di Antonella Mollica
La Procura dispone perquisizioni nelle sedi di Eni e di Sergen, oltre all’omicidio colposo contestato anche il reato di disastro
Al momento dell’esplosione nel deposito dell’Eni di Calenzano, lunedì mattina, sotto la pensilina di carico carburanti non c’erano solo gli autisti delle autobotti che facevano rifornimento ma c’era anche una squadra di sei persone impegnata in un’attività di manutenzione. Erano dipendenti della Sergen srl, azienda specializzata in impianti petroliferi, che ha sede a Grumento Nova (Potenza).
Secondo quanto spiegato dallo stesso caposquadra, che si trova ricoverato a Careggi per le ferite riportate, il gruppo — composto da un capocantiere, un amministrativo, un saldatore, un meccanico-autista e un meccanico — stava lavorando con l’aiuto di un bobcat per mettere in sicurezza una linea di erogazione benzina che non veniva più utilizzata da anni. L’obiettivo era quello di rimuovere valvole e tronchetti.
Ad avere la peggio, insieme ai tre autisti di autobotti, sono stati i due meccanici, Franco Cirelli 50 anni e Gerardo Pepe, 45, entrambi originari della Basilicata.
A confermare il lavoro di manutenzione in corso al momento dell’esplosione è stato anche un autista di autobotte che mentre era in fila ad aspettare il suo turno ha visto fuoriuscire del liquido che all’inizio sembrava acqua e che poi, dall’odore, si è rivelato essere gas. «Ho visto degli operai che stavano lavorando a dei tubi di grandi dimensioni», è stato il suo primo racconto ai soccorritori. Mentre stava andando via c’è stata l’esplosione.
Proprio partendo da queste testimonianze chiave la Procura di Prato guidata da Luca Tescaroli si sta ora concentrando sull’esame delle procedure previste in questi casi.
Sono state rispettate tutte le misure di sicurezza in un sito ad alta pericolosità come quello?
Nel fascicolo che la Procura ha aperto, per ora a carico di ignoti, oltre all’omicidio colposo in violazione della legge sugli infortuni sui luoghi di lavoro, viene contestata anche una condotta dolosa: l’omissione di cautele contro gli infortuni e il disastro.
Intanto sono scattate le perquisizioni nella sedi della Sergen e dell’Eni, a Potenza, a Calenzano ma anche in altre zone d’Italia, per recuperare tutta la documentazione, anche informatica, che sarà necessaria a ricostruire i rapporti di lavoro tra Eni e le imprese che lavoravano all’interno dell’impianto.
L’esplosione, secondo quanto ricostruito, sarebbe avvenuta nella postazione numero 6 della pensilina che ne conta 10. Alle 10.21 e 30 secondi — questo l’orario registrato — un operatore ha dato l’allarme con un pulsante ma era già tardi. Un attimo dopo c’è stata la deflagrazione che fortunatamente non ha toccato i silos dell’impianto.
Intanto Eni conferma che sta «collaborando strettamente con l’autorità giudiziaria per individuare quanto prima, in modo rigoroso tramite le opportune e approfondite verifiche tecniche, le cause reali dell’esplosione, delle quali è assolutamente prematuro ipotizzare la natura. Ogni informazione di dettaglio sarà messa a disposizione da Eni alle autorità giudiziarie che stanno conducendo le indagini, anche a salvaguardia del segreto investigativo».
Il procuratore Tescaroli, dopo un’ispezione nel deposito, ha affidato l’incarico al medico legale che dovrà eseguire le autopsie. Poi comincerà il lavoro dei vari consulenti. Tra loro ci sono l’esplosivista Roberto Vassale e il chimico esplosivista Renzo Cabrino. Entrambi hanno lavorato come periti nella strage di Capaci, inchiesta di cui si è occupato Tescaroli quando era pm a Caltanisetta.
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