Case di comunità, i cantieri e le incognite: infermieri indiani e africani per aprirle

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di
Martina Zambon

Veneto, cinque già funzionanti ma bisogna completarne 94 entro due anni. «Per il personale accordi internazionali»

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Una gru che lavora h24 è il simbolo delle 99 case di comunità e dei 35 nuovi ospedali di comunità che dovranno essere pronti (quasi) tutti tassativamente entro metà 2026, pena la perdita dei fondi Pnrr con cui, in larga parte, vengono costruiti. C’è fretta, e si vede. Del resto era un’occasione imperdibile per la Regione: il combinato disposto delle case e degli ospedali di comunità costituisce l’anello mancante della sanità veneta dopo la riforma delle Usl anni fa. La ratio di quella riforma risiedeva proprio nel potenziamento delle cure territoriali e in una differenziazione della sanità anche per andare incontro all’inesorabile invecchiamento della popolazione. L’occasione fornita dal Pnrr, quindi, è stata colta al volo, ci si sono aggiunte risorse del fondo sanitario regionale pur di completare il quadro.

I protocolli e le posizioni

Perché il «piano» funzioni, però, c’è un’ultima tessera del puzzle da collocare: il personale per questa distesa di strutture diffuse capillarmente sul territorio. E qui ci si scontra con la cronica mancanza di infermieri ed oss (operatori socio sanitari), non solo di medici. Per questo anche il Veneto punta all’India dopo il protocollo nazionale per reperire infermieri e oss nel subcontinente asiatico ma anche all’Africa e al Sud America con collaborazioni mirate, dal Cuamm agli ordini religiosi che operano lì. L’idea è formare in loco nuove professionalità per poi farle arrivare in Veneto. Ma partiamo dalle strutture. Alla fine, gli ospedali di comunità in Veneto saranno 71: decine già esistevano, mentre altri 35 sono in via di realizzazione. Tra questi, nove sono pronti e collaudati, 24 vedono i cantieri già aperti con differenti stati di avanzamento e in due casi le procedure di gara sono state espletate e si attende a stretto giro l’avvio dei cantieri. Il tutto per 83 milioni di euro di cui 73,8 dal Pnrr, 3,8 dal fondo nazionale per le «opere indifferibili», 2,5 dal fondo sanitario regionale e 2,6 milioni dal Gse (fondi derivanti dalla cessione di energia prodotta da fondi rinnovabili su strutture regionali).




















































La new entry

Qualcosa si recupererà, poi, dal piano di alienazioni dei vecchi distretti dismessi. Ci sono, poi, le vere «new entry», le «case di comunità» discendenti (decisamente potenziate) dei vecchi distretti sanitari. L’idea è che accolgano professionisti della sanità in grado di fornire, accanto agli ambulatori dei medici di medicina generale, servizi diagnostici come una radiografia o un ecocardiogramma ma anche, personale e risorse permettendo, una consulenza psicologica. Il Pnrr ne finanzia 95 con 135,4 milioni di euro, altri 11 arrivano dal fondo per le opere indifferibili, 86,3 dal fondo sanitario regionale e ben 14 dal Gse. In tutto, quindi, costeranno 247 milioni di euro. Più un paio di milioni per le 4 «extra Pnrr». Cinque sono già state collaudate e aperte: Oderzo, Noale, San Michele al Tagliamento, Arsiero e Malo. La maggior parte, 81, ha un cantiere in corso e 9 sono alla fase di avvio lavori. In realtà, delle 99 case di comunità, solo il 35% sono «nuove edificazioni», la maggior parte sono edifici ristrutturati, a volte ampliati e adattati alle nuovi funzioni. Ecco perché l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, sottolinea come «61 sono già, di fatto, parzialmente attive». Magari con un cantiere per un ampliamento a lato ma è il prezzo da pagare per arrivare ad avere quelle strutture intermedie fra l’ambulatorio del proprio medico di base e l’«ospedale» classico che diventa «ospedale per acuti», non per riabilitazioni e ricoveri precedenti la presa in carico della famiglia e che, appunto, dovranno trovare spazio negli ospedali di comunità. Per intendersi, tanti codici bianchi che oggi intasano i pronto soccorso, potranno trovare risposte nelle case di comunità presidiate senza soluzione di continuità notte e giorno.

A patto, e non è scontato, di trovare uomini e donne per far funzionare una macchina molto ambiziosa. «Abbiamo sempre messo in evidenza che il grande tema sarà quello del personale – conferma l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin – perché tutte queste strutture hanno una gestione legata al comparto infermieri e oss e sappiamo come siano fra i settori più in crisi. Per questo spingiamo il più possibile con le università con l’obiettivo di recuperare più personale possibile. E non è certo un problema solo nostro, anche il ministero ne è consapevole. Tanto che si è firmato un memorandum con l’India proprio per questo motivo. Anche noi abbiamo fornito il fabbisogno di personale per il futuro sulle case comunità». Ma, con i chiari di luna di personale sanitario, è meglio scommettere su più tavoli. «Abbiamo in comune una tradizione religiosa cristiana molto forte con alcuni Paesi, – aggiunge Lanzarin – e quindi abbiamo già avviato dei percorsi con il Cuamm ma anche con alcune congregazioni religiose. L’idea è di arrivare a una formazione sanitaria in loco, in Africa ad esempio, ma anche in Sud America, per poi fare arrivare personale sanitario già formato. Non è un dettaglio perché l’elemento cruciale per la tenuta del sistema in una società caratterizzata dall’invecchiamento della popolazione è proprio questo. Gli sforzi, già oggi, vanno concentrati là. Ecco perché è stato varato un piano straordinario per la carenza di personale con fondi aggiuntivi per 150 milioni in tre anni».

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27 dicembre 2024 ( modifica il 27 dicembre 2024 | 14:11)

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