A Sud un natale magro: la decontribuzione sarà un bagno di realtà

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Tutti a parlare di Sud. Cosa fare per il Mezzogiorno, come rilanciare la competitività del Sud, quali politiche ci si deve aspettare da un governo che dimostri di non essere a trazione nordista. E via dicendo. E poi, Casse del Mezzogiorno, piani straordinari, leggi speciali e chi più ne ha più ne metta.

C’è il tempo degli annunci e i tempi dei fatti, quello degli slogan e quello delle manovre di bilancio, quando devi mettere le mani nella marmellata e accorgerti che il barattolo – come accaduto al ministro Giorgetti – è un po’ vuoto. Ed ecco la «nuova» Decontribuzione Sud, la misura che doveva risollevare le sorti del Paese riducendo la famosa «forbice» con il Nord.

Ebbene, la manovra approvata lo scorso ottobre aveva confermato, all’articolo 72, la Decontribuzione Sud, autorizzata dall’Ue fino al 31 dicembre 2024 e applicabile solo per le assunzioni effettuate dalle aziende entro giugno scorso. Poi è arrivato l’altolà dell’Europa: «Dove andate? È aiuto di Stato». E allora, un po’ come ha funzionato per le concessioni balneari ultradecennali messe nell’angolo dalla direttiva Bolkenstein, si è dovuti correre ai ripari e trovare il rimedio. Nel nuovo maxi-emendamento alla manovra del Governo, infatti, la misura ritorna per tutti i contratti a tempo indeterminato che saranno attivati nelle regioni meridionali. Ma con una novità: dal 30% previsto dall’ultima proroga di ottobre scorso per il 2025 si scende, nel nuovo provvedimento, al 25% e la progressiva diminuzione stimata lo scorso ottobre (20% nel 2026-2027, ridotta poi al 10% nel 2028-2029) viene portata al 15% sino al 2029. Ecco, la misura c’è ma, insomma, anche il Sud – sul cui funerale economico tutti piangono additando il «nemico» – si deve un po’ «sacrificare».

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Contributi per le imprese

 

Il taglio c’è e non di poco, sebbene la copertura finanziaria di questa misura sia stata portata a 7,1 miliardi di euro fino al 2030. E – considerata la «coperta corta» dei conti pubblici di cui sopra – lo sforzo va apprezzato.

Ma la forbiciata va esaminata: l’esonero del 30% dei contributi a carico del datore di lavoro, che prima era senza limiti di importo, ora ha un tetto e scende a una cifra mensile decrescente (da 145 euro nel 2025 a 75 euro nel 2029) per ciascun lavoratore assunto. E ancora: c’è una limatura non indifferente della platea di aziende che potranno beneficiarne. Si introduce, infatti, una suddivisione dell’incentivo a seconda delle dimensioni e della tipologia dell’impresa, limitando l’agevolazione ai vincoli del regime «de minimis» ed escludendo tutte le imprese oltre i 250 addetti. In pratica, il sostegno resta per le piccole e medie imprese meridionali, ma non vi possono accedere i big player. E il rischio, serio e concreto, è che si allontani l’interesse sul Sud dei grandi investitori. Esattamente quello che servirebbe, invece, a colmare quel famoso gap di competitività tra Nord e Sud di cui tutti sono bravi a parlare e più volte lamentatoanche da questo Governo.

Inoltre ci saranno effetti evidenti sul costo del lavoro in rapporto ai redditi dei dipendenti. Se consideriamo uno stipendio lordo di 1500/1600 euro al mese (al netto 1.100/1.200 euro) in rapporto al quale la decontribuzione sarebbe stata di almeno 600 euro, lo sgravio ora congegnato col tetto dei 145 euro sarà perfino inferiore al 20% stabilito per il 2025. Ancor di più se si considera uno stipendio lordo di 1.800 euro (1.400 netti): il vantaggio sui costi contribuitivi scende al 15%. Insomma, un’altra «missione» che lo stesso governo Meloni si era assegnata, quella di ridurre il «cuneo fiscale» a vantaggio di imprese e lavoratori, così rischia di andare a farsi benedire.

«Sostenere il trend positivo dell’occupazione, soprattutto al Sud, resta tra le priorità del governo» scandisce il ministro del Lavoro Calderone, rivendicando il successo della proroga della misura come «soluzione alternativa alla cessazione del temporary framework europeo». Mentre, dall’opposizione, c’è chi come Mario Turco (M5S) parla del «solito gioco delle tre carte» e di «fumo negli occhi delle imprese». Le quali, in realtà, il fumo lo hanno allontanato subito, a giudicare dalle reazioni di Confindustria. Sta di fatto che la misura, introdotta dal Governo Conte II nel 2020, è – più che altro – oggi un bagno di realtà sul Sud. Come quando dici ai ragazzi, che lo aspettavano scendere dal caminetto quando erano bimbi, che Babbo Natale in realtà non esiste.

Ecco il bagno di realtà gli italiani lo avranno il 28 dicembre, quando il Senato darà il via libera definitivo alla manovra. La realtà di un governo che, stando ai dati Svimez, ha dovuto ridurre di circa 5 miliardi complessivi i finanziamenti (o coperture a fondo perduto) per il Sud nei prossimi due anni per tenere i conti a posto. E tutti i (raffinati) pensatori del Meridione, del Sud che non ce la fa, del Governo (Conte, Draghi o Meloni che sia) che snobba il Mezzogiorno e preferisce o riformare le pensioni o costruire ponti sullo Stretto, dovranno una volta per tutte rassegnarsi all’idea che quel simpatico nonnino che corre con le renne, sotto il camino non arriverà neanche quest’anno.



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