DI FRANCESCO MININNI
Ci sono un paio di punti fermi in «Scialla!», esordio come regista dello sceneggiatore (di Paolo Virzì e del commissario Montalbano) Francesco Bruni, che bastano e avanzano per compensare eventuali semplificazioni narrative e una latente sensazione di buonismo incombente che, permanendo il film nel semplice ambito della commedia giovanilistica senza altri obiettivi che la moda e la finta sociologia, gli sarebbero stati fatali. Invece Bruni ambisce a qualcosa di più. Innanzitutto raccontare una storia che, riguardando da vicino i suoi figli, riguarda anche lui. In secondo luogo una storia che punta più in alto che non il semplice folklore di quartiere. Poi una storia generazionale (ottima idea) di ieri e di oggi, in modo da far capire con una certa precisione cosa significhi esattamente che le colpe dei padri ricadono sui figli. E infine, ed è questo l’affondo vincente, una difesa a spada tratta dei valori della cultura, dell’istruzione, del sapere, che rende «Scialla!» un film realmente controcorrente: contro i conformismi, contro i luoghi comuni, contro la prevalenza dei raccomandati sui meritevoli, contro il malcostume dell’ignoranza al potere. Se le forzature del racconto sono tutte indirizzate in questa direzione, siamo più che ben disposti a perdonarle e, più ancora, a giustificarle. Il fine giustifica i mezzi, in fondo, non è sempre un’affermazione cinica e mortuaria.
Bruno, professore di lettere che ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi a un’aleatoria carriera di scrittore e sbarca il lunario dando ripetizioni private e scrivendo la biografia di una attrice di film hard, si ritrova improvvisamente responsabile di un figlio, Luca, del quale ignorava l’esistenza e che la madre gli affida al momento di partire per l’Africa per lavoro. Inizialmente apatico, Bruno si lascia progressivamente coinvolgere dal ruolo di genitore (che Luca, peraltro, non riconosce, perché non ne è informato) e, associandolo a quello di insegnante, stringe un patto con l’allievo: mettersi sotto a studiare per sbugiardare chi, nel corpo docenti, è convinto che quella scuola sia troppo impegnativa per uno come lui. Così, se da una parte saranno ottenuti risultati di ordine culturale e d’impegno, dall’altra assisteremo a un interessante interazione che porterà un ragazzo a crescere e un adulto ad assumersi le responsabilità che competono alla sua età.
C’è da dire che il film di Bruni, interpretato benissimo da Fabrizio Bentivoglio e dall’esordiente Filippo Scicchitano, suggerisce anche un’interessante possibilità: che cioè la madre di Luca non sia affatto partita per l’Africa e che il tutto sia stato abilmente orchestrato per costringere un padre e un figlio a ritrovarsi, a conoscersi, a interagire. Il che non deve far pensare che alla donna stia a cuore la responsabilizzazione di Bruno, ma semplicemente che certe derive del figlio le hanno fatto capire l’impellente necessità di una figura maschile positiva di riferimento. Qui subentra il versante più rischioso di «Scialla!» (espressione romanesca per «stai sereno» e, in senso lato, «prenditela comoda»): quello cioè in cui Luca, frequentando compagnie sbagliate, rischia di entrare in un giro di droga che potrebbe risucchiarlo. Una situazione apparentemente senza uscita risolta dal fatto che il boss Cecere riconosce in Bruno il professore che gli dette un 8 (l’unico della sua carriera scolastica) per un tema su Pasolini. L’agnizione permette a Bruno e Luca di uscirne indenni, a Bruno di crescere enormemente nel rispetto del figlio e a Luca di capire qualcosa di più della cultura, dei libri di testo e degli odiati professori.
Dire che «Scialla!» è un film a lieto fine non è affermazione di un’esattezza scientifica: Bruni sa benissimo che la vita continua e che, dopo la scuola, Luca si troverà di fronte ad altri problemi quotidiani. Ma il suo è un pensiero positivo a dispetto del mondo: godiamoci questa ritrovata unione familiare, sorprendiamoci di fronte a un boss della mala che organizza cineforum proiettando «I 400 colpi» di Truffaut, crediamo a un ragazzo che pretende di essere bocciato per rispetto ai compagni che hanno studiato tutto l’anno. A quest’ultima, però, crediamo volentieri solo nel momento in cui Luca confessa a Bruno: «Mi avrebbero dato tre materie. Mi sarei rovinato l’estate».
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