Inoltre, il diritto dell’Unione ha previsto in ogni Stato membro l’istituzione di un’Autorità indipendente, titolare di rilevanti competenze, tra cui quella di determinare o di approvare, secondo criteri trasparenti, le tariffe di trasmissione e di distribuzione. A tale Autorità deve essere garantita la piena indipendenza dal potere politico (Corte di giustizia dell’Unione europea, Quarta Sezione, sentenza 2 settembre 2021, Commissione europea, in causa C-718/18, punti da 103 al 114). Il sistema elettrico deve assicurare l’interoperabilità delle reti a livello europeo, assicurando gli scambi transfrontalieri, col duplice obiettivo di realizzare il mercato europeo dell’energia e di assicurare, in ciascuno Stato membro, la sicurezza energetica, soprattutto in caso di “sbilanciamento” del sistema nazionale. Pertanto, esiste un principio di solidarietà gli Stati membri in campo energetico (CGUE, Grande Camera, sentenza 15 luglio 2020, Repubblica federale di Germania, in causa C-848/19, punti da 37 a 53), cui devono uniformarsi le regole nazionali e la conformazione delle reti, senza ostacoli su base territoriale.

La Corte ha invece “salvato” cinque disposizioni della legge, a patto di darne una “lettura costituzionalmente orientata”: •⁠ ⁠l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo; •⁠ ⁠la legge di differenziazione non è di approvazione dell’intesa (‘prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Ca- mere; in tal caso l’intesa potrà es- sere eventualmente rinegoziata; •⁠ ⁠la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; •⁠ ⁠l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mante- nere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso; •⁠ ⁠la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo eco- nomico, del rispetto degli obblighi eurounitari. Spetterà ora al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.



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