La grande fuga degli infermieri dalla Lombardia: ne mancano 9.500, costretti ad assumere da India e Sudamerica

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 


MILANO – Infermieri in fuga dalla Lombardia, attirati dagli stipendi svizzeri o nordeuropei. Ostacoli burocratici per gli stranieri che chiedono invece il riconoscimento dei loro titoli per partecipare a concorsi pubblici in Italia, mentre d’altra parte si cerca di tamponare l’emergenza reclutando personale dall’India o dal Sudamerica. Un sistema formativo che non risponde al fabbisogno delle strutture.

Il risultato sono ospedali, case di riposo e presidi sanitari in affanno, con il personale costretto agli straordinari per coprire buchi negli organici che si fanno sentire soprattutto nel periodo delle feste. Il viaggio tra lavoratori che trascorreranno il Natale in corsia parte dai numeri: l’Ordine Professioni Infermieristiche (Opi) denuncia una carenza in Lombardia di circa 9.500 figure professionali, di cui 3.500 nelle Rsa, 4.500 nelle strutture sanitarie e 1.500 infermieri di famiglia. Dall’ultima analisi dell’Oecd, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Italia risulta avere una media di 5,7 infermieri per 1000 abitanti, al di sotto della media europea di 8,2 per 1.000 persone. La Lombardia risulta avere una media di 5,12 infermieri per 1.000 persone. Al di sotto, quindi, della media italiana già carente in un mondo al centro anche delle recenti linee guida per limitare l’uso dei “gettonisti” nella sanità.

“Stiamo vivendo una situazione di emergenza – spiega Donato Cosi, coordinatore del sindacato Nursind Lombardia e membro della direzione nazionale – che mette a rischio la tenuta del sistema. La assunzioni non riescono a coprire le uscite per pensionamenti o dimissioni e in Lombardia la situazione è ancora più grave. Gli stipendi non in linea con il costo della vita, perché un infermiere prende in media 1.700 euro netti al mese, scoraggiano i trasferimenti da altre zone d’Italia. A questo si aggiunge un tema di qualità della vita, perché i turni sono insostenibili e resta irrisolto, nonostante alcuni provvedimenti tampone, il problema delle aggressioni. Per attirare personale, bisognerebbe offrire migliori condizioni di lavoro”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Sarà un Natale di proteste, ad esempio, nelle strutture che fanno capo alla Asst Melegnano Martesana, dove le rappresentanze sindacali unitarie e le sigle Fp Cgil, Uil Fpl, Nursing Up e Usb hanno confermato ieri lo stato d’agitazione. I sindacati denunciano “la carenza di organici principalmente di medici e infermieri”. Intanto, attraverso i progetti Samaritanus Care e Magellano, hanno preso servizio in Lombardia infermieri formati in India o in Sudamerica, per ora piccoli gruppi, in tutto circa 200 persone su varie strutture.

“Sono iniziative che servono per tamponare l’emergenza ma non sono certo la soluzione al problema”, spiega Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, la principale associazione di categoria del settore sociosanitario, tra i promotori dei progetti. “In questo modo, inoltre, si sottraggono risorse già formate ai sistemi sanitari di Paesi, come l’Argentina, che vivono una situazione simile alla nostra. Una misura che condividiamo è l’istituzione della nuova figura dell’assistente infermiere. Una risposta valida per i bisogni non acuti, che porterebbe nelle strutture forze fresche anticipando l’ingresso nel mondo del lavoro in una professione che registra un’età media piuttosto elevata, offrendo anche un percorso formativo ai cosiddetti Neet. È necessario intervenire: mentre per i medici, in futuro, si copriranno gradualmente i posti, per gli infermieri la situazione rischia di peggiorare”.

Una nuova figura professionale, che affiancherebbe gli infermieri laureati senza però risolvere l’annoso problema della concorrenza dell’estero, con l’impietoso paragone tra gli stipendi che spicca in una zona di confine come la provincia di Sondrio. Un infermiere-frontaliere, che vive in Italia e lavora in Svizzera, prende circa il doppio rispetto a un collega che, qui, nel migliore dei casi non arriva a duemila euro al mese. “Sarebbe fondamentale far rientrare in Italia queste persone – spiega Romina Loreti, infermiera di pronto soccorso e vicepresidente dell’Ordine della provincia di Sondrio – ma per questo bisognerebbe agire sugli stipendi e prevedere incentivi. Poi c’è il problema dei ritardi nel riconoscimento dei titoli di studio di infermieri stranieri che lavorano già in Italia, con barriere anche per l’iscrizione all’Ordine, tutela fondamentale sia per i professionisti sia per i pazienti”. Ordine provinciale che attualmente conta circa 1.700 iscritti, con numeri in calo rispetto agli ultimi anni che riflettono l’emergenza.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *