Le salite invernali hanno tutto il fascino di una scalata che unisce alla difficoltà tecnica l’estremizzazione di condizioni ambientali spesso proibitive. In un primo articolo abbiamo accennato a cinque imprese da ricordare. Qui ne aggiungiamo altrettante, ben sapendo che l’elenco è assolutamente parziale e arbitrario. Aggiungiamo pure che ci siamo limitati all’arco alpino, altrimenti avremmo dovuto ampliare a dismisura il tema. Pensiamo solo agli Ottomila, a partire dalla prima salita dell’Everest il 17 febbraio 1980, a opera di Krzysztof Wielicki e Leszek Cichy, fino ad arrivare alle imprese di Simone Moro, o alla più recente conquista del K2 da parte del team dei 10 nepalesi.
Prima invernale della via Soldà sulla parete sud ovest della Marmolada – Hermann Buhl e Kuno Rainer – 19 e 20 marzo 1950
Salita di grandissimo valore su una via dove l’arrampicata si svolge sulla imponente muraglia della regina lungo camini molto incassati e profondi, intasati di neve e ricolmi di ghiaccio traslucido. È una delle prime salite di rilievo internazionale per Buhl, che realizza insieme a Rainer anche la quarta ripetizione assoluta della via. La cordata impiega 18 ore.
Prima invernale della Cassin-Ratti alla Cima Ovest di Lavaredo – Walter Bonatti e Carlo Mauri – dal 22 al 24 febbraio 1953
Le invernali di Bonatti basterebbero a riempire pagine e pagine (non abbiamo per esempio della solitaria al Cervino, con cui chiude la sua carriera di alpinista) ma nel 1953 l’impresa compiuta con Carlo Mauri ha dell’eccezionale anche per la giovane età della cordata (entrambi 23enni). La salita richiede 27 ore e due tremendi bivacchi, nella progressione Bonatti si alterna con il compagno da primo di cordata. Nella seconda giornata devono superare la sezione più dura: il temibile traverso, reso ancora più difficile dal vetrato trovato.
Prima invernale del Pilone Centrale del Frêney – René Desmaison e Robert Flematti- 13 febbraio 1967
Questa impresa va ricordata come una delle più importanti dimostrazioni di coraggio e di preparazione psicofisica dell’alpinismo invernale. Il pilastro offre infatti già in estate difficoltà elevatissime, a cui bisogna aggiungere l’aggravio dovuto all’attrezzatura, il freddo, l’isolamento, l’impossibilità di una ritirata. Desmaison arriva alla realizzazione di questa salita sulla scorta di altre grandi invernali già realizzate, a cominciare dalla Ovest dei Dru nel 1957, insieme a Jean Couzy.
Prima invernale della nord-est del Pizzo Badile – Paolo Armando, Camille Bournissen, Gianni Calcagno, Michel Darbellay, Alessandro Gogna, Daniel Troillet – dal 21 dicembre 1967 al 2 gennaio 1968
È l’ultima salita di sesto grado sui “grandi problemi” a essere superata d’inverno. Non è un caso che sia rimasta “in coda” tra le sue illustri “sorelle”: la via si sviluppa lungo una placca di granito tutt’altro che verticale, totalmente coperta di neve e ghiaccio ripidissimo nella stagione invernale. Durante la salita, la cordata italiana si unisce a quella svizzera, il metodo scelto è quello himalayano. È in assoluto la prima salita invernale di rilievo nel gruppo Masino-Bregaglia, su una parete di 900 metri, con sviluppo di oltre 1500.
Prima invernale della Armani-Fedrizzi sulla parete sud-ovest del Croz dell’Altissimo – Sergio Martini, Mario Tranquillini, Donato Ferrari e Italo Seia – dal 18 al 20 marzo 1973
Le invernali di Sergio Martini sono molte e qui se ne possono ricordare altre due, come la Stenico-Navasa al Campanile Basso (con Fausto Lorenzi, 26-28 dicembre 1969) o la Aste-Navasa al Crozzon di Brenta (13-17 febbraio 1972, con Mariano Frizzera e Donatello Ferrari). Il Croz dell’Altissimo ha uno sviluppo impressionante, con 1000 metri di parete che sprofondano nella val delle Seghe e un possente diedro che solca la parete sud-occidentale. Roccia compatta e difficoltà elevate, rese ancora più complesse dalla scarsità di possibilità di proteggere. Questa invernale è l’esempio di come ci siano state salite poco pubblicizzate e di grande valore, che poco hanno da invidiare ad altre salite molto più famose. Purtroppo le condizioni di innevamento sulle Dolomiti di Brenta non sono più le stesse di mezzo secolo fa (più che in altre zone il cambiamento climatico è evidente) e oggi è difficile anche solo in via ipotetica ripetere simili salite.
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